Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-02-2012, n. 1704 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 31/1 – 5/3/07 la Corte d’appello di Salerno – sezione lavoro rigettò l’impugnazione proposta da N. B. avverso la sentenza del giudice del lavoro dello stesso capoluogo che le aveva respinto la domanda diretta a sentir accertare l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso con la società Poste Italiane s.p.a. in relazione al periodo 8/7/00 – 30/9/00 per la causale della necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre, in base all’art. 8 del c.c.n.l. 26.11.94.

Con tale decisione la Corte territoriale ribadì la legittimità dell’apposizione del termine al suddetto contratto alla luce della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 8 del contratto collettivo del 26 novembre 1994 e dell’accordo attuativo del 27 aprile 1998, compensando, nel contempo, le spese de secondo grado di giudizio.

Avverso tale sentenza propone ricorso in cassazione la B., la quale affida l’impugnazione a due motivi di censura.

Resiste con controricorso la società Poste Italiane s.p.a. che deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Col primo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 8 CCNL Poste 26.11.94, della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 3 e della L. n. 56 del 1987, mentre col secondo motivo deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè l’insussistenza delle condizioni di legge per l’apposizione dei termine con riferimento alla motivazione espressa delle "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie".

In sintesi, a sostegno dei suddetti motivi, la ricorrente muove alla sentenza impugnata le seguenti censure: – Sarebbe mancata nella decisione della Corte di merito qualsiasi riferimento alla individuazione della esistenza o meno di un nesso causale tra le motivazioni genericamente espresse nel contratto di assunzione a termine e quelle realmente riscontrabili nel caso concreto, tanto più che sarebbe stato onere della datrice di lavoro, ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 3, provare l’obiettiva esistenza delle condizioni legittimanti l’apposizione del termine al contratto di lavoro. Al contrario, sarebbe emerso che l’esigenza delle reiterate assunzioni presso la sede lavorativa di Badia di Cava dei Tirreni era sempre la stessa, vale a dire la cronica carenza di personale, non fronteggiata da alcuna assunzione a tempo indeterminato, per cui si erano rivelate insussistenti le circostanze di fatto che avrebbero potuto rendere legittima l’apposizione del termine, cioè l’esigenza di sostituire personale in ferie. Nè poteva aver rilievo la considerazione, formulata dal giudice d’appello, in base alla quale il periodo giugno – settembre era contrattualmente previsto come destinato alle ferie, dal momento che era stato provato che le assunzioni a termine erano reiterate in ogni periodo dell’anno.

Da tali presupposti la ricorrente ricava, quindi, il seguente principio di diritto: – La normativa di cui alla L. n. 230 del 1962, come modificata dalla L. n. 56 del 1987, è applicabile nel caso di specie ed ai sensi di tale normativa la legittimità della apposizione del termine al contratto di lavoro a tempo determinato è subordinata alla allegazione ed alla prova, a carico del datore di lavoro, del nesso di causalità tra la singola assunzione e le reali esigenze di fatto ad essa sottese, con obbligo di valutazione caso per caso della sussistenza delle condizioni legittimanti l’esistenza di "concomitanza di assenze per ferie" Osserva la Corte che entrambi i motivi sono infondati.

Questa Corte intende, infatti, ribadire la propria giurisprudenza, formatasi nel vigore dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella sua originaria formulazione (cfr., fra le ultime, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), la quale, con riferimento ad una fattispecie simile a quella in esame, ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la necessità di uno specifico collegamento fra il singolo contratto e le esigenze aziendali; siffatta sentenza, ad avviso della S.C., era infatti viziata da violazione di norme di diritto e da un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

La violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito aveva negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie; è stato rilevato in proposito che siffatta pronuncia del giudice del merito si poneva in contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588; in base al suddetto principio, infatti, la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge.

Per quanto concerne il vizio di interpretazione della normativa collettiva è stato osservato che la statuizione del giudice del merito, nell’escludere che l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo possa contemplare, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie, ha dimostrato una carenza di indagine sull’intenzione espressa dagli stipulanti; ed infatti il quadro legislativo di riferimento impone l’esame del significato delle espressioni usate dalle parti stipulanti, ed in particolare un’indagine sulle ragioni dell’uso di una formula diversa da quella della legge, priva di riferimenti alla sostituzione di dipendenti assenti, sostituiti dalla precisazione del periodo per il quale l’autorizzazione è concessa (pur potendo le ferie essere fruite in periodi diversi), onde verificare se la necessità di espletamento del servizio faccia riferimento a circostanze oggettive, o esprima solo le ragioni che hanno indotto a prevedere questa ipotesi di assunzione a termine, nell’intento di considerarla sempre sussistente nel periodo stabilito, in correlazione dell’uso dell’espressione "in concomitanza"; inoltre, altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678) hanno confermato la decisione di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nei periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie. Atteso che la sentenza impugnata ha interpretato correttamente la normativa in esame, avendo fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, tale specifico motivo deve essere rigettato.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3000,00 per onorario, Euro 50,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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