Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-09-2011) 27-09-2011, n. 34946 Esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con istanza presentata al giudice dell’esecuzione, nella fattispecie la Corte di Appello di Napoli, D.F.M. esponeva:

– di essere stato condannato dalla Corte di Appello di Napoli il 4.12.2001 alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione perchè giudicalo colpevole del reato di cui all’art. 416-bis c.p., pena interamente espiata a far tempo dal 21.7.1999, data di esecuzione dell’o.c.c. adottata all’inizio di quel procedimento;

– di essere stato attinto da nuova o.c.c. per il medesimo delitto in data (OMISSIS) con contestazione temporale a far tempo dal febbraio 2001;

– di essere stato condannato per tale delitto dalla Corte di Appello di Napoli con sentenza del 26.11.2008 alla pena di anni otto e mesi due di reclusione;

– di essere in espiazione pena dal 29.6.2006 per scontare detta pena, dalla quale è stata detratta soltanto la sanzione indicata per la continuazione dal secondo giudice in mesi quattro e giorni venti di reclusione;

– di avere invece diritto al riconoscimento dell’intera pena espiata per la prima condanna, diritto per il cui riconoscimento chiedeva il pronunciamento del G.E..

2. Il ricorso veniva rigettato dalla Corte di Appello, la quale rilevava, a sostegno della decisione, che ostava all’invocato riconoscimento il disposto dell’art. 657 c.p.p., comma 4, a nulla rilevando la natura permanente del reato contestato e giudicato con le due sentenze di cui innanzi.

3. Ricorre per cassazione avverso l’esposta ordinanza il D.F., personalmente, denunciandone l’illegittimità perchè violato il disposto dell’art. 657 c.p.p., commi 1 e 4, e perchè illogica la motivazione illustrata a sostegno della decisione impugnata. Deduce in particolare la difesa ricorrente, sotto il duplice profilo appena indicato, che il giudice a quo, nel disporre che dalla pena ancora da scontare di cui alla seconda condanna (quella del 26.11.2008) non fosse detratta per intero quella inutilmente sofferta in esecuzione della prima (quella del 4.12.2001) aveva erroneamente ritenuto applicabile l’art. 657 c.p.p., comma 4, disciplinante le ipotesi in cui non può ritenersi fungibile la pena sofferta, in tal guisa applicando la disciplina di cui all’art. 81 c.p. non già in favor rei, bensì in suo danno.

Argomentava ancora la difesa istante osservando che il principio di fungibilità di cui all’art. 657 c.p.p., comma 4 ha nel nostro sistema estensione applicativa ampia e sempre in funzione del principio del favor rei, di guisa che la regola sancita dall’art. 657 c.p.p. può trovare applicazione, là dove necessario in tale prospettiva di favore (libertatis et rei) anche attraverso la scissione del reato permanente, pur essendo unitaria la natura di tale tipologia di reato. Nel caso in esame, rilevava infine la difesa impugnante, le due sentenze e la carcerazione presofferta fanno riferimento alla permanenza della stessa associazione malavitosa.

4. Il P.G. in sede, con requisitoria ampia e diffusamente motivata, ha concluso per il rigetto del ricorso dappoichè pienamente condivisibile l’argomentare del giudice dell’esecuzione.

5. Il ricorso è infondato.

5.1 Contrariamente a quanto opinato dalla difesa istante, l’ipotesi prospettata al giudice dell’esecuzione trova la sua puntuale disciplina nell’art. 657 c.p.p., giacchè il pronunciamento contenuto nella seconda sentenza, assertiva del vincolo della continuazione sussistente tra le condotte giudicate dalle due sentenza dedotte nel presente processo, non rileva nè può rilevare relativamente alla esecuzione delle condanne inflitte, il cui regolamento giuridico è affidato alla disciplina codicistica in materia, agendo esso (il profilo esecutivo) su un piano distinto da quello della cognizione.

In applicazione della richiamata disciplina, pertanto, si osserva che il "credito di pena" di cui si controverte, è stato determinato dall’applicazione dell’art. 81 c.p. nella fase della cognizione ordinaria relativa ad un giudizio che, attraverso detta applicazione, ha reso reati satellite quelli considerati da precedente pronuncia, in relazione alla quale il condannato aveva presofferto anni 3 e mesi 6, divenuti nella determinazione sanzionatoria del secondo giudice, mesi quattro e giorni venti ex art. 81 c.p..

Come conseguenza di ciò, nel caso di specie non può dubitarsi che un periodo di pena sia stato espiato, di guisa che si pone, in astratto, una questione di fungibilità tra la pena espiata in eccesso e quella da espiare in forza del nuovo (il secondo) titolo, ipotesi disciplinata dall’art. 657 c.p., comma 4, il quale, come è noto, rende applicabile l’istituto della fungibilità tra pene non soltanto nelle ipotesi di cui al comma 2 della norma in parola, bensì anche in ogni altro caso in cui si renda necessario considerare un periodo di detenzione espiato in eccesso.

5.2 Occorre, pertanto, a questo punto verificare l’applicabilità della norma in esame in relazione alla sussistenza dei requisiti a tal fine da essa richiesti. Orbene, l’art. 657, comma 4 contempla un requisito negativo per la sua concreta applicazione, requisito dato dall’anteriorità della consumazione del reato oggetto della condanna ancora da espiare ed in relazione alla quale rendere operativo il principio della fungibilità, disposizione questa che trova la sua ragione, ad un tempo logica e giuridica, nella fondamentale esigenza sistematica di non creare una sorta di credito di pena per future condotte, al momento non realizzatesi ancora, che avrebbe il solo effetto di integrare un inammissibile incentivo alla realizzazione di altre condotte criminose, con evidente e palese pregiudizio delle ragioni connesse alla sicurezza collettiva. Nel caso di specie difetta l’esposto requisito, come pacificamente posto in evidenza dallo stesso giudice a guo, considerato che, la condanna per il quale si invoca il principio fa riferimento a condotte consumate prima di quella su cui far valere il credito di pena, nè a diverso opinamento può pervenirsi in relazione alla natura permanente del reato giudicato nelle due sentenze dedotte in giudizio, essendo stata nella fattispecie applicato l’art. 81 c.p., in relazione al quale la disciplina di cui all’art. 657 c.p., comma 4 non conosce deroghe (Cass., Sez. 1, 29.4.2010, Annunziata; Cass., Sez. 1, 19.2.2002, Lacisi; sez. 1 17/2/2009, Bernardo, rv 243809).

6. Non ricorre pertanto nel caso di specie la denunciata violazione di legge, nè il lamentato vizio di motivazione, di guisa che l’ordinanza impugnata non merita censure di legittimità.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *