Cass. civ. Sez. III, Sent., 07-02-2012, n. 1686 Opposizione al precetto

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Svolgimento del processo

In data 8 settembre 2008 il Tribunale di Milano in composizione monocratica ha accolto la opposizione della Riunione Adriatica di Sicurtà Assicurazioni avverso il precetto notificatogli dalla Bianchi Ricambi s.r.l. per la somma di Euro 1.735, 74, in base alla sentenza del 2006 del Giudice di Pace di Milano.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione la Bianchi Ricambi s.r.l., affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso la R.A.S. Assicurazioni s.p.a. Il Collegio ha raccomandato una motivazione semplificata.

Motivi della decisione

In merito all’esame di questo ricorso il Collegio osserva quanto segue.

1.- Il primo motivo( violazione e falsa applicazione degli artt. 1193, 1988 e 2697 c.c.; carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e art. 111 Cost., comma 7) va disatteso. Infatti, e contrariamente alla sua intitolazione, la ricorrente non fa che censurare la sentenza impugnata sotto il profilo dell’onere della prova che, a suo avviso, sarebbe a fondamento della decisione e specificamente del fatto che il pagamento effettuato con due assegni, incassati, fosse fatto estintivo della obbligazione della RAS verso essa società, ossia evidenziando circostanze di fatto che sarebbero state erroneamente valute dal giudice dell’esecuzione.

Di vero, la società ricorrente non contesta, nemmeno in questa sede, che gli assegni inviati dalla società assicuratrice in pagamento delle spese liquidate dal giudice di pace risultano regolarmente incassati dall’avv. B.L. in data anteriore al precetto (p. 6 sentenza impugnata), ma si limita ad affermare che essi sarebbero inidonei a provare il fatto estintivo perchè non riferibili alla sentenza di condanna intercorsa tra le parti nè al sinistro, oggetto di risarcimento nè intestati ad essa creditrice, bensì all’avv. B.L., difensore che non era distrattario e, quindi, non è entra nulla con la sentenza (p. 5 ricorso).

Questa, in estrema intesi, la censura con la quale, però, la società ricorrente trascura di considerare, in punto di fatto, che la procura conferita all’avv. B. conteneva, così si legge nella sentenza impugnata – e non vi è contestazione sul punto – la facoltà di incassare, ossia riscuotere le somme con effetto liberatorio per il debitore (Cass. n. 8927/98, puntualmente richiamata in sentenza). Del resto, è sufficiente leggere la motivazione per rendersi conto che l’assunto della parte ricorrente è assolutamente destituito di ogni fondamento sia in riferimento al dedotto errore di intestazione degli assegni al legale anzichè alla parte, sia in riferimento alla piena corrispondenza tra gli importi degli assegni e quanto liquidato dal giudice di pace a titolo di spese sia all’incasso degli stessi da parte dell’avv. B., che omise di segnalare alla controparte la asserita erroneità dell’intestazione, eventualmente potendone chiedere la sostituzione.

Questi elementi sono stati ritenuti, con giudizio corretto dal punto di vista logico-giuridico,idonei a provare l’avvenuto adempimento del debito in data anteriore alla notificazione e alla stessa redazione dell’atto di precetto.

2.- Il rigetto di questa censura comporta l’assorbimento del secondo ed articolato motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1220, 1206 e 1208 c.c.; carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e art. 111 Cost., comma 7) precisandosi, peraltro, che non corrisponde al vero, per come risulta dalla sentenza impugnata, che il contegno delle parti, anteriore alla instaurazione della lite, non sia rilevante ai fini delle spese, soprattutto quando si versi in giudizio di esecuzione, che, come nel caso in esame, è stato cagionato dalla asserita condotta inadempiente della Compagnia assicuratrice all’intervento dell’avv. B. onde ottenere quanto riconosciuto in sede cognitiva come dovuto alla sua cliente: condotta che, invece, non si è rivelata tale. Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.000/00 di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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