T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 17-10-2011, n. 7996 Atti amministrativi diritto di accesso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Preliminarmente ritiene il Collegio di dover disporre la riunione dei ricorsi per evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva.

Con istanze datate 4 febbraio 2011 e 7 aprile 2011, aventi il medesimo oggetto, i ricorrenti – rispettivamente il CODACONS, l’Associazione per la tutela degli utenti dell’informazione, della stampa e del diritto d’autore, il Prof. Carlo Rienzi ed il maestro Stefano Valente, nella qualità di soci della SIAE – hanno chiesto l’accesso ai seguenti atti:

1) Copia delle delibere con cui gli organi gestionali della SIAE hanno deciso di acquistare le obbligazioni L.B. a termine decennale;

2) Copia delle delibere e degli atti attestanti le valutazioni in ordine al mancato ritiro dei titoli stessi a favore del crescente fallimento della L.;

3) Copia delle delibere assembleari con le quali è stata disposta azione di responsabilità nei confronti del Consiglio di Amministrazione che dispose di investire i fondi SIAE nell’acquisto di obbligazioni L.B.;

4) Copia di atti afferenti il conferimento dell’incarico ad uno o più legali per la tutela di diritti ed interessi della SIAE e, di riflesso, dei suoi soci in relazione alla procedura concorsuale a carico della L.B.;

5) Copia di atti e/o documenti nonché di atti introduttivi di giudizi e/o di eventuali trattative stragiudiziali finalizzati alla tutela degli interessi e dei diritti della SIAE e dei suoi associati relativamente al cd. "crack L.".

Dette istanze sono state respinte con i provvedimenti impugnati adottati dalla SIAE il 10 marzo 2011 e il 19 maggio 2011 e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali il 25 marzo 2011 e il 25 maggio 2011.

La SIAE, nel negare l’accesso agli atti, ha chiarito di aver intrapreso – in seguito al crack L.B. – tutte le necessarie attività a tutela degli interessi dell’ente e degli associati; ha poi precisato che l’istanza di accesso doveva ritenersi meramente ripetitiva di precedenti istanze di accesso datate 15/9/08, 29/9/08, 22/7/09 e 9/9/09 che erano state respinte per mancanza degli elementi essenziali richiesti dalla legge per l’accesso agli atti.

L’Ente ha ritenuto che difettasse la legittimazione soggettiva all’accesso per quanto concerne le associazioni dei consumatori, non essendo titolari di una posizione differenziata, e che non vi fosse alcuna correlazione tra i documenti richiesti e la posizione acquisita al momento dell’iscrizione presso la SIAE per quanto concerne i due soci, rispettivamente il Prof. Carlo Rienzi ed il maestro Stefano Valente.

Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha invece respinto l’istanza rilevando che i documenti dei quali era stato richiesto l’accesso non erano riconducibili ad atti formati o detenuti dall’Amministrazione.

Il diniego di accesso da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – a prescindere da ogni considerazione di ordine processuale – è immune da vizi.

Gli atti dei quali i ricorrenti hanno chiesto l’ostensione si riferiscono esclusivamente alla SIAE, non essendo palesemente atti formati dal Ministero, né da esso detenuti stabilmente per ragioni di vigilanza, così come chiarito dall’Avvocatura erariale nella propria memoria difensiva.

Il potere di vigilanza del Ministero, infatti, si estrinseca nell’approvazione dello statuto dell’ente, nell’approvazione del regolamento elettorale, nella nomina del consiglio di Amministrazione, nella proposta di nomina del Presidente dell’ente designato dall’Assemblea, nell’approvazione dei bilanci, nella nomina dei revisori dei conti e non comporta l’acquisizione di tutte le delibere del Consiglio di Amministrazione dell’Ente, che è soggetto autonomo rispetto al Ministero, dotato di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile riconosciutagli in quanto ente pubblico economico.

Il Ministero ha prodotto in giudizio quanto era in suo possesso con riferimento alla questione relativa al crack L., e cioè la relazione al bilancio di esercizio relativo all’anno 2008, il bilancio, il verbale dei revisori dei conti n. 12 nel quale si dà conto della "situazione titoli L.B." nella quale i revisori dichiarano che il rating dei titoli era buono fino al 12 settembre, dimostrando di non voler "nascondere" alcunché in proposito, ma ha precisato che la domanda di accesso non avrebbe dovuto essere proposta nei suoi confronti, non soltanto perché gli atti richiesti non sarebbero in suo possesso, ma anche perché avrebbero dovuto essere richiesti esclusivamente all’Amministrazione che li ha formati, essendo il criterio normativo della stabile detenzione, meramente sussidiario.

La tesi dell’Amministrazione è condivisibile.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza – basato peraltro sul tenore testuale della norma – il criterio principale per identificare il soggetto passivo della richiesta di accesso è quello della formazione del documento, mentre quello della stabile detenzione deve ritenersi meramente sussidiario: ne consegue che legittimata passivamente deve intendersi l’amministrazione che ha confezionato l’atto mentre solo nell’ipotesi di successiva trasmissione della detenzione dello stesso a quella che lo detiene stabilmente, l’istanza di accesso può essere legittimamente rivolta a quest’ultima (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 15 marzo 2011, n. 2353; T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 05 marzo 2009, n. 1756)

La materiale disponibilità del documento, infatti, non costituisce criterio generale di individuazione dell’Amministrazione obbligata a pronunciare sull’istanza di accesso, ma assume rilevanza a detto fine esclusivamente nel caso in cui l’Amministrazione che ha formato il documento sia diversa da quella che in atto lo detiene stabilmente, dovendo in tal caso appunto attribuirsi prevalenza al criterio del possesso dell’atto (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 13 luglio 2010, n. 24842).

Nella specie il Ministero non è legittimato passivamente, essendo evidente che gli atti dei quali è richiesta l’ostensione – ammesso che siano tutti esistenti – sono stati formati dalla SIAE e da essa sono detenuti, per cui l’istanza di accesso avrebbe dovuto essere proposta soltanto nei confronti della SIAE e non del Ministero che non li detiene.

Ne consegue che il ricorso proposto nei confronti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali deve ritenersi inammissibile per difetto di legittimazione passiva dell’Amministrazione intimata.

Può esaminarsi ora la questione relativa al diniego di accesso agli atti prestato dalla SIAE.

Preliminarmente devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità ed improcedibilità proposte dalla SIAE nella propria memoria.

In particolare, con riferimento al ricorso RG 3532/11, la SIAE ha eccepito l’improcedibilità del ricorso per violazione dell’art. 45 del D.Lgs. 104/10, in quanto i ricorrenti avrebbero dapprima depositato il ricorso in segreteria e solo successivamente lo avrebbero notificato.

Dalla disamina del fascicolo di causa emerge che i ricorrenti hanno provveduto a notificare il ricorso prima di depositarlo ma hanno erroneamente effettuato la notifica alla SIAE presso la sede legale dell’Arcus S.p.A., soggetto del tutto estraneo al giudizio; resisi conto della nullità della notifica, hanno rinotificato al ricorso alla SIAE, questa volta correttamente presso la sua sede legale, ma oltre il termine legale e dopo aver depositato il ricorso presso il T.A.R.

Non vi è dubbio, quindi, che il ricorso RG. 3532/11 sia stato irritualmente notificato nei termini di legge, ma la nullità della notifica del ricorso introduttivo è stata comunque sanata dalla costituzione in giudizio della SIAE.

Occorre poi rilevare che invece non sussistono irregolarità nella proposizione del successivo ricorso RG. 5193/11 riunito al precedente, con conseguente perdita di rilevanza dell’eccezione stessa.

L’eccezione di improcedibilità deve essere dunque respinta.

Devono essere ora esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa della SIAE con riferimento:

alla violazione del ne bis in idem, essendo state presentate una pluralità di analoghe istanze di accesso tutte respinte dalla SIAE per i medesimi motivi, e sulle quali si è già pronunciato il giudice amministrativo (in particolare con la sentenza n. 4384/11 della Sezione Terza Ter del T.A.R. Lazio);

all’accesso agli atti relativi all’azione di responsabilità nei confronti dei componenti del Consiglio di Amministrazione della SIAE che disposero l’investimento, per mancata notifica ai controinteressati, facilmente identificabili in considerazione delle funzioni svolte;

al difetto di legittimazione attiva e di interesse di tutti i soggetti ricorrenti, e quindi sia delle associazioni di consumatori che dei soci SIAE Rienzi e Valente, trattandosi di indagine ispettiva;

alle ulteriori domande proposte con i ricorsi in oggetto e cioè: alla declaratoria dell’obbligo di ordinare alla SIAE di promuovere l’azione di responsabilità nei confronti dei componenti del Consiglio di Amministrazione che disposero l’investimento, alla domanda risarcitoria derivante dalla mancata distribuzione dei dividendi, alla richiesta di disporre la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica per il perseguimento del reato di omissione di atti di ufficio.

Palesemente fondata è l’eccezione con riferimento alle domande ulteriori rispetto alla richiesta di accesso, essendo il rito speciale dell’accesso diretto ad ottenere esclusivamente l’ostensione dei documenti la cui esibizione sia stata negata dall’Amministrazione; per cui le domande ultronee formulate nel ricorso introduttivo nulla hanno a che vedere con la richiesta di esibizione dei documenti e sono pertanto inammissibili.

In ogni caso, la Procura della Repubblica è stata già investita della questione da parte del CODACONS, archiviando peraltro i relativi procedimenti, come dimostrato in giudizio dalla difesa della SIAE; a sua volta il Tribunale Penale di Roma, con la sentenza n. 24120 del 3/12/2010, non ha ritenuto sussistere profili penali con riferimento all’investimento della SIAE.

L’azione di responsabilità non può essere ordinata dal T.A.R. ad un ente pubblico economico quale è la SIAE, non disponendo il giudice amministrativo di detto potere.

Quanto alla domanda risarcitoria, oltre ad essere estranea al giudizio sull’accesso, è sufficiente rilevare che la pretesa appare del tutto sprovvista di elementi probatori in merito all’esistenza del danno per mancata distribuzione di dividendi (tanto più che i due soci SIAE o non hanno percepito dividendi o hanno ricevuto somme irrisorie); manca inoltre la prova in merito all’esistenza di una effettiva responsabilità da parte del Consiglio di Amministrazione che dispose l’investimento.

Passando ad esaminare le ulteriori eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa della SIAE, è opportuno rilevare che su analoga questione si è recentemente pronunciato questo Tribunale (sent. della Sez. III Ter n. 4384/11) le cui conclusioni sono sostanzialmente condivisibili, pur con le dovute precisazioni.

Non vi è dubbio che la domanda di accesso oggetto degli attuali giudizi presenti parziale coincidenza con quella già esaminata dal T.A.R., ma la mancata totale coincidenza sia tra i documenti richiesti sia tra i richiedenti l’accesso e la proposizione del ricorso (mancando in quel giudizio il ricorrente Valenti), non consente di configurare la violazione del principio del ne bis in idem.

Ritiene però il Collegio di condividere pienamente quanto rilevato dal giudicante in quella decisione in ordine alla mancata notifica ai controinteressati, con riferimento all’acquisizione delle delibere relative all’azione di responsabilità nei confronti dei componenti del Consiglio di Amministrazione dell’Ente, con conseguente inammissibilità del ricorso nella parte afferente i predetti atti, dei quali, peraltro, non vi è certezza in merito alla loro esistenza, considerato che la difesa della SIAE ha negato in memoria che potessero sussistere i presupposti per l’esercizio della relativa azione.

Altrettanto condivisibili sono le affermazioni contenute nella sentenza citata con riferimento alla natura del diritto di accesso, ovvero del diritto di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi da parte di tutti coloro che l’art. 22 della L. 241/90 definisce come "interessati", ovvero di tutti i soggetti che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento del quale è richiesto l’accesso, distinguendo il diritto di accesso dall’esercizio del potere ispettivo preordinato ad un controllo generalizzato sull’operato delle pubbliche amministrazioni (art. 24 comma 3 della L. 241/90).

Con riferimento alle associazioni dei consumatori il giudicante – richiamando peraltro principi consolidati in giurisprudenza – ha rilevato che il diritto di accesso trova un preciso limite dato dalla necessità che esso non si tramuti in azione popolare dovendo sussistere sempre e comunque l’esistenza di un interesse differenziato della parte che richiede i documenti, non disponendo le associazioni dei consumatori di un diritto generalizzato e pluricomprensivo alla conoscenza di ogni documento riferibile all’attività dell’ente, ma ai soli atti che hanno una incidenza diretta sui servizi rivolti ai consumatori, e non in via meramente ipotetica e riflessa sui loro interessi (cfr. sul punto Cons. Stato Sez. VI 10/2/06 n. 555; T.A.R. Lazio Sez. III Ter 20 febbraio 2008 n. 1559; T.A.R. Lazio Sez. III Ter, 3 maggio 2011 n. 3825).

In altre parole, alle associazioni di consumatori il legislatore non riconosce un diritto di accesso diverso da quello attribuito in generale dalla L. n. 241/90 (cfr. Cons. Stato Sez. VI 10/2/2006 n. 555; Cons. Stato Sez. IV 29/4/2002 n. 2283), e quindi le associazioni dei consumatori, quando richiedono l’accesso, devono dimostrare l’esistenza di un interesse diretto attuale e concreto alla conoscenza degli atti al fine di tutelare l’interesse della categoria che rappresentano.

Nel caso di specie, gli atti di cui si chiede l’accesso non presentano alcuna correlazione con gli interessi dei consumatori di cui sono portatori il CODACONS e l’Associazione per la tutela degli utenti dell’informazione, della stampa e del diritto d’autore, trattandosi di atti relativi alla gestione delle somme spettanti agli associati alla SIAE, categoria ben distinta da quella generale dei consumatori o degli utenti dell’informazione, della stampa e del diritto di autore.

Ne consegue l’inammissibilità dell’impugnazione per difetto di legittimazione attiva per ciò che concerne le associazioni ricorrenti.

Deve essere ora esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva e di interesse al ricorso per ciò che concerne i soci SIAE, e cioè il Prof. Carlo Rienzi ed il maestro Stefano Valente.

Detti ricorrenti, a dimostrazione dell’esistenza di una posizione differenziata che li abilitasse all’impugnativa, hanno rilevato che la loro legittimazione deriverebbe dal solo fatto di essere soci della SIAE ed il loro interesse all’accesso deriverebbe dalla necessità di acquisire gli atti al fine di comprendere perché "a causa degli investimenti della SIAE, le loro entrate negli anni 2003 e ss siano notevolmente diminuite e che fine hanno fatto i loro soldi e le annunciate azioni di recupero degli stessi perduti nella voragine L." (pag. 6 della memoria dei ricorrenti); "il diritto di accesso del mandante socio Valente è anche quello di avere gli elementi per valutare la esperibilità di una azione di infedele mandato nei confronti dell’ente secondo le regole del codice civile, ossia interesse – ampiamente tutelato dalla legge 241/90 – alla propria difesa in giudizio per avere i propri soldi spariti" (pag. 7 della memoria dei ricorrenti).

Ritiene il Collegio che la qualifica di socio della SIAE comporti l’acquisto di una posizione differenziata rispetto al quisque de populo con riferimento agli atti di gestione dei proventi ricavabili dall’utilizzazione delle opere dell’ingegno: l’essersi associati o l’aver conferito mandato all’Ente per la riscossione dei proventi e della loro distribuzione agli aventi diritto, conferisce al socio o al mandate un rapporto diretto con l’ente che lo abilita in prima persona – al di là degli strumenti rappresentativi di democrazia interna – ad interessarsi alle vicende relative alla gestione dell’ente – qualora e nei limiti in cui – riguardino la propria posizione giuridica e ricadano sulla propria sfera di interesse.

In altre parole, sebbene il socio presenti una posizione differenziata in quanto iscritto all’ente, ciò non significa – comunque – che possa accedere a qualunque atto relativo alla gestione della società, o possa richiedere informazioni sulla gestione dell’ente al fine di svolgere indagini ispettive sostituendosi agli organi preposti secondo le norme statutarie; in altre parole, il socio SIAE può chiedere l’accesso agli atti adottati dall’Ente solo quando dispone dei requisiti previsti dall’art. 22 della L. 241/90, e cioè quando sia titolare di un interesse diretto, concreto ed attuale alla conoscenza dei documenti di cui chiede l’accesso, al fine di tutelare una situazione giuridicamente protetta dall’ordinamento e collegata alla conoscenza del documento.

Detti presupposti non ricorrono nel caso del socio Prof. Carlo Rienzi che non avendo maturato alcun provento dalla data di iscrizione alla SIAE fino ad oggi, non può aver subito alcun concreto, diretto ed attuale pregiudizio dall’investimento in titoli L.B., e che dunque alcuna azione a tutela dei propri interessi economici può attivare non avendo subito danni economici.

Il diverso interesse – questa volta meramente ispettivo – a conoscere tutti i retroscena della vicenda, non rientra nell’ambito del diritto di accesso secondo il quadro normativo.

Ritiene il Collegio che neppure il socio Valente sia titolare di un interesse concreto ed attuale alla conoscenza degli atti indicati nell’istanza di accesso, per alcuni dei quali non vi è addirittura certezza in merito alla loro esistenza: è stata chiesta, infatti, l’esibizione non soltanto delle delibere con le quali è stato autorizzato l’investimento, ma di tutti gli atti correlati alla vicenda L., da quelli relativi all’ipotetica azione di responsabilità nei confronti dei membri del Consiglio di Amministrazione, a quelli relativi alla mancata decisione di non ritirare i titoli, a quelli relativi al conferimento dell’incarico ai legali per agire in giudizio o in via transattiva al fine di recuperare i soldi investiti nei titoli L., dimostrandosi così che la richiesta di accesso non è stata effettuata per conoscere specifici atti incidenti nella propria sfera giuridica, ma al solo fine di comprendere – con finalità palesemente ispettive, estranee alla figura dell’accesso delineata dal Legislatore – come la SIAE abbia gestito l’intera vicenda del crack L.B..

L’interesse diretto, concreto ed attuale del maestro Valente non può desumersi, infatti, dalla allegata necessità di curare i propri interessi economici al fine di recuperare "i propri soldi spariti", considerato che l’irrisoria entità delle somme da lui percepite dalla SIAE (Euro 2,54 nell’anno 2006, Euro 0,34 nell’anno 2007, Euro 0,04 nell’anno 2008 in cui si è concretizzato il default della L.) non giustifica l’effettivo interesse conoscitivo del richiedente, ricondotto nei termini di cui all’art. 22 della L. 241/90.

La giurisprudenza ha più volte rilevato che la domanda di accesso ai documenti amministrativi non può essere palesemente sproporzionata rispetto all’effettivo interesse conoscitivo del soggetto, che deve specificare il puntuale riferimento che lega il documento richiesto alla propria posizione soggettiva, ritenuta meritevole di tutela (Cons. Stato Sez. V 4 agosto 2010 n. 5226; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 03 giugno 2011, n. 5005; T.A.R. Lazio Sez. I 7 giugno 2010 n. 15710).

Nel caso di specie, la sproporzione esistente tra l’effettivo interesse concreto del socio Valente all’accesso agli atti richiesti e la complessità ed ampiezza della documentazione richiesta, è palese.

Ritiene dunque il Collegio che neppure per detto socio sussistono i requisiti di cui all’art. 22 della L. 241/90.

In conclusione, per i suesposti motivi, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.

Quanto alle spese di lite, sussistono tuttavia giusti motivi per disporne la compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

li riunisce e li dichiara inammissibili.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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