Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 08-06-2011) 26-09-2011, n. 34799

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 18 febbraio 2010 il Tribunale di Nuoro in composizione monocratica, confermando la decisione assunta dal giudice di pace di Dorgali, ha riconosciuto D.S. responsabile del delitto di percosse in danno di F.L.;

ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

Secondo l’ipotesi accusatola, recepita dal giudice di merito, nel contestargli quale carabiniere un’infrazione stradale con l’invito a seguirlo in caserma per dare corso al sequestro di un ciclomotore, di fronte alla riluttanza del F. il D. lo aveva colpito con uno schiaffo.

La prova del commesso reato è stata ravvisata nelle dichiarazioni rese dalla persona offesa, riscontrate dalla deposizione della teste M.G., che aveva visto lo schiaffo; inoltre i testi U.L. e Ma.An., intervenuti sul posto poco dopo, avevano constatato la presenza di sangue su un labbro del F..

Ha proposto personalmente ricorso per cassazione l’imputato, affidandolo a due motivi.

Col primo motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione, sostiene essersi attribuito alla deposizione del teste U. un contenuto diverso da quello effettivo: egli, infatti, aveva dichiarato di essere stato presente e di non aver visto il D. colpire il F. con uno schiaffo; lamenta, altresì, che si sia dato credito alle dichiarazioni della teste M., sebbene contraddetta dalle restanti risultanze.

Col secondo motivo il ricorrente ripropone l’eccezione di prescrizione del reato; rileva che il decreto di citazione a giudizio è stato emesso in data 11 agosto 2003 e sostiene che la durata delle interruzioni (recte: delle sospensioni) non può essere superiore ai sessanta giorni.

Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.

Il primo motivo esula dal novero di quelli consentiti dall’art. 606 c.p.p.. Infatti le censure con esso elevate, dietro l’apparente denuncia di vizi della motivazione, si traducono nella sollecitazione di un riesame del merito – non consentito in sede di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.

Il Tribunale ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno indotto a dar credito all’ipotesi accusatoria; ha infatti posto a base del deliberato una ricostruzione del fatto derivata dalla analitica disamina e valutazione delle emergenze testimoniali, avuto riguardo non soltanto alle dichiarazioni della persona offesa (comunque giudicate intrinsecamente attendibili, in quanto precise e circostanziate), ma anche ai sicuri elementi di riscontro desunti dalla deposizione della teste M.G., presente al momento del fatto; in aggiunta a ciò ha valorizzato quanto riferito dai testi U.L. e Ma.An., i quali erano sopraggiunti in un secondo momento e avevano notato che il F. perdeva sangue da un labbro.

Il ricorrente sostiene che il Tribunale sia incorso in un travisamento della prova, per aver accreditato la versione fornita dalla M. in contrasto con le deposizioni degli altri testi, i quali avevano riferito di non aver visto alcuno schiaffo. Di contro, nessun travisamento è ipotizzabile in quanto il Tribunale ha mostrato di aver chiaramente colto la diversità di contenuto delle deposizioni testimoniali, ma di averla spiegata in base alla diversa fase temporale cui le testimonianze si riferivano, per essere l’ U. e la Ma. (richiamati dalla sonorità delle voci) sopraggiunti a portata di visuale solo dopo che lo schiaffo era stato dato: tant’è che il labbro del F. era già sanguinante. Dal canto suo non può dirsi contrastante col narrato della M. neppure la deposizione del carabiniere S., che per sua ammissione si era girato verso l’auto di servizio per chiuderne lo sportello (dato processuale evidenziato in altro passaggio della sentenza).

La ricostruzione del fatto, in definitiva, è il frutto di una vantazione complessiva delle risultanze che, per essere adeguatamente motivata, sfugge al sindacato della Corte di Cassazione. In argomento corre l’obbligo di ricordare che, ai fini del controllo del giudice di legittimità sulla motivazione, il vizio deducibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) è solo l’errore revocatorio (sul significante), in quanto il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata non può che essere inteso in senso stretto, quale rapporto di negazione (sulle premesse): mentre ad esso è estraneo ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per "brani" nè fuori dal contesto in cui è inserito. Ne deriva che gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa: e che pertanto restano inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio (Cass. 11 gennaio 2007 n. 8094).

L’inammissibilità del secondo motivo discende dalla sua manifesta infondatezza.

Il termine prescrizionale massimo applicabile – in presenza di fatti interruttivi ex art. 160 c.p. – al delitto di lesione volontaria, sia in base alla disciplina introdotta dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251 sia in base al regime pregresso, è di sette anni e sei mesi dalla data di consumazione del reato: conseguentemente, risalendo i fatti di cui all’imputazione alla data del 28 marzo 2003 e stante la molteplicità delle interruzioni succedutesi (basti citare la sentenza di primo grado: 29 giugno 2005), la naturale scadenza della prescrizione sarebbe collocabile alla data del 28 settembre 2010, già successiva alla sentenza di appello. Occorre, inoltre, tener conto delle cause di sospensione succedutesi nel corso dell’iter processuale, e precisamente: dei rinvii disposti per astensione dalle udienze proclamata dall’ordine professionale forense, che hanno comportato il differimento dal 17 dicembre 2003 al 24 marzo 2004, dal 24 marzo 2004 al 28 aprile 2004, dal 28 aprile 2004 al 14 luglio 2004 e dal 23 gennaio 2008 al 30 aprile 2008; del rinvio dal 2 marzo 2005 al 6 aprile 2005 per impedimento del difensore causato da motivi di salute; del rinvio dal 6 aprile 2005 al 25 maggio 2005 per impegno professionale del difensore; del rinvio dal 14 gennaio 2009 all’8 giugno 2009 per impedimento del difensore determinato da motivi di famiglia.

Secondo consolidata giurisprudenza, la collocazione temporale della sentenza di primo grado in una data anteriore all’entrata in vigore della citata L. n. 251 del 2005 comporta l’inapplicabilità della limitazione a 60 giorni della durata massima della sospensione per impedimento, di cui all’art. 159 c.p., comma 1, n. 3) (Cass. Sez. Un. 30 settembre 2010 n. 43428; Cass. Sez. Un. 29 ottobre 2009 n. 47008);

e tuttavia, anche ove si applicasse siffatta limitazione alle sospensioni determinate da impedimento del difensore (e non, dunque, ai casi di astensione collettiva dalle udienze, che non costituiscono impedimento: Cass. 17 giugno 2008 n. 25714), la durata complessiva delle sospensioni sarebbe comunque di 452 giorni: il che collocherebbe la scadenza del termine prescrizionale alla data del 24 dicembre 2011, tuttora appartenente al futuro.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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