Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 25-05-2011) 26-09-2011, n. 34759

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Palmi, sez. distaccata di Cinquefrondi, con sentenza del 24 febbraio 2010 ha condannato I.V., per il reato di cui all’art. 137, comma 1, in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124, comma 1, perchè, nella qualità di conduttore ed effettivo gestore del frantoio oleario di proprietà di C. A., effettuava senza autorizzazione uno scarico di acque reflue industriali, derivanti dal lavaggio e dalla molitura delle olive, direttamente nella rete fognaria comunale, fatto accertato in (OMISSIS).

L’imputato ha proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:

1) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche (in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101, comma 7, lett. c), art. 124, comma 4 e art. 137, comma 1), in quanto lo scarico accertato rientrava tra gli scarichi di acque reflue assimilabili a quelle domestiche e non necessitava di autorizzazione ex art. 101, comma 7, lett. c), perchè, come il ricorrente aveva dichiarato nell’immediatezza dell’accertamento, la molitura aveva riguardato una piccola quantità di olive del terreno di proprietà;

2) Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento e dal verbale di ispezione e prelievo del 10 febbraio 2007, in quanto il Tribunale non ha indicato i criteri di valutazione della prova utilizzati per escludere che il fatto accertato rientrasse nel regime derogatorio.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso non sono fondati.

La giurisprudenza ha affermato il principio che il reato di scarico di acque reflue industriali in difetto di autorizzazione viene integrato quando l’utilizzazione delle acque di vegetazione dei frantoi avviene al di fuori dei casi e delle procedure previste dalla legge (in tal senso Sez. 3, n. 44293 del 7/11/2007, Condina, Rv.

238076). Inoltre è stato chiarito che tali scarichi possono essere assimilabili alle acque reflue domestiche solo "se l’attività di frantoio sia inserita con carattere di normalità e complementarietà in un’impresa dedita esclusivamente alla coltivazione del fondo ed alla silvicoltura ed in presenza delle condizioni previste dal citato Decreto n. 152, art. 28, tra cui quella per la quale la materia prima lavorata deve provenire per almeno due terzi esclusivamente dall’attività di coltivazione dei fondi dei quali si abbia, a qualsiasi titolo, la disponibilità (Cfr. Sez. 3, n. 10626 del 22/1/2003, Zomparelli, Rv 224343).

Nel caso di specie, il giudice di merito ha spiegato che l’ispezione aveva avuto luogo nel frantoio gestito dal ricorrente, impianto che era risultato dotato da un sistema di scarico delle acque delle olive direttamente nella rete fognaria, costituito da un tubo di gomma collegato al bidone delle acque uscenti dal separatore, che veniva fatto scaricare attraverso una griglia sita all’interno del frantoio che poi comunicava al tombino degli scarichi comunali. Essendo evidente il carattere di insediamento produttivo del frantoio, era risultata altresì evidente la mancanza di autorizzazione per tale smaltimento, atteso che tali acque di lavaggio, essendo dotate di elevato indice di inquinamento, rappresentano rifiuti liquidi.

La censura avanzata, anche con il secondo motivo, si è limitata a richiamare la versione difensiva fornita dal ricorrente con dichiarazioni spontanee nel corso dell’accertamento, lamentando un erroneo uso dei canoni di interpretazione della prova. Ma correttamente la dichiarazione spontanea – che è anche inutilizzabile nel dibattimento, secondo consolidato principio della giurisprudenza – è stata ritenuta dai giudici di merito elemento inidoneo a sovvertire il compendio probatorio, in quanto nel corso del giudizio la versione difensiva non è risultata suffragata dalla produzione di documentazione e di altri elementi probatori che dimostrassero la sussistenza di tutte le condizioni per l’esonero dal regime autorizzatorio per lo scarico in oggetto.

Peraltro il motivo avanzato supera i limiti della critica dell’uso dei canoni normativi di valutazione della prova, per attingere direttamente i contenuti fattuali della decisione: è pacifico che non costituisce vizio, comportante controllo di legittimità, la mera prospettazione di una diversa (e per il ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali: esula, infatti, dai poteri di questa Corte la "rilettura" degli elementi di fatto posti a base della decisione (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv. 203428) La sentenza impugnata è pertanto immune da censure, avendo applicato correttamente la disciplina normativa; il ricorso deve pertanto essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato, ai sensi del disposto di cui all’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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