Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-02-2012, n. 1711 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 20.12.2006/18.1.2007 la Corte di appello di Salerno confermava la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da G.R. per far accertare la nullità del termine apposto al contratto stipulato fra la stessa e le Poste Italiane per il periodo 27 luglio 2002/30 settembre 2002, per "esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario, conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre 2011, 11 dicembre 2011 e 11 gennaio 2002 congiuntamente alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenza per ferie contrattualmente dovute a tutto il personale nel periodo estivo".

Osservava in sintesi la corte territoriale che la società appellata aveva provato l’esistenza, nel periodo di tempo considerato e sul piano nazionale, di effettive necessità di servizio collegate ad un processo di riorganizzazione all’epoca ancora in atto, che interessava anche il settore sportelleria (cui la dipendente era addetta).

Per la cassazione della sentenza propone ricorso G.R. con tre motivi, illustrati con memoria. Resistono con controricorso.

Le Poste Italiane.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente lamenta violazione di norme di legge ( L. n. 56 del 1987, art. 23), nonchè vizio di motivazione ed, al riguardo, osserva che la corte di merito aveva trascurato di considerare che, pur in presenza di un accordo collettivo che preveda, in termini generali, le ipotesi in cui è consentita l’assunzione a tempo determinato, era onere del datore di lavoro provare in maniera rigorosa la sussistenza effettiva delle circostanze che legittimano la clausola di durata nel caso specifico, tenuto conto, fra l’altro, che la L. n. 56 del 1987, si pone in linea di continuità con l’assetto normativo preesistente, "che si configura come una sorte di "legge quadro" ". Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 25 del CCNL 11.1.2011, nonchè vizio di motivazione, osservando, fra l’altro, come la società intimata non avesse offerto alcuna prova in ordine al mancato superamento del limite percentuale previsto rispetto al numero complessivo dei lavoratori in servizio e che tale prova nemmeno era stata richiesta dalla corte di appello.

Con l’ultimo motivo, infine, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente prospetta violazione di legge ( D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1) e vizio di motivazione ed, al riguardo, osserva che, pur avendo la società intimata documentato che l’assunzione della ricorrente era avvenuta nel periodo in cui avevano avuto attuazione gli accordi successivi alla procedura di mobilità, nessuna prova era stata offerta circa l’adibizione della stessa "alle strutture produttive dell’azienda, nonchè circa l’effettivo collegamento fra l’assunzione e la documentata" situazione di riorganizzazione e che nessuna motivazione era sul punto reperibile nella sentenza impugnata.

2. Va preliminarmente esaminato il terzo motivo, in quanto idoneo a definire la causa, e lo stesso si palesa infondato.

Si deve, al riguardo, innanzi tutto osservare come la fattispecie, per come ha correttamente ritenuto la corte salernitana, trova disciplina ratione temporis nel D.Lgs. n. 368 del 2001, atteso che, secondo come già statuito da questa Suprema Corte, l’art. 74, comma 1, del CCNL 11 gennaio 2001 del personale non dirigente di Poste italiane individua il 31 dicembre 2001 quale data di scadenza dell’accordo, sicchè i contratti stipulati successivamente a tale data non possono rientrare nella disciplina transitoria prevista dall’art. 11 del medesimo decreto, che aveva previsto il mantenimento in via transitoria dell’efficacia delle clausole stipulate ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 25, e sono interamente soggetti al nuovo regime normativo, senza che possa invocarsi l’ultrattività delle pregresse disposizioni per il periodo di vacanza contrattuale, ponendosi tale soluzione in contrasto con il principio secondo cui i contratti collettivi di diritto comune operano esclusivamente entro l’ambito temporale convenuto fra le parti (cfr. Cass. n. 16424/2010).

Ciò premesso, si deve rilevare come la corte territoriale, lungi dal non motivare le proprie scelte decisionali, ha osservato come la società intimata avesse adempiuto all’onere, sulla stessa gravante, di dimostrare non solo l’effettiva ricorrenza delle esigenze indicate nel contratto individuale, ma pure lo stretto nesso causale fra quelle esigenze e la specifica assunzione a termine e che, in particolare, in difetto di specifiche censure della lavoratrice, che si era limitata ad una generica negazione dei presupposti legittimanti l’assunzione, era stato dato riscontro all’esistenza, nel periodo di tempo considerato e sul piano nazionale, di effettive necessità di servizio, che interessavano anche il settore cui era stata adibita la ricorrente, collegate ad un processo di riorganizzazione ancora in atto ed in via di definitiva attuazione, in conformità agli accordi collettivi raggiunti fra le parti sociali.

A fronte di tale accertamento, che fornisce adeguata giustificazione alla decisione impugnatale censure mosse dalla ricorrente appaiono del tutto generiche e prive di alcuna specificità, oltre che non coerenti con il canone di autosufficienza del ricorso per cassazione, non risultando nemmeno riportate le difese svolte nei precedenti gradi del giudizio, e che la corte di merito ha ritenuto prive di alcuna puntualità.

Il che implica che il ricorso non consente di individuare e specificare le ragioni che inducono a qualificare come illogiche o contraddittorie e contrarie a legge le valutazioni operate dai giudici di merito in ordine alla ricostruzione dei fatti costitutivi della domanda e alle relative allegazioni istruttorie, per come era pur imposto dai necessari caratteri di specificità e completezza che debbono caratterizzare, secondo l’insegnamento di questa Suprema Corte, l’atto di impugnazione, le cui censure, per consentire un puntuale apprezzamento della questione controversa, debbono manifestare uno specifico e chiaro collegamento col decisum del provvedimento impugnato.

In tali considerazioni restano assorbite le ulteriori contestazioni mosse, col motivo in esame, con riferimento alle ragioni sostitutive, pur poste a giustificazione della clausola di durata.

E ciò in aderenza al consolidato insegnamento giurisprudenziale per cui, ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della stessa, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia avuto esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo stesso dell’impugnazione.

Questa, infatti, è intesa alla cassazione della sentenza nella sua interezza, o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che l’una o l’altro autonomamente sorreggono, con la conseguenza che è sufficiente , pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa ad una sola di tali ragioni, perchè il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza (v. ad es. Cass. n. 902/2002;

Cass. n. 2273/2005; Cass. n. 811/2006).

3. Nel rigetto del terzo motivo restano, altresì, assorbite le ulteriori censure svolte con i primi due motivi del ricorso, relativi alla corretta interpretazione dell’art.5 del CCNL 11 gennaio 2001, nel caso non applicabile.

4. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 50,00 per esborsi ed in Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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