Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-09-2011) 27-09-2011, n. 34947 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Salerno, in funzione di giudice dell’esecuzione, con la quale, in data 18 febbraio 2011, veniva rigettata la sua domanda volta all’applicazione della disciplina di favore di cui all’art. 671 c.p.p., comma 1, in relazione a due sentenze di condanna pronunciate dalla Corte di Appello di Salerno e da quella di Potenza per condotte delittuose riconducibili ai reati di violenza privata e lesioni gravi, entrambi aggravati ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 ed al reato di associazione maliosa, condotte consumate, le prime, il (OMISSIS), propone ricorso per cassazione D. N.M., con l’assistenza dei suoi difensori di fiducia, denunciando violazione degli artt. 671 ed 81 c.p. e illogicità della motivazione impugnata.

Lamenta, in particolare, la difesa ricorrente che il giudice del merito non avrebbe adeguatamente delibato la istanza rivolta dal detenuto, dappoichè ignorata la circostanza di fatto che i reati di cui alle due sentenze costituivano la integrazione del programma criminale dell’associazione malavitosa Scarcia, come provato altresì dalla contestazione in entrambe dell’aggravate di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

La stessa imputazione del reato di violenza privata, osservano ancora i difensori, descrive chiaramente una condotta in concorso tra il D.N. ed i rappresentanti del clan Scarcia al fine di conservare il mantenimento del racket delle estorsioni nel territorio di Policoro e, con esso, assicurare la sopravvivenza del gruppo malavitoso.

Denuncia altresì la difesa ricorrente che il dato della distanza temporale delle condotte, erroneamente enfatizzato dal giudice di merito, non tiene conto che la contestazione del reato associativo è temporalmente aperta e che, nella fattispecie, essa risulta in permanenza fino alla sentenza di prime cure, resa nel 2000, eppertanto in un tempo comprensivo anche del reato scopo. Di qui l’insufficienza motivazionale dell’ordinanza impugnata e la violazione di legge nel mancato riconoscimento del vincolo invocato tra reato associativo e reato scopo.

2. Il P.G. in sede depositava requisitoria scritta, concludendo per la inammissibilità della doglianza.

Replicava ad essa la difesa istante con memoria difensiva nella quale rimarcava che in favore di N.B., concorrente negli stessi reati contestati al ricorrente, la medesima Corte di Appello di Salerno, in composizione identica per 2/3 a quella che ebbe a rigettare la domanda del D.N., ha applicato la disciplina di favore.

3. Il ricorso è fondato.

3.1 Giova prendere le mosse, ribadendola, dall’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. 1, 12.05.2006, n. 35797) secondo cui la continuazione presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente del reo nella loro specificità, almeno a grandi linee, situazione ben diversa da una mera inclinazione a reiterare nel tempo violazioni della stessa specie, anche se dovuta a una determinata scelta di vita o ad un programma generico di attività delittuosa da sviluppare nel tempo secondo contingenti opportunità (cfr., per tutte, Cass., Sez. 2, 7/19.4.2004, Tuzzeo; Sez. 1, 15.11.2000/31.1.2001, Barresi). La prova di detta congiunta previsione – ritenuta meritevole di più benevolo trattamento sanzionatorio attesa la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anzicchè di spinte criminose indipendenti e reiterate, investendo l’inesplorabile interiorità psichica del soggetto, deve di regola essere ricavata da indici esteriori significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere. Tali indici, di cui la giurisprudenza ha fornito esemplificative elencazioni (fra gli altri, l’omogeneità delle condotte, il bene giuridico offeso, il contenuto intervallo temporale, la sistematicità e le abitudini programmate di vita), hanno normalmente un carattere sintomatico, e non direttamente dimostrativo; l’accertamento, pur officioso e non implicante oneri probatori, deve assumere il carattere di effettiva dimostrazione logica, non potendo essere affidato a semplici congetture o presunzioni. Detto accertamento, infine, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti.

Quanto poi, in particolare, all’evocata relazione ai fini del presente giudizio tra reato associativo e reati mezzo, la continuazione non è incompatibile con la commissione di reati permanenti, ma il giudice deve valutare, volta per volta, l’esistenza o meno di tutti o alcuni degli indici rivelatori della sussistenza dell’unicità del disegno criminoso. In particolare, in materia di reato associativo la continuazione coi reati fine deve essere valutata dal giudice di merito tramite una verifica puntuale del fatto che i sodali abbiano preventivamente individuato tali reati nelle loro linee essenziali prima della attuazione della condotta (Cass. Sez. 1, 17/11/2005, n. 46576).

E’ pertanto ipotizzabile la sussistenza della continuazione tra reato associativo e reati fine a condizione che questi ultimi siano già stati programmati al momento della costituzione della associazione (Cass. (Ord.), Sez. 1, 28/03/2006, n. 12639) ancorchè nelle loro linee essenziali, ricorrenti in tutte quelle condotte fine consumate per il mantenimento e la conservazione del sodalizio criminoso, dappoichè tale programmazione di intenti non poteva non essere assunta al momento di aderire al sodalizio stesso.

3.2 Tanto premesso sul piano dei principi, non può non rilevarsi che il giudice di merito, nel caso in esame, non abbia fatto di essi puntuale applicazione.

Ha in particolare travisato il giudice a quo il dato temporale, ritenendo commesso il reato scopo nel 1997, quattro anni dopo quello associativo, ed omettendo di considerare che la contestazione ex art. 416-bis c.p.p., atteso il carattere permanente di tale reato, è giunta fino alla pronuncia di prime cure, resa nel 2000. Ha omesso, inoltre, il giudice territoriale la valutazione puntuale delle contestazioni di reato ed il palese riferimento della condotta fine, come innanzi giudicata, all’operatività del gruppo Scarda, condotta della quale dovrà motivatamente valutare, in piena libertà di giudizio, il nesso strumentale di conservazione e rafforzamento dell’associazione malavitosa stessa, a tal fine considerando, altresì, l’aggravante comunemente contestata.

P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di Salerno.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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