Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-02-2012, n. 1710 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 20.12.2006/12.1.2007 la Corte di appello di Salerno confermava la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da A.A. per far accertare la nullità del termine apposto al contratto stipulato fra lo stesso e le Poste Italiane per il periodo 14 febbraio 2001/31 maggio 2001, ai sensi dell’art. 25 del CCNL 2001 per "esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi".

Osservava la corte territoriale che nè la norma legale della L. n. 56 del 1987, art. 23, nè quella contrattuale ponevano vincoli o limiti al contenuto della clausola del contratto individuale, dal momento che la norma legale aveva rilasciato un’ampia delega all’autonomia collettiva e che la norma contrattuale subordinava la sua applicazione unicamente all’esistenza di un processo di riorganizzazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali dell’azienda.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso A.A. con due motivi, illustrati con memoria.

Resistono con controricorso Le Poste Italiane.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente lamenta violazione di norme di legge ( L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2, della L. n. 56 del 1987, art. 23), nonchè vizio di motivazione ed, al riguardo, osserva che la corte di merito aveva trascurato di considerare che, pur in presenza di un accordo collettivo che preveda, in termini generali, le ipotesi in cui è consentita l’assunzione a tempo determinato, era onere del datore di lavoro provare in maniera rigorosa la sussistenza effettiva delle circostanze che legittimano la clausola di durata nel caso specifico, tenuto conto, fra l’altro, che la L. n. 56 del 1987 si pone in linea di continuità con l’assetto normativo preesistente, "che si configura come una sorte di legge quadro".

Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 25 del CCNL 11.1.2011, nonchè vizio di motivazione, osservando, fra l’altro, come la società intimata non avesse offerto alcuna prova in ordine al mancato superamento del limite percentuale previsto rispetto al numero complessivo dei lavoratori in servizio e che tale prova nemmeno era stata richiesta dalla corte di appello.

2. Il primo motivo è infondato in base all’indirizzo ormai consolidato affermato da questa Corte con riferimento ai contratti a termine conclusi ai sensi dell’art. 25 del c.c.n.l. del 2001, in data anteriore all’entrata in vigore della nuova disciplina del contratto a termine ( D.Lgs. n. 368 del 2001).

Questa Suprema Corte, decidendo, infatti, in casi analoghi (v. fra le altre Cass. 26 settembre 2007 n. 20162; Cass. 1-10-2007 n. 20608), ha cassato le pronunce di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati in base alla previsione della norma contrattuale, osservando, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria "delega in bianco" a favore delle organizzazioni sindacali, le quali pertanto, non sono vincolate all’individuazione di figure contrattuali comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in attuazione della sopra citata "delega in bianco" le parti sindacali hanno legittimamente individuato, quale ipotesi autorizzativa della stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001.

In specie, quale conseguenza della suddetta delega conferita dal citato art. 23, questa Corte ha precisato che le organizzazioni sindacali, senza essere vincolate alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro temporaneo per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente "soggettivo", costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti.

Premesso, poi, che l’art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 prevede, come si è visto, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di "esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi", questa Corte ha ritenuto viziata l’interpretazione dei giudici del merito che, sull’assunto della assoluta genericità della disposizione in esame, hanno affermato che la stessa non contiene alcuna autorizzazione ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale speciale, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra i singoli contratti e le esigenze aziendali cui gli stessi sono strumentali.

Tale orientamento va confermato in questa sede, essendo la tesi sostenuta dal ricorrente (volta a prefigurare, in via interpretativa, limiti di operatività non contemplati nell’accordo collettivo) fondata, comunque, sull’erroneo presupposto che il legislatore non avrebbe conferito una "delega in bianco" ai soggetti collettivi ed avrebbe imposto al potere di autonomia negoziale limiti ulteriori e diversi rispetto a quelli autonomamente valutati dalle parti sociali.

3. Inammissibile è, invece, il secondo motivo, trattandosi di censura di cui non si ha riscontro nella decisione impugnata e che il ricorrente non ha documentato di aver proposto nei precedenti gradi del giudizio, per come imposto dal canone di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, con la conseguenza che la stessa deve apprezzarsi come nuova, e, pertanto, inammissibile in questa sede.

4. Il ricorso va, dunque, rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 50,00 per esborsi ed in Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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