Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-02-2012, n. 1850 Risarcimento del danno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 22 giugno 2010, la Corte d’Appello di Napoli accoglieva parzialmente il gravame svolto da A.G. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la sentenza resa di primo grado aveva rigettato la domanda proposta contro l’Università degli Studi di Napoli, il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, il Ministero della Sanità, il Ministero del Tesoro, per la condanna al risarcimento del danno per omessa remunerazione del quadriennio del corso specialistico in medicina, frequentato negli anni accademici tra il 1984 ed il 1989, o a titolo remunerativo.

2. La Corte territoriale puntualizzava che:

– il dottore A. lamentava la mancata remunerazione delle attività svolte nel corso di specializzazione, con grave danno patrimoniale per l’impossibilità di svolgere altre attività professionali nel medesimo periodo;

– il Tribunale, ritenuto che la pretesa azionata discendeva dal preliminare e pregiudiziale accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro, rigettava la domanda;

– l’appellante censurava la prima decisione per aver travisato, in fatto e in diritto, il contenuto della domanda volto al risarcimento dei danni conseguiti all’omessa remunerazione durante il periodo di specializzazione svolto dal 1984 al 1989 o, in subordine, a titolo remunerativo, per un periodo antecedente ai decreti legislativi 257/91 e 368/99, richiamati dal giudice di prime cure, ed ha assunto l’impossibilità di invocare direttamente l’applicazione della normativa comunitaria ratione temporis (per i corsi tra il 1983 e il 1991) per la permanente vigenza, per i corsi di specializzazione già iniziati, delle precedenti disposizioni.

3. A sostegno del decisum la Corte territoriale:

– escludeva il carattere di diretta e immediata applicabilità delle direttive richiamate e il carattere retroattivo del D.Lgs. n. 257 del 1991; accoglieva la domanda di risarcimento del danno stante l’inadempimento riconducibile al legislatore nazionale, consistito nella perdita di chance;

– applicava la prescrizione decennale, in correlazione con la natura della pretesa risarcitoria, diretta all’adempimento di un’obbligazione ex lege;

– fissava la decorrenza del termine prescrizionale dall’entrata in vigore del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, di armonizzazione nell’ordinamento della direttiva comunitaria e, conseguentemente, riteneva tempestiva la domanda proposta con ricorso depositato il 29.3.2001 e notificato il 10.5.2001;

– liquidava, equitativamente, il danno alla stregua dei parametri indicati dalla L. n. 370 del 1999, con rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione del credito al saldo effettivo.

4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

L’intimato ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

5. Con il primo motivo di ricorso il Ministero ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 342, 345 c.p.c., e difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5), si duole che la corte territoriale abbia statuito sul risarcimento del danno da perdita di chance benchè controparte non avesse preteso tale ristoro. Assume l’Avvocatura dello Stato che la domanda risarcitoria per omessa remunerazione o, in subordine, a titolo remunerativo non poteva ricomprendere anche il titolo risarcitolo per perdita di chance.

6. Il motivo non è meritevole di accoglimento.

7. Osserva il Collegio che il giudice del merito non è incorso nel vizio di extrapetizione, ma ha proceduto, correttamente, all’assolvimento del compito istituzionale di qualificazione della pretesa azionata, limitandosi soltanto a dare una diversa qualificazione giuridica della domanda, senza alterare l’oggetto sostanziale della domanda e i termini della lite introducendo un tema d’indagine e di decisione non prospettato dalle parti.

8. La giurisprudenza della Corte ha reiteratamente precisato che, prima del loro recepimento nell’ordinamento interno, avvenuto con la L. n. 428 del 1990 e con il D.Lgs. n. 257 del 1991, la direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, che prevedeva l’adeguata remunerazione per la partecipazione alle scuole di specializzazione afferenti alle facoltà di medicina che comportasse lo svolgimento delle attività mediche del servizio in cui si effettuava la specializzazione, con dedizione a tale formazione pratica e teorica per l’intera settimana lavorativa e per tutta la durata dell’anno secondo le disposizioni fissate dalle autorità competenti, non era applicabile nell’ordinamento interno in considerazione del carattere non dettagliato e, conseguentemente, la mancata trasposizione fa sorgere, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento del danno cagionato per il ritardato adempimento, consistente nella perdita della chance di ottenere i benefici essenziali per consentire un percorso formativo scevro, almeno in parte, da preoccupazioni esistenziali, resi possibili da una tempestiva attuazione delle direttive medesime (Cass., SU 9147/2009 e, da ultimo, ex multis, Cass. 10813/2011).

9. Con il secondo motivo di ricorso il MIUR denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, L. n. 370 del 1999, artt. 2043, 2946, 2947, 2948 c.c., Dir. CEE 82/76, 93/16, vizio motivazione. Assume l’Amministrazione ricorrente che il termine di prescrizione applicabile nella specie sarebbe quello quinquennale dell’illecito aquiliano, onde la prescrizione risultava maturata alla data di proposizione della domanda giudiziale, e, con la memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c., invoca l’applicazione dello jus superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2011, art. 4, comma 43, e la più recente giurisprudenza di legittimità sulle conseguenze risarcitorie dell’illecito comunitario commisurate alle minori somme alla stregua della L. n. 370 del 1999, anzichè alle maggiori somme ex D.Lgs. n. 257 del 1991. 10. Dello jus superveniens invocato dalla difesa erariale, a sostegno della prospettata applicabilità della prescrizione quinquennale, occorre innanzitutto saggiarne l’eventuale incidenza sulla vicenda all’esame del Collegio.

11. La L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 43 (Legge di stabilità 2012, ex legge finanziaria, pubblicata in G.U. 14 novembre 2011, n. 265) ha introdotto nell’ordinamento la seguente disposizione: "La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all’art. 2947 cod. civ., e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato". 12. Ai sensi dell’art. 36 della stessa legge la norma è entrata in vigore il 1 gennaio 2012. 13. Il Collegio ritiene che la disposizione de qua, operando solo per l’avvenire, a mente del criterio generale fissato dall’art. 12 preleggi, possa spiegare la sua efficacia solo rispetto ai fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore, onde risulta irrilevante nel presente giudizio, come nei giudizi similari.

14. Ratio legis della disposizione è la regolamentazione della prescrizione del diritto al risarcimento del danno, derivante da mancato recepimento di normative comunitarie cogenti e dal verificarsi in capo ad un soggetto di un fatto che, ove fosse stata attuata la direttiva, sarebbe stato produttivo di diritti, sicchè la norma potrà spiegare effetti soltanto per la prescrizione di diritti di tal genere insorti successivamente alla sua entrata in vigore e, quindi, derivanti da fattispecie di mancato recepimento verificatesi dopo l’intervento del legislatore del 2011. 15. In altre parole, la disposizione non può regolare, in via sopravvenuta, il diritto al risarcimento del danno da mancato recepimento e, in particolare, l’effetto del decorso del tempo per l’esercizio del diritto al ristoro per inadempimento dell’obbligo di armonizzazione invocato in giudizio, posto che, nella specie, il danno da mancato recepimento (il fatto costitutivo della tutela invocata) si colloca in epoca antecedente all’intervento legislativo che ha ridisegnato, in materia, le regole inerenti alla prescrizione del diritto.

16. Nè il dettato normativo enuncia, in alcun modo, l’ambito della disciplina involgendo anche i termini di prescrizione di diritti sorti e non consumati o per mancata decorrenza del termine di prescrizione originario o, nel caso di interruzione di esso o di quelli successivi, per pendenza di un termine successivo, nonchè i termini di prescrizione non consumati alla stregua della disciplina applicabile precedentemente e che risulterebbero consumati alla stregua della nuova.

17. La disposizione neanche reca riferimenti testuali preordinati ad evidenziare, all’interprete, il carattere espressamente interpretativo, e dunque, retroattivo, expressis verbis, per l’appunto, o in via indiretta attraverso idonei indici conducenti verso la portata interpretativa della nuova regolamentazione in tema di prescrizione del diritto.

18. Ove poi si consideri che il carattere interpretativo autentico di una legge dipende esclusivamente dal suo contenuto, caratterizzato dall’enunciazione di un apprezzamento interpretativo circa il significato di un precetto antecedente, a cui la norma si ricollega nella formula e nella ratio, e da un momento precettivo, con il quale il legislatore impone siffatta interpretazione, escludendone ogni altra, l’uso dell’inciso "in ogni caso" non è dirimente per abbracciare la tesi propugnata dalla difesa erariale giacchè non può da esso inferirsi la volontà legislativa derogatoria del principio per cui la legge provvede per l’avvenire, se il legislatore non dispone diversamente, e ancor meno una volontà interpretativa.

19. L’oggetto della disciplina normativa, quoad tempus, è definito dall’espressione "La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatoli comunitari", mentre l’inciso in questione indirizza l’interprete nella soggezione del caso concreto alla regolamentazione indipendentemente dalla qualificazione del relativo diritto negli stessi termini.

20. Va ancora rimarcato che le situazioni come quella di cui è processo, riguardo alle quali il diritto è stato già esercitato con l’azione in giudizio, al momento dell’entrata in vigore della legge vedono già prodotto l’effetto introduttivo del termine prescrizionale, come risultante a norma della disciplina del termine prescrizionale vigente al momento d’introduzione del giudizio, onde il termine di prescrizione non correva al 1 dicembre 2012, nemmeno doveva e poteva iniziare, atteso che era interrotto.

21. Sarebbe occorsa, pertanto, un’espressione linguistica adeguata ed idonea a rivelare l’intentio legis di abbracciare tutte le fattispecie, anche in via retroattiva, sovrapponendo il nuovo termine a quello a suo tempo interrotto dalla domanda giudiziale e risultante dalla disciplina legislativa pregressa, non tollerando ambiguità il carattere retroattivo o interpretativo di una norma.

22. Così delineata la cornice normativa introdotta dalla legge di stabilità per l’anno 2012, nella quale non si inscrive, per quanto detto, la fattispecie all’esame del Collegio, va comunque rimarcato che la lettura data dal Collegio, sulla scia di altre recentissime decisioni della Corte nella medesima materia, si appalesa conforme alla Convenzione (art. 6 CEDU) e costituzionalmente orientata (art. 111 Cost.), a mente del principio di preminenza del diritto e della nozione di giusto processo consacrati dall’art. 6 della Convenzione, che ostano all’emanazione, nella materia civile, di norme con effetti retroattivi incidenti sui processi già in corso, salvo che per ragioni imperative d’interesse generale, in violazione del principio del giusto processo sotto il profilo della parità delle parti, da ritenere leso a causa di un intervento del legislatore diretto ad imporre una determinata soluzione ad una circoscritta e specifica categoria di controversie (v., al riguardo, la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 257/2011 in terna di legge interpretativa).

23. Quanto detto contiene, in nuce, anche la verifica della conformità a costituzione della disposizione, sollecitata dalla difesa erariale nella discussione orale.

24. Superata la verifica dell’inapplicabilità, nella specie, del regime prescrizionale introdotto con la legge di stabilità per l’anno 2012, il Collegio intende riaffermare i principi ampiamente sviluppati con le sentenze nn. 10813, 10814, 10815, 10816, 17868 del 2011, peraltro seguiti da numerose altre decisioni di questa Corte adottate, da ultimo, dopo l’entrata in vigore della predetta legge di stabilità, dando continuità all’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte (SU 9147/2009 cit.) in tema di azione risarcitoria esercitata per pretese come quella del ricorrente e di termine prescrizionale.

25. Le citate sentenze, a sostegno dell’orientamento delle Sezioni Unite e contro le critiche ad esso mosse, hanno precisato che "il concetto di responsabilità contrattuale è stato usato dalle Sezioni Unite palesemente nel senso non già di responsabilità che suppone un contratto, ma nel senso – comune alla dottrina in contrapposizione all’obbligazione da illecito extracontrattuale – di responsabilità che nasce dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, considerato dall’ordinamento interno, per come esso deve atteggiarsi secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, come fonte dell’obbligo risarcitorio, secondo la prospettiva scritta nell’art. 1173 c.c. (Cass. 10813/2011).

26. Le predette decisioni, e le altre che vi si sono informate, dopo l’ampia ricognizione della giurisprudenza comunitaria e le conclusioni sulle sue implicazioni, hanno, quindi, affrontato il tema del dies a quo del termine prescrizionale, pervenendo all’affermazione del seguente principio di diritto: il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, insorto a favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica negli anni dal 1 gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991 in condizioni tali che se detta direttiva fosse stata adempiuta avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, art. 11. 27. Nella specie, il termine prescrizionale decennale, pur correlato dalla corte territoriale all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, non era comunque decorso all’atto della proposizione dell’azione risarcitola.

28. Passando, infine, all’ultimo motivo di doglianza imperniato sulle conseguenze risarcitorie dell’illecito comunitario, osserva il Collegio che il parametro utilizzato dalla Corte territoriale – "fornito dalla L. n. 370 del 1999, art. 1, comma 1 (borsa di studio annuale per i medici ammessi presso le università alle scuole di specializzazione in medicina dall’anno accademico 1983-1984 all’anno accademico 1990-1991) per un totale di Euro 33.569,65 con l’aggiunta della rivalutazione monetaria e degli interessi legali dalla maturazione del credito al saldo" – non è stato supportato da adeguate censure.

29. Invero la difesa erariale, censurando, per contraddittorietà e illogicità, la decisione della Corte territoriale per non aver compensato l’istante in termini solo indennitari ed aver, invece, statuito su spettanze di carattere risarcitorio volte a compensare la perdita di chance con le maggiorazioni per danno da svalutazione monetaria, ha, in tali termini, trascurato di devolvere a questa Corte di legittimità, con adeguate censure, il canone valutativo per la quantificazione del risarcimento del danno non patrimoniale adottato dalla Corte territoriale, id est il parametro, legale e di fatto, applicato, onde l’inidonea devoluzione della questione ha reso intangibile la relativa statuizione dei Giudici del gravame.

30. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 50,00, per esborsi, oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2012

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