Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-02-2012, n. 1705 Retribuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il geom. P.B. adiva il Tribunale di Napoli chiedendo la condanna dell’Arcidiocesi di Napoli al pagamento del compenso fisso mensile maturato dal gennaio 1992 al 30 giugno 1999, pattuito con lettera di incarico del 19.11.1991 a firma dell’avv. P.A. – investito del potere di amministrare i beni immobili formanti il patrimonio di pertinenza della curia arcivescovile -, quale corrispettivo dell’attività cooordinata e continuativa prestata dall’istante nell’ambito dell’amministrazione di tali immobili, nonchè della somma di Euro 27.643,36 a titolo di compenso, calcolato secondo le tariffe professionali per lo svolgimento di attività varie che esulavano dal contratto del novembre 1991 (consulenze tecniche di parte, perizie giurate, sopralluoghi, direzione dei lavori).

Il Tribunale rigettava entrambe le domande. La prima in quanto riteneva disconosciuta dalla convenuta la scrittura contenente l’asserito incarico continuativo. La seconda per difetto di prova circa lo svolgimento di attività ulteriori rispetto a quelle che già erano state compensate.

A seguito di appello del P., la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la prima di dette domande, condannando la Arcidiocesi al pagamento in favore del medesimo della somma di Euro 114.911,66, oltre rivalutazione ed interessi.

Riteneva che la parte convenuta non aveva ritualmente e tempestivamente disconosciuto la lettera di incarico recante la data 19.11.1991, di cui non aveva neanche contestato la conformità all’originale della prodotta fotocopia. Infatti con la memoria difensiva ex art. 416 c.p.c. la convenuta in effetti non aveva contestato la veridicità della sottoscrizione o l’imputabilità dell’atto al sottoscrittore ma unicamente la validità sostanziale del contratto consacrato nel documento, adducendo la carenza all’epoca della qualità di geometra (abilitato) nel ricorrente e della capacità del procuratore di impegnare la Arcidiocesi (vietandogli il canone 470 del codice di diritto canonico l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato). Peraltro il successivo comportamento processuale della parte, come la riserva formulata all’udienza del 20.10.2000 di disconoscere il documento dopo la produzione del suo originale, confermava la mancanza di un iniziale disconoscimento. Neanche potevano rilevare i dubbi sulla genuinità della scrittura emergenti, almeno quanto alla sua data, dalla documentazione tendente a dimostrare che era stato utilizzato un tipo di carta intestata stampata in epoca successiva al 1991, anche perchè la convenuta non aveva compiutamente dedotto se l’ipotizzato abusivo riempimento di foglio firmato in bianco era avvenuto contro o oltre il patto intervenuto tra il firmatario e colui che aveva provveduto al riempimento.

Non era accoglibile, poi, la censura di nullità del contratto per carenza di potere del rappresentante dell’Arcidiocesi avv. P..

Questi, infatti, come risultava dalla procura per notar Sica 1.7.1987, aveva il potere di amministrare tutti i beni immobili sia urbani che rustici che formavano i patrimonio delle "Pie Confidenze" e di compiere tutti gli atti per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili con la possibilità di stipulare i relativi contratti e in particolare di nominare "procuratori e mandatari al fine di espletare alcuna o diverse delle attività sopraelencate". Del resto era stata dedotta l’invalidità del contratto in riferimento alla disposizione del diritto canonico che attribuisce solo al vescovo la nomina di coloro che esercitano un ufficio nella curia diocesana. Nel caso di specie il limite era superato dalla espressa facoltà conferita al P. di nominare procuratori e mandatari.

L’Arcidiocesi di Napoli ricorre per cassazione con tre motivi. Il P. non si è costituito.

Motivi della decisione

Il primo motivo denuncia vizi di motivazione e violazione degli artt. 210, 214 e 215 c.p.c..

Si sostiene che in effetti con la memoria di costituzione del giudizio di primo grado era stata espressamente disconosciuta la lettera di incarico recante la data del 19.11.1991, con la formula "la si impugna perchè la si ritiene non autentica" e con la precisazione dei relativi motivi (il geom. P. all’epoca non era iscritto al Collegio dei geometri e il suocero avv. P. lo doveva sapere; si era tentato di dare una parvenza all’instaurazione di una rapporto di lavoro subordinato e ciò, come ben sapeva il medesimo P., sarebbe stato impossibile in base al diritto canonico). Si ricorda anche che il disconoscimento della scrittura privata non richiede formule sacramentali. Si lamenta poi che nella sentenza impugnata si sia incogruamente sostenuto che non era posta in dubbio nè la provenienza della sottoscrizione nè l’autenticità del documento. In presenza del disconoscimento e in mancanza della richiesta di verificazione, la decisione manca di un reale fondamento probatorio. La circostanza che il P. aveva confermato di essere in possesso di fogli in bianco firmati dall’avv. P. chiarisce ulteriormente le motivazioni circa la non autenticità del documento.

Il motivo non può ritenersi fondato. In effetti esso non censura adeguatamente i puntuali rilievi del giudice di merito circa la mancanza, nelle difese della convenuta, di unii puntuale contestazione della scrittura privata in questione sotto il profilo della veridicità della sottoscrizione. Del resto le stesse deduzioni del motivo circa il possesso da parte dell’attuale intimato di fogli firmati in bianco da parte dell’avv. P. evidenzia la perdurante mancanza di una chiara linea difensiva della parte ricorrente al riguardo.

Il secondo motivo denuncia violazione delle stesse norme di diritto ed inoltre dell’art. 216 c.p.c., oltre a vizi di motivazione.

Premesso che la ricorrente aveva fornito la prova che la carta intestata su cui risultava redatta la lettera di incarico data 19.11.1991 era stata stampata solo nel 1993 e che la stessa Corte d’appello aveva rilevato che sussisteva quanto meno un legittimo dubbio quanto alla genuinità della data del documento, si sostiene innanzitutto che il presunto rapporto di lavoro avrebbe potuto ritenersi costituito solo a decorrere dal 1993. Si deduce poi che tale elemento deve ritenersi da solo idoneo a rappresentare l’invalidità totale dell’atto, perchè il giudicante non può non tenere conto della dimostrata non corrispondenza delle dichiarazioni alla verità. Peraltro la palese falsità della data è elemento che da solo è idoneo a rappresentare l’invalidità totale dell’atto, anche perchè, secondo la giurisprudenza, anche senza querela di falso si può dare la prova della mancata corrispondenza tra la firma posta in calce ed il contenuto dell’atto disconosciuto.

Neanche questo motivo merita accoglimento.

Quanto all’ipotesi del riempimento da parte del P. di foglio in bianco firmato dal P., la Corte d’appello ha attribuito rilievo decisivo alla circostanza che l’attuale parte ricorrente non aveva compiutamente dedotto se tale ipotizzato abusivo riempimento era avvenuto in assenza di patto di riempimento o in difformità del patto intervenuto tra il firmatario e colui che aveva provveduto al riempimento. Tale osservazione si collega alla diversità dei regimi di impugnazione dell’atto, o del suo contenuto, nei due casi, ricordato in sentenza (querela di falso o mera prova del mancato rispetto del patto di riempimento). Inoltre alla base di tale rilievo vi è l’implicito assunto che, ove invece il riempimento sia avvenuto nel rispetto del patto, poco rilevi la data effettiva in cui il riempimento sia avvenuto. Ebbene, il motivo di ricorso in esame omette di focalizzarsi adeguatamente su tali punti, costituenti l’effettiva ratio decidendi, riguardo all’aspetto ora in esame.

Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 1398 c.c..

Si deduce che, ipotizzata la genuinità della scrittura, avrebbe dovuto rilevarsi che con la stessa erano stati esercitati dall’avv. P. poteri che non gli erano stati conferiti con la procura del 1 luglio 1987. Egli era stato investito del potere di amministrare immobili e di compiere gli atti necessari per la loro manutenzione ordinaria e straordinaria, con la possibilità di stipulare i relativi contratti e in particolare di nominare procuratori e mandatati al fine di espletare alcuna o diverse delle attività sopraelencate. Cosa ben diversa era instaurare un rapporto di lavoro dipendente per la durata di nove anni, fissando anche un compenso mensile. Infatti non era attribuito al mandatario alcun potere di amministrazione straordinaria relativo alla possibilità di instaurare rapporti di lavoro o collaborazioni continuative in nome e per conto dell’Arcidiocesi.

Peraltro l’eccezione relativa era stata puntualmente evidenziata nella memoria difensiva per il primo grado di giudizio e nella memoria difensiva davanti alla Corte d’appello.

La sentenza impugnata contiene uno specifico accertamento di fatto a giustificazione della conclusione secondo cui nella specie non si era verificato da parte dell’avv. P. l’esercizio di poteri eccedenti quelli effettivamente conferitigli da parte del legale rappresentante della diocesi. Con il motivo ora in esame si propone, in sostanza, una diversa interpretazione della procura di cui si discute, senza formulare, come sarebbe stato necessario, censure di vizio di motivazione o di violazione dei criteri legali di interpretazione degli atti negoziali. Quindi – anche a prescindere dalla improprietà del richiamo dell’art. 1398 c.c. relativo alla responsabilità nei confronti del terzo di chi ha contrattato senza poteri – risulta priva di adeguato presupposto fattuale la doglianza di esercizio di poteri non effettivamente conferiti con la procura.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Nulla per le spese stante la mancata costituzione in giudizio della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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