T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 17-10-2011, n. 2436 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Ritiene, preliminarmente, il Collegio che il giudizio possa essere definito con sentenza in forma semplificata emessa, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., adottata in esito alla camera di consiglio per la trattazione dell’istanza cautelare, stante l’integrità del contraddittorio, l’avvenuta esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di giudizio, nonché la mancata enunciazione di osservazioni oppositive delle parti, rese edotte dal Presidente del Collegio di tale eventualità.

2. Il ricorrente, con ricorso ritualmente e tempestivamente notificato, ha impugnato il provvedimento adottato dal Questore della provincia di Milano in data 29 luglio 2011, notificato in pari data, avente ad oggetto l’ordine di rimpatrio del ricorrente con foglio di via obbligatorio al comune di abituale dimora (ovvero ROZZANO) e l’inibizione dal far ritorno in Milano, senza preventiva autorizzazione, per anni due.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione resistente con memoria di mero stile.

3. Il Collegio ritiene il provvedimento illegittimo per i seguenti motivi.

3.1. I casi previsti dall’art. 1 l. 27 dicembre 1956 n. 1423, nel testo modificato dalla l. 3 agosto 1988 n. 327, per l’adozione del provvedimento di rimpatrio coattivo con foglio di via obbligatorio, sono tassativi. In particolare, tali misure si dirigono contro: " 1) coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi; 2) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con proventi di attività delittuose; 3) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica". E’ inoltre necessario, ai fini dell’emanazione del provvedimento di rimpatrio con foglio di via, che dette persone "siano pericolose per la sicurezza pubblica" (cfr. art. 2 della legge 1423/56).

La legge impone all’amministrazione l’obbligo della motivazione sia sull’appartenenza del destinatario dell’ordine ad una delle categorie di cui all’art. 1 n. 3, l. n. 1423 del 1956, sia sulla pericolosità sociale del soggetto. Il principio di legalità assolutamente esclude che l’ordine dell’Autorità possa incidere sulle libertà personali in assenza dei presupposti normativi e al fine di espungere dal territorio talune manifestazioni di irregolarità sociale e malcostume.

3.2. L’orientamento della costante giurisprudenza amministrativa precisa che il provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio previsto dalla L. 1423 del 1956, costituendo una misura di polizia diretta a prevenire reati piuttosto che a reprimerli, presuppone un giudizio di pericolosità per la sicurezza pubblica il quale, pur non richiedendo prove compiute della commissione di reati, deve essere motivato con riferimento a concreti comportamenti attuali dell’interessato, ossia ad episodi di vita atti a rivelare in modo oggettivo un’apprezzabile probabilità di condotte penalmente rilevanti, fermo restando che tali comportamenti non si concretano necessariamente in circostanze univoche ed episodi definiti, ma possono desumersi da una valutazione indiziaria fondata su elementi di portata generale e di significato tendenziale, o su contesti significativi (da ultimo CdS, IV, 909/07). Diversamente, si snaturerebbe la stessa essenza delle misure di prevenzione la cui finalità non è quella di emarginare, allontanare o recuperare categorie socialmente indesiderate, ma di prevenire la commissione di reati socialmente pericolosi. E, del resto, che tale sia la tendenza del moderno sistema preventivo è dimostrato dall’espunzione dalle categorie dei soggetti nei cui confronti possono essere applicate le misure di prevenzione dei vagabondi e degli oziosi validi al lavoro, in quanto trattasi di persone socialmente emarginate (o, forse, considerate dai più fastidiose) ma non necessariamente pericolose.

3.3. Occorre anche ricordare che la Corte Costituzionale è più volte intervenuta sulla materia delle misure di prevenzione stabilendo importanti principi volti a conciliare l’esigenza di scongiurare la commissione di futuri reati con i principi di legalità e riserva di legge stabiliti dalla Costituzione a tutela dei diritti fondamentali della persona. In particolare la Corte ha ammesso che nella descrizione delle fattispecie di prevenzione il legislatore possa procedere con criteri diversi da quelli normalmente utilizzati nella determinazione degli elementi costitutivi di una figura criminosa, e possa far riferimento anche a elementi presuntivi, corrispondenti, però, sempre, a comportamenti obiettivamente identificabili. Il che non vuol dire minor rigore, ma diverso rigore nella previsione e nella adozione delle misure di prevenzione rispetto alla previsione dei reati e alla irrogazione delle pene (Corte Cost. 23/1964). L’osservanza del principio di legalità, infatti, richiede pur sempre che l’applicazione della misura, ancorché legata, nella maggioranza dei casi, ad un giudizio prognostico, trovi il presupposto necessario in fattispecie di pericolosità, previste e descritte dalla legge; fattispecie destinate a costituire il parametro dell’accertamento giudiziale e, insieme, il fondamento di una prognosi di pericolosità, che solo su questa base può dirsi legalmente fondata (Corte Cost. 177/80). Alla stregua di tali assunti la Consulta ha sancito l’incostituzionalità della L. 1423 del 1956 nella parte in cui individuava talune categorie di soggetti passibili di essere sottoposti a misure di prevenzione attraverso concetti non sufficientemente determinati come quello della "proclività a delinquere", in quanto, in tali ipotesi, il difetto di tassatività della previsione, rimetteva di fatto alla incontrollabile discrezionalità dell’interprete (fosse esso il giudice o la p.a.) la individuazione nel caso concreto dell’indice di pericolosità (Corte Cost. 177/80). Il suddetto orientamento della Corte Costituzionale è stato alla base della riforma della L. 1423 del 1956 ad opera della L. 327 del 1988 che ha ridotto da cinque a tre le categorie dei soggetti destinatari delle misure di prevenzione ancorandone l’individuazione in base al riferimento alla abituale commissione di attività costituenti illecito penale (e quindi sufficientemente tipizzate).

4. Nel caso che ci occupa, l’amministrazione non ha assolto l’onere dell’indicazione sia degli elementi di fatto sui quali si basa il giudizio sull’appartenenza ad una delle suddette categorie, sia delle ulteriori circostanze inerenti l’attuale pericolosità sociale, non potendosi postulare una coincidenza automatica tra quell’appartenenza, che denota una pericolosità potenziale, e la concreta e attuale pericolosità del soggetto.

4.1. Il provvedimento impugnato, infatti, ritiene di poter dedurre la certezza che il ricorrente frequenti il territorio di Milano al solo scopo di commettere reati sulla base delle uniche seguenti considerazioni: – l’essere egli indagato per associazione per delinquere in concorso, sostituzione di persona in concorso, truffa aggrava in concorso; – l’essere stato "controllato", in data 28 luglio 2011, alle ore 8.20, all’interno di un bar in via MEDA, in compagnia di altre persone pregiudicate, in un meglio precisato "atteggiamento sospetto" e senza giustificare la propria presenza nel bar; – l’essere egli non residente in Milano dove non ha parenti né occupazione lavorativa.

4.2. Con tutta evidenza, la motivazione posta a fondamento del provvedimento impugnato, non solo non contiene alcun elemento specifico ed individualizzato al fine di desumere l’appartenenza del ricorrente alle categorie delle persone abitualmente dedite a traffici illeciti o che traggono i propri mezzi di sostentamento da attività delittuose. Il ricorrente non ha precedenti penali e l’essere egli indagato per i reati sopra citati non costituisce, nella sua isolatezza, un sostrato fattuale sufficiente a fondare una presunzione di attività delittuosa abituale; il fatto, poi, di trovarsi alle 8,20 del mattino in un bar di MILANO, città a pochi chilometri dal paese di residenza (ROZZANO), riveste evidentemente una debolissima portata indiziaria; l’"atteggiamo sospetto" citato nel provvedimento (dovuto alla presenza di alcuni pregiudicati) non viene in alcun modo circostanziato. Neppure il provvedimento enuncia ulteriori elementi idonei, sia pure attraverso un ragionamento di tipo presuntivo e sintomatico, che possano far presumere la (avvenuta o prossima) commissione di reati nel territorio di MILANO.

Il giudizio prognostico che legittima la comminazione dell’ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio, si ripete, deve essere compiuto in relazione a specifici comportamenti attribuibili direttamente all’interessato dai quali si possa indurre la commissione di reati atti a mettere in pericolo la sicurezza pubblica; comportamenti che, nel caso che ci occupa, non sono indicati.

5. Portata irrimediabilmente viziante deve, da ultimo, riconoscersi anche alla mancata comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento. La Sezione ha più volte sottolineato come l’ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio non integra un provvedimento di per sé sottratto alla garanzia partecipativa della comunicazione di avvio del procedimento. Tale comunicazione può essere omessa solo quando (secondo quanto previsto dall’art. 7, l. n. 241 del 1990) sussistano particolari esigenze di celerità che impongono l’immediata adozione del provvedimento al fine di consentire il soddisfacimento dell’interesse pubblico affidato alle cure dell’Amministrazione, che nel contesto del provvedimento deve evidenziare siffatte circostanze, mediante un’adeguata motivazione (T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 09 febbraio 2010 n. 321). Nel caso di specie, il provvedimento non riferisce, neppure sinteticamente, circa la sussistenza di specifiche esigenze di celerità.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma. Resta altresì fermo a carico della parte soccombente l’onere di rimborso del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis1, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiunto dalla lettera e) del comma 35bis dell’art. 2, D.L. 13 agosto 2011, n. 138, nel testo integrato dalla legge di conversione 14 settembre 2011, n. 148.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

ACCOGLIE il ricorso e, per l’effetto, annulla il provvedimento indicato in epigrafe;

CONDANNA l’amministrazione resistente al pagamento delle spese di lite in favore del ricorrente che si liquida in Euro 600,00, oltre IVA, CPA e rimborso C.U. come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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