Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-02-2012, n. 1713 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Perugia, con sentenza del 30.8.2007, respingeva il gravame proposto dalla società Poste Italiane p. a. avverso la sentenza di primo grado, che, in relazione a contratto a tempo determinato stipulato con P.S. per il periodo dal 1.4.1999 al 31.5.1999 in relazione alle esigenze eccezionali connesse al processo di ristrutturazione ex art. 8 CCNL del 1994, aveva dichiarato la nullità della clausola appositiva del termine e la intercorrenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 1.4.1999, con condanna della società al risarcimento del danno determinato, nella misura delle retribuzioni maturate dal 18.2.2002, data della messa in mora.

Rilevava la Corte territoriale che il contratto era stato stipulato con decorrenza posteriore alla scadenza del termine finale di validità della clausola che lo avrebbe legittimato, che non poteva ravvisarsi alcuna acquiescenza della lavoratrice ai fini della configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso e che l’eccezione di aliunde perceptum andava disattesa in quanto nulla il datore aveva provato al riguardo.

Avverso detta decisione propone ricorso la società con quattro motivi, illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Resiste la P., con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, la società denunzia la violazione e la falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 della, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, formulando quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., con il quale domanda se è vero che, in virtù della delega in bianco, l’autonomia sindacale non incontra limiti ed ostacoli nella tipologia dei nuovi contratti a termine in relazione alle ipotesi che ne legittimano la conclusione, per cui gli accordi successivi a quello del 25.9.1997 non hanno una natura negoziale bensì meramente ricognitiva del fenomeno della ristrutturazione e riorganizzazione aziendale in atto.

Con il secondo motivo, lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c.,e ss. nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, e formula quesito con il quale domanda se il sistema delineato dalla legge preveda la necessità che – ove le ipotesi di contratto a termine siano dotate di particolare ampiezza tale da capovolgere il rapporto tra la regola generale dell’assunzione a tempo indeterminato e l’assunzione a termine – la norma contrattuale debba necessariamente avere una efficacia temporale limitata.

Con il terzo, pur non enunciando un vizio della sentenza, con quesito di diritto chiede se, in caso di domanda di risarcimento dei danni da parte del lavoratore, rimanga a carico dello stesso l’onere di allegare e provare il danno da scioglimento del rapporto fondato su clausola risolutiva contrattuale nulla e se tale danno possa equivalere alle retribuzioni perdute – detratto l’aliunde perceptum – a causa della mancata esecuzione delle prestazione lavorativa e se l’onere suddetto presupponga che queste siano offerte dal lavoratore e che il datore le abbia illegittimamente rifiutate .

Non si enuncia neanche il vizio dedotto relativo all’aliunde perceptum, ma si domanda se, nel caso di oggettiva difficoltà della parte ad acquisire precisa conoscenza degli elementi sui quali fondare, il giudice debba valutare la prova con minor rigore rispetto all’ordinario, ammettendole ogni volta che le stesse possano comunque raggiungere un risultato utile ai fini della certezza processuale e rigettandole solo quando gli elementi somministrati dal richiedente risultino invece insufficienti ai fini dell’espediente richiesto.

Infine, con il quarto motivo, la società censura la decisione impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1 e 2, nonchè per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, assumendo che la percezione del t.f.r. e altre circostanze dedotte comprovavano il disinteresse della lavoratrice per la prosecuzione del rapporto lavorativo e domandando, con quesito, se, al pari dell’esecuzione., anche il suo contrario debba essere valutato in modo socialmente tipico quale dichiarazione risolutoria.

In ordine ai primi due motivi, che devono trattarsi congiuntamente per la connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto, osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali… – ai sensi dell’art. 8 del CCNL del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al CCNL del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex L. n. 56 del 1987, art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato." (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr. Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), va, quindi, confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto de quo. Osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali… – ai sensi dell’art. 8 del CCNL del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al CCNL del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo.

Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, risultando dalla sentenza della Corte di Appello che la messa in mora è riconnessa alla richiesta di esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, laddove la società contesta l’efficacia di costituzione in mora di tale documento senza trascriverne il contenuto. Peraltro, l’assunto di non avere ricevuto la comunicazione della richiesta del detto tentativo, che si assume inviata solo al D.P.L., e nona anche ad essa azienda, è sollevata per la prima volta, e dunque in maniera inammissibile, dinanzi a questa Corte di legittimità.

Infine, con riguardo al quarto motivo, deve rilevarsi come questa Corte abbia più volte affermato che "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto" (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11- 12-2001 n. 15621).

Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre che, come pure è stato precisato, "grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro" (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070).

Nella specie la Corte d’Appello, riformando sul punto la sentenza del Tribunale di Perugia, ha osservato, con motivazione immune da vizi logico giuridici, che non vi era stato alcun comportamento della lavoratrice che potesse far presumere una sua acquiescenza alla risoluzione del rapporto e che il solo decorrere del tempo tra la cessazione di quest’ultimo ed il tentativo di conciliazione non poteva essere in alcun modo interpretato come volontà di accettazione della risoluzione per mutuo consenso.

Infine, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Orbene, a prescindere dalla problematica relativa alla possibilità di ricomprendere tra i giudizi pendenti cui il comma 7 della citata norma applica i precedenti commi 5 e 6 anche il giudizio di cassazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070). Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Per le svolte considerazioni, il ricorso della spa Poste va rigettato e le spese di lite del presente giudizio, per il principio di soccombenza, cedono a carico della società, nella misura determinata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società a pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 50,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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