Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 25-05-2011) 26-09-2011, n. 34757

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Roma con sentenza del 30 aprile 2010 in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Cassino del 4 aprile 2007, ha confermato la condanna alla pena di mesi otto di arresto e 2.400 di ammenda, nonchè al risarcimento dei danni in favore della parte civile, di D.B.M., che aveva rinunciato espressamente alla prescrizione, imputata dei reati di cui all’art. 110 c.p. e art. 51, comma 1, lett. a) e b) e art. 51, comma 3, D.Lgs., nella qualità di titolare della ditta D.P.M.S., per aver effettuato attività di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi e di rifiuti pericolosi, mediante trasporto e deposito degli stessi in un’area, senza le prescritte autorizzazioni e per aver realizzato una discarica di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi abusiva, in (OMISSIS), ed ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dei computati perchè i reati risultavano estinti per prescrizione. I fatti del giudizio erano stati accertati in data 5 marzo 2003, a (OMISSIS), quando un Tir della ditta Sparvieri fu sorpreso a scaricare rifiuti all’interno di un capannone, che risultava pieno di rifiuti di vario genere, senza essere munito di alcuna autorizzazione; il capannone era locato alla ditta Euroservice di Sarienti Giona. Il coimputato D.B.E. era stato trovato sul posto e si era qualificato come intermediario, i rifiuti provenivano dalla ditta Bertini di Montemurlo ((OMISSIS)), ditta di trattamento rifiuti, erano definiti nella bolla come imballaggi misti ed erano destinati alla ditta DPMS di D.B.M.. L’imputata a mezzo del proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza, per i seguenti motivi:

1. Violazione di legge, già dedotta nell’atto di impugnazione, in relazione all’art. 40 cpv. c.p., per assenza di motivazione sui parametri normativi della posizione di garanzia e mancanza di prova sul nesso causale e sulla responsabilità, ed illogicità manifesta della sentenza. La ricorrente aveva svolto analitici motivi di appello per porre in evidenza la mancata partecipazione ai fatti, sottolineando come la bolla di accompagnamento dei rifiuti contenesse l’indicazione della destinazione dei rifiuti alla ditta dalla stessa amministrata DPMS, mentre i rifiuti erano stati dirottati in altro sito dall’intermediario D.B.E., titolare della ditta Ega Centro Italia, di sua sola iniziativa. La sentenza impugnata avrebbe invece errato sulla qualifica giuridica del soggetto intermediario di rifiuti, D.B.E. – che nonostante il cognome, risultava agli atti del processo di non essere parente della ricorrente – ritenendolo un "collaboratore" della ricorrente. Inoltre la sentenza ha riconosciuto la ricorrente colpevole sia in base alla titolarità della ditta, che è anche intestata al marito D.D.F., il quale è stato assolto dal giudice di primo grado, sia attribuendo rilevanza all’escavatrice rinvenuta nel sito, a fronte di documenti che rendevano evidente che la stessa era stata venduta al coimputato G., e poi riacquistata, successivamente ai fatti, dalla ricorrente: tale circostanza risulterebbe anche dalla documentazione e dalle stesse vicende relative al dissequestro e restituzione del mezzo, essendoci stata incertezza proprio sulla proprietà dello stesso. I giudici avrebbero ritenuto, pur risultando che l’unica bolla non firmata dalla ricorrente quale titolare della DPMS era quella relativa alla merce sequestrata, in maniera apodittica che anche gli altri scarichi provenienti dalla Bettini srl, le cui bolle erano state firmate dalla D.B., fossero stati effettuati presso il sito non autorizzato. Ma non sussisterebbe supporto probatorio a tale affermazione, se non l’affermazione del trasportatore (teste V.) di aver scaricato una sola volta presso la DPMS ad (OMISSIS), secondo quanto riferito nella parte motiva della sentenza del giudice di prime cure. Una tale costruzione contrasta con la logica in quanto non rende comprensibile il vantaggio derivante alla ditta della ricorrente ed inoltre il teste V., in una deposizione un po’ confusa circa il numero dei viaggi, ha riferito, quanto all’episodio accertato del 5 marzo 2003, che aveva seguito tale E., che l’aveva atteso all’uscita dell’ (OMISSIS) e l’aveva condotto al sito dove effettuò lo scarico.

Pertanto a fronte di un’unica bolla anomala, priva di firma, relativa al carico di rifiuti trovato in un luogo diverso da quello indicato quale destinazione, la D.B. è stata ritenuta responsabile in virtù della sua mera posizione di titolare della ditta destinataria di rifiuti. I giudici di appello non hanno fornito alcuna motivazione sulle rilevate contraddizioni già esposte nei motivi di appello.

2. Violazione di legge per mancanza assoluta di motivazione ex art. 606 c.p.p., u.c., quanto alla dedotta insussistenza della presenza di rifiuti pericolosi, in quanto il teste verbalizzante del NOE aveva chiarito che i rifiuti erano già trattati e quindi si tratta di rifiuti speciali non pericolosi, individuati, come da formulario, con codice CER 150106.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è fondato.

La decisione impugnata non ha fornito risposta agli aspetti che erano stati oggetto delle censure di appello.

Era stata segnalata l’arditezza della deduzione logica che voleva che, posto che lo scarico abusivo intercettato era accompagnato dalla bolla che indicava la ditta della ricorrente quale destinataria, seppure non firmata dalla stessa, anche i precedenti carichi, le cui documentazioni di accompagnamento risultavano regolarmente sottoscritte dalla D.B., quale legale rappresentante della Ditta destinataria, non fossero stati scaricati ad (OMISSIS), solo perchè recanti lo stesso codice identificativo dei rifiuti e provenienti dallo stesso mittente Bertini.

In merito a tale rilievo la Corte ha risposto con una motivazione incongruente, limitandosi ad affermare che "necessariamente" il conferimento di rifiuti dalla ditta Bestini era frutto di "accordi" pregressi sui tempi e modi, traendo tale convincimento alla circostanza che le bolle di accompagnamento del carico presentavano lo stesso codice identificativo dei rifiuti e dalla firma per ricezione della titolare della ditta destinataria del carico apposta sulle bolle (diverse da quella del 5 marzo), in tal modo presupponendo un accordo da un antecedente logico non univoco e ritenendo provato che gli scarichi precedenti non fossero avvenuti presso la DPMS, ma nel medesimo sito abusivo oggetto dell’accertamento, sulla base del fatto che nel capannone erano stati trovati imballaggi "analoghi" a quelli presenti nel camion che fu sorpreso ad effettuare l’abusivo scarico. Anche la circostanza che le bolle di accompagnamento del carico presentavano lo stesso codice identificativo dei rifiuti, costituisce una deduzione fondata su un antecedente logico non univoco, per cui i giudici hanno finito per operare una valutazione di analogia senza fare riferimento agli atti irripetibili di ispezione e/o sopralluogo del capannone, dai quali fosse emersa la prova di tale "analogia" tra i "rifiuti da imballaggio" ivi rinvenuti e quelli contenuti nel camion. Ulteriore elemento di conforto alla tesi che anche gli scarichi precedenti fossero avvenuti nel sito non autorizzato era stato tratto, secondo quanto riferito nella parte motiva della sentenza di primo grado, dalle dichiarazioni del teste V., e a fronte della precise contestazioni indicate nello specifico motivo di appello – il cui nodo fondamentale può essere sintetizzato nella circostanza che se "l’ E." aveva aspettato il conducente del camion per condurlo nei sito dove doveva scaricare la merce, era evidente che il trasportatore non era stato in precedenza in tale sito – i giudici di appello non hanno fornito alcuna risposta.

Altra carenza motivazione concerne la mancata risposta alle argomentazioni svolte dalla ricorrente in merito al ruolo assegnato al D.B.E. nei confronti della società amministrata dalla ricorrente: lo stesso è definito nella sentenza (pag. 5) "collaboratore ed intermediario" della D.P.M.S., senza che vengano esplicitate le basi probatorie di tali affermazioni, a fronte delle espresse contestazioni del ruolo autonomo svolto dallo stesso, titolare di una separata ditta e non legato da alcun rapporto di parentela con la ricorrente, ed ai suoi comportamenti. Del resto è la stessa sentenza a ricostruire il primario ruolo del D.B. E., evidenziandone l’autonomia, la capacità decisionale e di direzione – era stato lui a dare indicazioni all’autotrasportatore, ad assumere gli operai addetti al capannone e ad avere relazioni dirette con gli altri coimputati – per non tacere del fatto che fu trovato presente nel luogo dell’abusivo scarico.

Del pari fondato anche il secondo motivo di ricorso in quanto la decisione impugnata non ha fornito spiegazione in merito alla natura dei rifiuti menzionati nel capo di imputazione per il quale è stata riconosciuta la colpevolezza della ricorrente, alla luce delle censure avanzate in appello.

E’ pertanto necessario che vengano riesaminati tali aspetti, dando risposta, con motivazione completa ed immune da smagliature logiche, alle doglianze della ricorrente avanzate con i motivi di appello.

Per tali motivi, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Roma, alla quale si rimette il regolamento delle spese di questa fase, sostenute dalla parte civile.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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