Cass. civ. Sez. III, Sent., 07-02-2012, n. 1695 Leasing

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Risultata 1’utilizzatrice Trasporti Botti s.c.a.r.l. inadempiente in ordine al contratto col quale Scania Finace Italy s.p.a. un anno prima (10-11/7/2003) le aveva concesso in leasing traslativo otto autocarri per il corrispettivo complessivo di Euro 835.176,00 da corrispondersi in 48 rate, la concedente, dopo aver ottenuto la restituzione dei mezzi che aveva rivenduto al prezzo di Euro 486.400,00, nell’ottobre del 2005 richiese nei confronti della debitrice principale e dei fideiussori B.E., B. R. ed M.A. decreto ingiuntivo di pagamento di Euro 159.74 9,54, che affermò ancora dovuti in aggiunta alla somma di Euro 163.399,37 già versata dall’utilizzatrice.

Gli ingiunti proposero opposizione, rigettata dal tribunale di Trento con sentenza del 3.8.2007. 2.- La corte d’appello di Trento ha respinto il gravame dei soccombenti con sentenza n. 869/09 del 4.8.2009, avverso la quale gli stessi ricorrono per cassazione affidandosi a due motivi, cui resistono con unico controricorso gli intimati diversi dal fallimento della società Trasporti Botti, che non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1.- Col primo motivo sono denunciate "violazione e falsa applicazione dell’art. 1526 c.c.; carenza e contraddittorietà della motivazione in relazione all’applicazione dell’art. 1526 c.c." per avere la corte d’appello omesso di ridurre le indennità convenute e/o la penale, dìscostandosi:

– dal principio secondo il quale, nel leasing traslativo, sebbene debba dirsi lecita, in quanto espressione dell’autonomia negoziale di cui all’art. 1382 c.c., la clausola penale con cui le parti abbiano regolamentato la misura del risarcimento del danno, per l’ipotesi dell’inadempimento contrattuale, in maniera difforme dal regime legale di cui all’art. 1526 c.c., non può tuttavia ammettersi che la restituzione del bene e il versamento della penale si cumulino tra loro sino a superare, insieme, l’utilità che la regolare esecuzione del contratto avrebbe comportato per il concedente (è richiamata, Cass., n. 196/2008);

– dal principio secondo il quale, recuperato da parte del concedente il capitale monetario impegnato nell’operazione in vista del corrispondente guadagno mediante il detto compenso ed il residuo valore del bene, il risarcimento del danno non si presta ad essere commisurato all’intera differenza necessaria per raggiungere il guadagno atteso, poichè con l’anticipato recupero del bene e del suo valore il concedente è di norma in grado di procurarsi, attraverso il reimpiego di quel valore, un proporzionale utile che deve conseguentemente essere calcolato in detrazione rispetto alla somma che l’utilizzatore stesso avrebbe dovuto corrispondere se il rapporto fosse proseguito (sono citate Cass., nn. 4969/2007 e 574/2005).

1.1.- Il motivo è infondato.

Nessuno dei principi richiamati si attaglia al caso di specie, connotato – secondo i dati contenuti nello stesso ricorso e pur senza tener conto delle spese affrontate dal concedente per la riparazione di uno dei mezzi – da un complessivo importo percepito dalla concedente (Euro 159.74 9,54 + 163.399,37 + 486.400,00 = 809.548,91) inferiore a quello di Euro 835.176,00 che avrebbe conseguito se 1’utilizzatrice non fosse stata inadempiente.

Che, poi, il notevole anticipo col quale la concedente aveva percepito il diverso minore importo fosse tale da autorizzare a configurare comunque un utile maggiore di quello che sarebbe derivato dalla fisiologica esecuzione del contratto è questione di puro fatto, sulla quale non si afferma in ricorso che gli appellanti avessero, sulla scorta di una puntuale censura formulata in appello, sollecitato una specifica statuizione della corte di merito.

2.- Col secondo motivo sono dedotti "violazione dei criteri ermeneutici dell’art. 1526 c.c.; vizio di motivazione; errore di logica giuridica; motivazione incongrua e incoerente" per non avere la corte d’appello ritenuto nulla la clausola di cui all’art. 18 delle condizioni generali ("la società potrà richiedere anche in via monitoria il pagamento di una penale che tenga conto dei canoni scaduti detratta la somma risultante dalla valutazione del bene effettuata dal concessionario nazionale per l’Italia della casa costruttrice") e per non aver considerato che, per un solo anno di uso, l’utilizzatrice era stata costretta a versare circa il 40% del corrispettivo pattuito.

2.1.- Anche questo motivo è infondato.

In disparte i rilievi che l’art. 1526 c.c. non detta criteri ermeneutici (come gli artt. 1362 e ss. c.c.) ma rimette al giudice del merito l’apprezzamento di fatto circa il possibile esercizio del potere di riduzione, che l’errore di logica giuridica non è contemplato dall’art. 360 c.p.c. che connota il giudizio di cassazione come un giudizio a critica vincolata, e che l’incongruità o 1’incoerenza della motivazione in tanto rilevano in quanto quei difetti si traducano in una mancanza, insufficienza o contraddittorietà della motivazione stessa su una quaestio facti, il primo profilo di censura si infrange contro i principi citati e le considerazioni svolte in ordine al primo motivo; mentre il secondo adduce una circostanza in se stessa irrilevante nella complessiva economia del contratto, dove rileva non tanto quanto abbia pagato il contraente inadempiente per un uso limitato nel tempo, quanto piuttosto quale sia stata l’utilità ricavata ovvero la perdita subita dal contraente che abbia dato regolare esecuzione al contratto.

Ma di tanto s’è già detto nello scrutinio del primo motivo.

3.- Il ricorso è respinto. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alle spese, che liquida in Euro 6.200, di cui 6.000 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *