Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-06-2011) 26-09-2011, n. 34790

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Chieti, con sentenza del 10 dicembre 2009, ha confermato la sentenza del Giudice di pace di Chieti dell’11 gennaio 2007 che aveva condannato M.A. per i delitti di diffamazione e di ingiurie in danno di D.P. e O.L., impiegati del Comune di (OMISSIS).

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il M., il quale lamenta, a mezzo del proprio difensore:

a) una erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), per aver il Giudice del merito ammesso la costituzione di parte civile di due funzionari comunali che non avevano neppure diritto di querela;

b) la mancanza o illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c) con particolare riferimento alla insussistenza del reato di diffamazione per la mancata indicazione del nominativo delle parti offese e per la mancata diffusione dello scritto diffamatorio;

c) una violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), per l’erroneo inquadramento dei fatti ascritti nelle contestate norme di legge;

d) una violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e c) per difetto d’imputazione e per difetto delle condizioni oggettive di procedibilità a cagione della particolare tenuità del fatto, ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34. 3. Sono state presentate note aggiuntive al ricorso ed è stata, altresì, richiesta l’inibitoria dell’impugnata decisione, ai sensi dell’art. 612 c.p.p..

Motivi della decisione

1. Il ricorso non è da accogliere, essendo ai limiti dell’inammissibilità, in quanto i suoi motivi ripropongono questioni già sottoposte all’esame del Giudice del merito e dallo stesso correttamente disattese con motivazione logica.

2. Quanto al primo motivo basta osservare, come già riferito dal Tribunale, come le offese avessero investito non solo le parti lese nella loro funzione di dipendenti del Comune ma anche come meri cittadini.

Le espressioni denigratorie, infatti, possono aggredire anche un ente collettivo e in tal caso non può essere disconosciuta, in capo ad esso, la capacità di essere soggetto passivo del delitto di diffamazione, quale titolare dell’onore sociale, ne1 la corrispondente titolarità del diritto di querela, per la cui perseguibilità il reato è sottoposto.

Infatti, entità giuridiche, associazioni, enti di fatto privi di personalità giuridica, quali partiti, fondazioni, comunità religiose, corpi amministrativi e giudiziari, sono portatori di un interesse collettivo, unitario e indivisibile in relazione alle finalità perseguite, in quanto anch’essi titolari dei beni dell’onore e della reputazione, che si concretizzano nella considerazione esterna che la collettività loro riconosce.

Di conseguenza, tali entità possono essere destinatane di una attività diffamatoria come tali e, quindi, avere la capacità di divenire soggetti passivi del delitto di diffamazione e di attivarsi attraverso i propri legali rappresentanti per la loro tutela.

Va, altresì, precisato che l’offesa ad una di tali entità può diffondersi in maniera da colpire, per le funzioni svolte, anche, l’onorabilità delle singole persone che ne fanno parte, specificamente aggredite nell’onore e nella reputazione e, perciò, concorrere con la denigrazione svolta nei confronti dell’ente come tale (v. Cass. Sez. 5 26 ottobre 2001 n. 1188).

Il che è quanto accaduto nel caso di specie.

3. Quanto al secondo motivo di ricorso giova premettere, anche questa volta in punto di diritto, come, effettivamente, condizione essenziale per attribuire ad una offesa rilevanza giuridica penale sia la individuazione dell’effettivo destinatario della stessa.

Nel delitto di diffamazione, però, l’individuazione del soggetto passivo pur in mancanza di una indicazione specifica, ovvero di riferimenti inequivoci a circostanze e fatti di notoria conoscenza, la cui attribuzione sia rivolta ad un soggetto indubbiamente individuabile, deve dedursi dalla stessa prospettazione dell’offesa.

Trattasi di un criterio obbiettivo, che ben si concilia con la struttura e la ratio della previsione normativa e non può essere sostituito con intuizioni o soggettive congetture che possono essere fatte da chi sia consapevole, a fronte di una generica offesa, di poter essere uno dei destinatari della stessa, se dalla pubblicazione dell’accusa denigratoria non emergono circostanze e fatti di notoria conoscenza, obbiettivamente idonei alla sua individuazione e attribuzione soggettiva (v. la pacifica e non minoritaria giurisprudenza di questa stessa Sezione, Cass. Sez. 5 8 luglio 2008 n. 33442, 5 dicembre 2008 n. 11747 e da ultimo 20 dicembre 2010 n. 7419).

Anche questa volta, sulla base delle dianzi evidenziate considerazioni, il Tribunale ha logicamente fatto discendere l’individuazione del soggetto leso dalla missiva diffamatoria dalle circostanze che essi fossero "due tecnici" dell’Ufficio Tecnico del Comune di (OMISSIS), certamente ricco di molte attrattive ma non di tecnici comunali.

Del tutto pretestuoso è ritenere che l’invio della missiva diffamatoria al solo Sindaco valesse, poi, ad escludere la diffusività delle espressioni adoperate posto che le missive inviate ai Pubblici Uffici seguono un particolare iter protocollare, che ne consente la diffusione tra i vari impiegati addetti alla ricezione, allo smista mento ed alla consegna delle missive ai destinatari.

4. Il terzo motivo, sotto l’indicazione di una pretesa violazione di legge, in sostanza, giunge a contestare l’affermazione della penale responsabilità compiuta dal Giudice del merito attraverso una indebita rilettura degli atti di causa che, in difetto di una illogica motivazione come dianzi espresso, non è consentita avanti questa Corte di legittimità. 5. Il quarto e ultimo motivo riguarda, ancora, la pretesa erronea applicazione del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 34, comma 3 che subordina la declaratoria di improcedibilità per particolare tenuità del fatto alla assenza di opposizione da parte della persona offesa.

In diritto si osserva come il Giudice debba esaminare, a norma del citato art. 34 se esistano interessi (giuridicamente riconosciuti e protetti) della persona offesa che dalla definizione del procedimento possano subire pregiudizio (comma 2 nel corso delle indagini preliminari) ovvero se le parti lese non si siano opposte (comma 3 nel caso di esercizio dell’azione penale), giacchè, in tali evenienze, egli non ha il potere di archiviare (v. Cass. Sez. 4 29 settembre 2004 n. 47062 e da ultimo Sez. 5 12 ottobre 2010 n. 42238).

Nella fattispecie di cui al presente procedimento, assorbente è la circostanza dell’avvenuta costituzione di parte civile delle persone offese che, di conseguenza, lascia legittimamente presumere la mancanza di consenso alla declaratoria d’improcedibilità per la tenuità del fatto.

6. Il ricorso va, in conclusione, rigettato, con l’implicita reiezione anche dell’istanza di cui all’art. 612 c.p.p. e il ricorrente condannato, altresì, al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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