Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 25-05-2011) 26-09-2011, n. 34756

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il G.I.P. presso il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, con sentenza del 13 maggio 2010 ha condannato alla pena di 2.500 Euro di ammenda D.F., R.S., Ra.Si., V.G., per il reato di cui all’art. 110 c.p., art. 18, lett. d) in relazione alla L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. a) per avere esercitato la caccia al cinghiale durante il periodo di chiusura della caccia alla predetta specie, accertato in Monteverde, nell’arco temporale 8/9 luglio 2006.

Gli imputati, tramite il proprio difensore, hanno proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi: 1) violazione di legge per palese insussistenza del reato, in quanto manca la prova dei fatti o comunque è contraddittoria; nonchè per violazione degli artt. 354 e 360 c.p.p. per il rigetto dell’eccezione di inutilizzabilità dell’accertamento autoptico sull’ungulato sequestrato in quanto lo stesso presentava carattere di irripetibilità; 2) diniego di concessione delle circostanze attenuanti e prescrizione del reato contravvenzionale commesso nel 2006.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso non sono fondati.

II Tribunale ha fornito una motivazione ampia, esaustiva ed immune da censure, degli elementi di prova posti a fondamento della sentenza di condanna dei ricorrenti, costituiti innanzitutto dal verbale di sequestro del cinghiale rinvenuto appena ucciso, e con il corpo ancora caldo, nel vano portabagagli dell’auto occupata dai ricorrenti, dalla documentazione video sequestrata agli stessi ricorrenti, e dalle risultanze processuali (testimonianze dei verbalizzanti) circa i particolari dell’operazione di contrasto dei reati in materia faunistico-venatoria posti in essere la sera dei fatti. Nè il giudice di merito per addivenire al convincimento della responsabilità dei ricorrenti ha tenuto in alcun conto gli esiti dell’esame autoptico asseritamente effettuato dall’animale, sicchè anche la censura sulla irripetibilità dell’incombente, peraltro non sollevata nell’ambito delle questioni preliminari a dibattimento, è del tutto destituita di fondamento, in quanto comunque irrilevante.

Del pari infondato è anche il secondo motivo di ricorso: il giudice ha esposto le motivazioni della propria valutazione quanto alla dosimetria della pena, alla luce dei criteri di cui all’art. 133 c.p., scegliendo la sanzione pecuniaria anzichè la detentiva, seppure nella determinazione prossima al massimo edittale, manifestando l’opinione di ritenere compiuta anche la valutazione in merito alle circostanze attenuanti, in piena adesione anche agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, espressamente indicata nella decisione impugnata.

Infondata anche l’eccepita prescrizione della contravvenzione: atteso il tempus commissi delicti (8/9 luglio 2006) il termine lungo di prescrizione deve essere individuato in cinque anni giusto il disposto dei vigenti art. 157 c.p., comma 1 e art. 161 c.p., comma 2.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato e ciascun ricorrente deve essere condannato, ai sensi del disposto di cui all’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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