Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Che la Corte di appello di Napoli con sentenza del 27 aprile 2009, ha confermato la condanna di M.A. e Mo.An. per i reati di cui agli artt. 718 e 719 c.p. (in quanto tenevano nel Bar (OMISSIS) cinque apparecchi elettronici del tipo videopoker), inflitta dal Tribunale di Avellino con sentenza del 21 febbraio 2008;
che gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza per mancanza di motivazione, mancanza e manifesta illogicità della stessa, erronea applicazione della legge penale, estinzione del reato per intervenuta prescrizione, in quanto la colpevolezza sarebbe stata affermata senza indicare le ragioni di fatto e di diritto, in particolare in riferimento a Mo.An., solo intestataria del contratto di affitto del bar, ed a M.A. ritenuto responsabile quale padre della stessa, mentre non poteva essere ritenuta ritenere penalmente rilevante la presenza di macchine da gioco in locali non aperti al pubblico; comunque la pena sarebbe sproporzionata e peraltro i reati sarebbero estinti per prescrizione.
Motivi della decisione
Che i motivi di ricorso sono generici e privi dei riferimenti specifici necessari a supportare le censure avanzate e che risultano peraltro manifestamente infondati, atteso che la sentenza della Corte di appello, che ha confermato e condiviso le valutazioni espresse dal giudice di prime cure – sicchè il compendio motivazionale della sentenza impugnata deve essere considerato unitamente a quello di primo grado – ha fornito compiuta e convincente risposta alle doglianze avanzate in appello, concludendo per una valutazione di utilizzabilità da parte degli avventori del pubblico esercizio degli apparecchi videopoker rinvenuti in una saletta con ingresso occultato e quindi per la sussistenza dei reati e la loro riferibilità agli imputati, il primo co-gestore di fatto, la seconda anche titolare, del bar-caffè;
che pertanto il ricorso è inammissibile e che l’inammissibilità preclude ogni possibilità sia di far valere, sia di rilevare di ufficio, l’estinzione del reato per prescrizione (giurisprudenza pacifica, cfr., per tutte, SS.UU. n. 23428 del 22/3/2005, Bracale, Rv. 231164), con conseguente condanna dei ricorrenti, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.
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