T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 17-10-2011, n. 2450

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 13 aprile 2000 e depositato l’11 maggio successivo, la ricorrente ha impugnato il Decreto di esclusione dalla sanatoria delle occupazioni senza titolo ex art. 43 della legge regionale n. 28 del 1990, emesso dal Direttore del Settore Patrimonio E.R.P. e Assegnazione Alloggi del Comune di Milano, comunicato il 16 febbraio 2000.

Avverso il predetto provvedimento vengono dedotte le censure di violazione dell’art. 43, secondo comma, lett. b), della legge regionale n. 28 del 1990, in relazione all’art. 2, primo comma, lett. d), e secondo comma, lett. a) e b), della legge regionale n. 91 del 1983 e all’art. 14 della legge n. 431 del 1998 e di carenza dei presupposti del provvedimento impugnato.

Il Comune, nel provvedimento di rigetto, avrebbe richiamato a fondamento del calcolo del canone di riferimento la legge n. 392 del 1978 che non sarebbe più in vigore in seguito all’entrata in vigore della legge n. 431 del 1998; quest’ultima normativa, infatti, conterrebbe dei criteri di individuazione del reddito più consoni e in linea con l’andamento del costo della vita effettivo. Pertanto, il provvedimento adottato sarebbe illegittimo e da annullare.

Si è costituito in giudizio il Comune di Milano, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Con successive memorie le parti hanno ribadito le rispettive posizioni: in particolare la parte ricorrente ha segnalato l’avvenuta dichiarazione di incostituzionalità della normativa regionale applicata dal Comune nel caso di specie; mentre la difesa comunale ha evidenziato che, in ogni caso, la ricorrente non avrebbe potuto beneficiare della sanatoria perché non residente nel Comune di Milano, ma residente in Erba in un alloggio di sua proprietà.

Alla pubblica udienza del 3 maggio 2011, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è meritevole di accoglimento.

2. Con l’unica censura la ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo in quanto il Comune, nel provvedimento di rigetto, avrebbe richiamato a fondamento del calcolo del canone di riferimento la legge n. 392 del 1978, piuttosto che la legge n. 431 del 1998, contenente criteri di individuazione del reddito più consoni e in linea con l’andamento del costo della vita effettivo.

2.1. La censura è fondata.

Successivamente alla proposizione del ricorso, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 176 del 5 giugno 2000, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, primo comma, lettera d) e dell’art. 22, primo comma, lettera e) della legge della Regione Lombardia 5 dicembre 1983, n. 91 (Disciplina dell’assegnazione e della gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica), limitatamente alle parti in cui individuavano il reddito immobiliare, rilevante ai fini rispettivamente dell’assegnazione dell’alloggio e della dichiarazione di decadenza, commisurandolo al canone di locazione determinato ai sensi della legge 27 luglio 1978, n. 392, piuttosto che alla legge n. 431 del 1998. Ciò ha determinato il travolgimento anche dell’art. 2, comma 1, lett. d, della legge regionale n. 28 del 1990, che ha novellato il predetto art. 2 della legge regionale 5 dicembre 1983, n. 91.

In ragione di ciò, la Regione Lombardia, con la legge n. 25 del 2000, ha modificato la normativa sopra richiamata inserendo il richiamo alla legge n. 431 del 1998, laddove in origine era indicata la legge n. 392 del 1978. Appare opportuno precisare che tale normativa non è più in vigore in seguito all’entrata in vigore della legge regionale n. 27 del 2009, che contiene il Testo unico delle leggi regionali in materia di edilizia residenziale pubblica.

2.2. Sulla scorta di tali premesse il provvedimento impugnato è illegittimo per aver applicato dei parametri normativi poi dichiarati costituzionalmente illegittimi.

3. Tuttavia il Comune di Milano nelle sue difese (all. 5 del Comune) ha evidenziato che la ricorrente comunque non avrebbe avuto diritto a beneficiare della sanatoria, in quanto non appartenente al nucleo familiare del richiedente – sig. Piredda – e in quanto residente a Erba nel momento in cui è stata presentata la domanda di sanatoria ex art. 43 della legge regionale n. 28 del 1990. Difatti, tra i requisiti previsti per beneficiare della sanatoria vi era quello della residenza anagrafica o della prestazione dell’attività lavorativa esclusiva o principale nel Comune in cui si presentava la domanda, oltre che dell’occupazione abusiva dell’immobile da almeno sei mesi.

3.1. Al riguardo, però, è il caso di sottolineare che, così procedendo, il Comune tende ad effettuare una inammissibile integrazione postuma della motivazione del provvedimento. Del resto, "la motivazione del provvedimento amministrativo non può essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo individuando con ciò il fondamento della illegittimità della motivazione postuma nella tutela del buon andamento amministrativo e nella esigenza di delimitazione del controllo giudiziario" (Consiglio di Stato, V, 15 novembre 2010, n. 8040).

Tale conclusione deve essere confermata anche dopo l’introduzione dell’art. 21octies della legge n. 241 del 1990 "dal quale discende una dequotazione dei vizi formali del provvedimento, ivi compreso il vizio del difetto di motivazione: infatti, una motivazione incompleta può essere integrata e ricostruita attraverso gli atti del procedimento amministrativo, così come può ipotizzarsi che l’Amministrazione convalidi il provvedimento integrandone in un secondo momento la motivazione; ma l’integrazione della motivazione deve pur sempre avvenire da parte dell’Amministrazione competente, mediante gli atti del procedimento medesimo o mediante un successivo provvedimento di convalida, nel mentre gli argomenti difensivi dedotti nel processo avverso il provvedimento, proprio in quanto non inseriti in un procedimento amministrativo, non sono idonei ad integrare in via postuma la motivazione" (T.A.R. Sicilia, Palermo, II, 10 novembre 2010, n. 14041).

4. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, deve essere annullato il provvedimento impugnato con lo stesso ricorso.

5. In ragione dell’andamento fattuale della controversia, le spese possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, annulla l’atto con lo stesso ricorso impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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