Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-06-2011) 26-09-2011, n. 34794

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Trieste, con sentenza del 21 aprile 2010 ha confermato la sentenza del Tribunale di Udine del 28 novembre 2006 con la quale B.M. era stato condannato per i delitti di tentato e di furto continuato aggravato.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando una erronea applicazione della legge penale, quanto alla ritenuta responsabilità per il reato tentato nonchè una violazione di legge, ai sensi dell’art. 521 c.p.p., relativamente alla contestata aggravante del mezzo fraudolento di cui all’art. 625 c.p., n. 2.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è, all’evidenza, da rigettare, essendo ai limiti dell’ammissibilità, posta anche la ripetitività nella presente sede dei motivi già proposti avanti la Corte di Appello e dalla stessa correttamente disattesi.

2. Il primo motivo, sotto la formale indicazione dell’esistenza Dell’impugnata decisione di una violazione di legge, giunge a dare dei fatti una ricostruzione non consentita avanti questa Corte di legittimità.

La Corte territoriale, inoltre, con motivazione pienamente logica ed ispirata ai principi della materia ha chiarito l’esistenza, quanto al contestato capo al di un’ipotesi di reato tentato, in quanto era avvenuto lo spostamento dei beni da sottrarre dal luogo ove erano posizionati in altro luogo che, sebbene nell’ambito degli stessi locali del proprietario, costituiva, per le modalità (occultamento) e per il ritrovamento di altro materiale presso l’abitazione dell’imputato, chiaro indizio della volontà di asportare anche tali beni.

3. Il secondo motivo è ugualmente infondato in quanto, secondo il più recente indirizzo delle Sezioni Unite di questa Corte (v. sentenza n. 36551 del 15 luglio 2010), in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorra una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non vada esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione.

Il che è quanto accaduto nel caso di specie come, del pari e correttamente, già affermato dalla Corte di Appello nel sancire che il Giudice di prime cure avesse semplicemente attribuito il nomen iuris alla fattispecie sottoposta al suo esame, senza alcun mutamento del fatto ascritto e consentendo, per questo, all’imputato di approntare la necessaria difesa.

4. Il ricorso va, in definitiva, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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