Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-06-2011) 26-09-2011, n. 34793 Impugnazioni del pubblico ministero

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, Sezione Penale per i Minorenni, con sentenza del 26 marzo 2010 ha confermato la sentenza del Tribunale per i Minorenni di Taranto del 9 giugno 2009 con la quale T.G. e S.G. erano stati condannati per il delitto di furto pluriaggravato.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, lamentando:

S.G. sia un generico "error in iudicando in iure" tale da integrare il vizio di violazione di legge di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) che un vizio di motivazione mancante ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c);

T.G. quale primo motivo l’insufficiente e illogica motivazione sul punto dell’accertamento della penale responsabilità e quale secondo motivo la mancata concessione delle attenuanti generiche.

Motivi della decisione

1. Il ricorso di S.G. è, all’evidenza, inammissibile in quanto i motivi sono del tutto generici consistendo in mere petizioni di principio e riferimenti giurisprudenziali, senza alcuna indicazione delle parti della sentenza impugnata da sottoporre all’esame di legittimità e senza neppure indicare in concreto quale affermazione della motivazione non rivestisse gli estremi della correttezza giuridica e della logica affermazione della penale responsabilità. 2. Il ricorso di T.G. è da rigettare, essendo ai limiti dell’inammissibilità posta, innanzitutto, la ripetitività nella presente sede dei motivi già proposti avanti la Corte di Appello e dalla stessa correttamente disattesi.

A ciò si aggiunga come le censure, sia in punto di ricostruzione dei fatti che in punto di mancata concessione delle attenuanti generiche si risolvono in indebite richieste di riletture degli atti di causa non consentite avanti questa Corte di legittimità.

L’illogicità della motivazione della impugnata sentenza, infatti, per poter essere oggetto del chiesto annullamento deve essere manifesta.

Giova, quindi, premettere, in punto di diritto, come il giudizio di legittimità rappresenti lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non possa costituire un terzo grado di giudizio volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione.

Si tratta di principio affermato in modo condivisibile a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali n. 2110, del 23 novembre 1995 e successivamente dalla più recente giurisprudenza (v. per tutte, Cass. Sez. 2 5 maggio 2006, n. 19584 e Sez. 3 27 settembre 2006, n. 37006).

Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte Costituzionale che, argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46 al potere di impugnazione del pubblico ministero, ha affermato che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di Cassazione è "rimedio che non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito invece dall’appello".

Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di Cassazione non ha "la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo operato dalle Corti di Appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., lett. e), non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al Giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.

Tale impostazione è stata ribadita, anche dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e) apportata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b), dalle sentenze n. 39048 del 25 settembre 2007 di questa stessa Sezione 5 e n. 39729 del 18 giugno 2009 della Sezione 3, secondo le quali può aversi vizio di travisamento della prova quando l’errore sia in grado "di disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione", e che questo può avvenire solo nei casi in cui "si introduce in motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo", oppure "si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della decisione".

L’esame di uno specifico materiale processuale, dunque, non può mai comportare per la Corte di legittimità una nuova valutazione del risultato probatorio e delle sue ricadute in termini di ricostruzione del fatto e delle responsabilità, ma deve limitarsi a verificare che la sentenza impugnata non sia incorsa nel vizio del travisamento della prova.

Ciò perchè: "Il Giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti ed a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso, devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata". 3. Deve procedersi, in caso di diffusione del presente provvedimento, ad omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del S., rigetta quello proposto da T..

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