Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 08-06-2011) 26-09-2011, n. 34798 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 28 luglio 2010 la Corte d’Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, confermando la decisione assunta dal giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Bolzano in esito al giudizio abbreviato, ha riconosciuto D.K. responsabile del delitto di maltrattamenti in famiglia ai danni della moglie P.A. e del figlio D.M., nonchè del delitto di lesione personale grave ai danni della prima, unificato al precedente sotto il vincolo della continuazione; ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

La prova dei commessi reati è consistita nelle dichiarazioni della P., riscontrate dai certificati medici e, in parte, dalle ammissioni stesse dell’Imputato, che ha riconosciuto la propria responsabilità quanto alla lesione infetta alla moglie il (OMISSIS).

Ha proposto personalmente ricorso per cassazione il D., affidandolo a due motivi.

Col primo motivo, articolato in quattro censure, il ricorrente impugna per carenza di motivazione: 1) il giudizio di colpevolezza in ordine al reato di maltrattamenti, per il quale sostiene non sussistere prove convincenti; 2) la condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, ed in particolare del minore marco D., per la quale rileva la mancanza di elementi su cui fondare la liquidazione; 3) il diniego delle attenuanti generiche; 4) il mantenimento della misura di custodia cautelare in carcere.

Col secondo motivo contesta la configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia, in mancanza del requisito costituito dal prolungarsi nel tempo della condotta incriminata.

Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.

Le censure mosse dal ricorrente – ora nel primo, ora nel secondo motivo – alla condanna per il reato di maltrattamenti esulano dal novero di quelle consentite dall’art. 606 c.p.p.; esse, infatti, dietro l’apparente denuncia di vizi della motivazione, si traducono nella sollecitazione di un riesame del merito – non consentito in sede di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.

La Corte territoriale ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno indotta a ravvisare nella condotta del D. gli elementi costitutivi del delitto di maltrattamenti in famiglia; al riguardo ha evidenziato come il narrato della P., ritenuto intrinsecamente attendibile e riscontrato per di più dai certificati medici acquisiti e dalle parziali ammissioni stesse dell’imputato, delineasse una convivenza familiare agitata dai problemi di alcool del D. e dalla sua gelosia nei confronti della moglie, perciò sfociata in episodi di aggressione fisica – talora selvaggia – ripetutisi nel tempo nei confronti della moglie, nonchè di aggressione alla sfera fisica e psichica del figlio, costretto anche ad assistere alle violenze perpetrate nei confronti della madre.

Della linea argomentativa così sviluppata il ricorrente non segnala alcuna caduta di consequenzialità, che emerga ictu oculi dal testo stesso del provvedimento; mentre il suo tentativo di accreditare un diverso, e più edulcorato, quadro familiare si risolve nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di cassazione.

Al riguardo non sarà inutile ricordare che, per consolidata giurisprudenza, pur dopo la modifica legislativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. 15 marzo 2006 n. 10951); e il riferimento ivi contenuto anche agli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" non vale a mutare la natura del giudizio di legittimità come dianzi delimitato, rimanendovi comunque estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Cass. 22 marzo 2006 n. 12634).

Ugualmente estranea al novero dei motivi deducibili nel giudizio di cassazione è la censura volta a criticare la mancata applicazione delle attenuanti generiche. Trattasi, invero, di statuizione che l’ordinamento rimette alla discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è margine per il sindacato di legittimità, quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica. Nel caso di specie la Corte d’Appello non ha mancato di motivare la propria decisione sul punto: sia col rilevare l’insussistenza di qualsiasi atto di resipiscenza o ammissione di responsabilità da parte dell’imputato, che potesse indurre a una moderazione del trattamento sanzionatolo; sia con l’evidenziare l’elemento di segno contrario costituito dalla gravità della condotta da lui posta in essere, lasciando trasparire la mancanza di freni inibitori anche nei confronti del familiare più inerme e indifeso. Siffatta linea argomentativa non presta il fianco a censura, non essendo necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p., ma essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che, nel discrezionale giudizio complessivo, assumono eminente rilievo.

La doglianza riferita al mantenimento dello stato di custodia cautelare è fuori luogo nel giudizio d’impugnazione della sentenza di condanna, avendo la sua sede naturale nell’incidente cautelare da attivarsi con appello al Tribunale distrettuale, di cui all’art. 309 c.p.p., comma 7 e art. 310 c.p.p..

Manifestamente infondata, infine, è la censura riferita alla liquidazione dei danni in favore delle persone offese, costituitesi parti civili; nel denunciare la mancanza di elementi concreti ai quali parametrare l’entità del pregiudizio causato, quanto meno nei confronti del minore D.M., il ricorrente mostra di non considerare che la quantificazione dei danni da illecito penale è comprensiva del danno morale: il quale è soggetto alla valutazione equitativa del giudice, da compiersi in base all’apprezzamento di tutte le circostanze concrete: fra queste, nel caso specifico di cui si tratta, non poteva certo omettersi di considerare l’incidenza sullo sviluppo psichico del minore esercitata dalla ripetuta consumazione, per anni, di atti di violenza a carico suo e della madre.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..

L’ambito familiare della consumazione dei reati, unitamente alla minore età di una delle persona offese, rende necessario l’oscuramento dei dati identificativi.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00. Dispone l’oscuramento dei dati identificativi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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