Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-02-2012, n. 1847

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La sentenza attualmente impugnata: 1) rigetta l’appello principale di F.E. avverso la sentenza del Tribunale di Napoli del 25 giugno 2003; 2) accoglie parzialmente l’appello incidentale della Negrini s.p.a. e, per l’effetto, condanna F. E. alla corresponsione in favore della suddetta società della somma di Euro 87.856,44, oltre interessi legali dalla domanda fino al soddisfo; 3) compensa tra le parti le spese del dei due gradi di merito del giudizio.

La Corte d’appello di Napoli, per quel che qui interessa, precisa che:

1) deve essere respinta la censura del F. attinente la pronuncia del Tribunale di inammissibilità per tardività delle istanze di acquisizione documentale formulate in sede di costituzione dell’agente all’esito della domanda riconvenzionale proposta dalla società;

2) in base alla sentenza n. 13 del 1977 della Corte costituzionale (e alle successive ordinanze n. 36 e n. 64 del 1978) nel rito del lavoro l’attore convenuto in via riconvenzionale ha gli stessi poteri e incorre nelle stesse preclusioni previste dall’art. 416 cod. proc. civ., per il convenuto in via principale, con la differenza che il termine di riferimento da adottare non è l’udienza di discussione fissata ai sensi dell’art. 415 cod. proc. civ., ma la nuova udienza da fissare in base al meccanismo previsto dall’art. 418 cod. proc. civ.;

3) la tesi del F. – secondo cui la prova documentale, essendo precostituita, non soggiace alle preclusioni di cui agli artt. 414, 416 e 420 cod. proc. civ., pur trovando riscontro nella giurisprudenza di legittimità più risalente, è stata superata dalla giurisprudenza di legittimità più recente, a partire dalla sentenza 20 aprile 2005, n. 8202, pronunciata dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, in sede di composizione di contrasto;

4) per le medesime ragioni devono essere respinte anche le ulteriori istanze istruttorie concernenti la prova orale articolata, in risposta alla domanda riconvenzionale;

5) nè a diversa conclusione deve giungersi in riferimento alla richiesta di ammissione di prova testimoniale, articolata nell’atto introduttivo, in relazione alla quale il F. lamenta l’omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado;

6) infatti, i capitoli di prova, in tal sede formulati, concernevano circostanze sostanzialmente incontroverse (perchè attinenti la durata del rapporto, il contenuto dell’attività svolta dall’agente, lo svolgimento di attività di esazione dei crediti, l’entità degli incassi), sicchè si trattava di mezzi di prova superflui;

7) bene ha fatto, quindi, il Tribunale a limitare la ammissione alle sole istanze di prova testimoniale formulate dalla società;

8) deve essere respinta anche la censura del F. avverso la statuizione della sentenza di primo grado di accoglimento della domanda della società Negrini volta alla restituzione, da parte dell’agente, della somma di denaro trattenuta dallo stesso trattenuta a titolo di omaggi ai clienti;

9) appare, infatti, del tutto da condividere l’assunto del Tribunale secondo cui non è in alcun modo emerso che gli importi a titolo di rimborso spese sostenute per gli omaggi alla clientela e per promozioni fossero sostenuti da idonea documentazione giustificativa, essendo stata accertata la prassi invalsa tra le parti in base alla quale l’agente tratteneva gli importi stessi;

10) del resto, anche il contabile della società, in sede di deposizione testimoniale, ha confermato che il F., in relazione alla suddetta voce, si era discostato dalla prassi consolidata, la quale contemplava una giustificazione puntuale, da parte dell’agente, delle somme trattenute per il titolo in oggetto;

11) nè l’interessato ha, nel corso del giudizio, reso ragione della fondatezza della propria pretesa, essendosi limitato a fondare, anche in appello, le proprie difese su deduzioni imperniate sul comportamento della società, che non avrebbe impugnato nè contestato lo storno della suddetta somma, ritenendolo legittimo;

12) in realtà, la suddetta argomentazione difensiva risulta smentita dal comportamento omissivo dell’agente, dalla suddetta deposizione e dalla corrispondenza intercorsa tra le parti ove risulta, fra l’altro, che la società, con lettera del 1 marzo 1996, ha chiesto invano giustificazioni al riguardo e, con successiva lettera del 12 marzo 1996, ha richiesto il pagamento della somma di L. 195.459.339, a saldo della distinta di incassi del 24 febbraio 1996, respingendo anche la fattura emessa in pari data dall’agente;

13) in particolare, diversamente da quanto sostenuto dal F., non può certo ritenersi che quest’ultima richiesta sia tale da porre nel nulla quella precedente sulla giustificazione dell’importo trattenuto a titolo di omaggi alla clientela;

14) va, altresì, respinto il motivo di appello riguardante l’accoglimento della domanda riconvenzionale della società di pagamento, da parte del F., della somma di L. 195.459.339, trattenuta dall’agente in compensazione del pagamento delle "spese ufficio";

15) secondo il F., la società non ha corrisposto le spese di esazione, le spese ufficio, essendosi limitata a versare solo le spese relative alla gestione e al coordinamento nella misura del 2%;

16) la deduzione riguardante le spese ufficio è innovativa, in quanto nel ricorso introduttivo è stato chiesto il pagamento soltanto delle indennità di esazione, di scioglimento del rapporto, sostitutiva del preavviso, ma non si è prospettato alcun credito per spese ufficio, nella descrizione delle vicende concernenti la corresponsione dei compensi pattuiti;

17) peraltro, anche la prova documentale porta a ritenere esatta la statuizione del primo giudice sul punto, secondo cui all’agente doveva essere riconosciuto, sulla base degli accordi pattuiti, il compenso del 5% sulla merce venduta (e non sugli incassi) per l’attività di esazione e quello del 2% a titolo di rimborso spese ufficio, mentre non vi era alcun riferimento all’attività di coordinamento degli agenti (prospettata, in primo grado, con memoria del F. depositata tardivamente rispetto alla relativa domanda riconvenzionale);

18) d’altra parte, i motivi di appello presentati al riguardo dal F. non investono specificamente la pronuncia del Tribunale di diniego della sussistenza del requisito della certezza dei crediti, indispensabile per procedere alla compensazione impropria richiesta;

19) la percentuale stabilita dal primo giudice per la determinazione dell’ammontare della provvigione derivante dall’applicazione dell’art. 2225 cod. civ., con riguardo all’imponente attività di esazione svolta dall’agente, appare equa e congrua rispetto al cospicuo volume d’affari trattato dall’agente nel periodo di cui si controverte, pari a L. 14.842.794.523;

20) deve escludersi che la cessazione del rapporto sia ascrivibile a responsabilità dell’agente, cui vanno riconosciute le indennità sostitutiva del preavviso, di scioglimento del contratto e suppletiva di clientela;

21) quanto alle doglianze delle parti riguardanti il procedimento sotteso alla relazione peritale e alle conclusioni cui è pervenuta, si osserva che il c.t.u., ha seguito le linee tracciate dal giudicante;

22) entrambe le parti sostengono che, nel quadro riassuntivo degli emolumenti vi siano degli errori: il F. rileva che alla voce "indennità suppletiva di clientela" commisurata ad un importo pari a L. 25.418.137 viene indicato come importo corrispondente, quello di Euro 761,26 anzichè di Euro 13.127,37, la società, conviene su tale ultimo punto ed evidenzia ulteriori errori contenuti nel suddetto quadro riassuntivo;

23) le censure della società sono in parte fondate, in quanto in tale quadro viene indicata come somma spettante all’agente a titolo di indennità di scioglimento clientela la somma di L. 10.917.957 corrispondente all’importo già versato all’ENASARCO – invece della sola differenza dovuta pari a L. 356.809, già indicata al punto D della relazione peritale;

24) conseguentemente, il credito del F. deve essere correttamente determinato in L. 107.611.076;

25) il suddetto importo deve essere detratto dal maggior credito della società Negrini, pari a L. 277.724.992 (di cui L. 82.175.653, a titolo di omaggi ai clienti e L. 195.549.339, a titolo di spese ufficio, relative agli anni 1990-1995), così pervenendosi alla somma di L. 170.113.916, corrispondente ad Euro 87.856,44, come credito residuo della società, cui accedono gli interessi legali dalla domanda (cioè dalla notifica dell’appello incidentale, in mancanza di dati più precisi cui ancorare la messa in mora da parte della società) fino al soddisfo;

26) nei suindicati limiti l’appello incidentale della società deve essere accolto;

27) la complessità della fattispecie e la soccombenza reciproca inducono a disporre la compensazione delle spese processuali dei due gradi di giudizio.

2- Il ricorso di F.E. domanda la cassazione della sentenza per sette motivi; resiste, con controricorso, la Negrini s.p.a., mentre la Fondazione Enasarco non svolge attività difensiva.

Motivi della decisione

1 – Sintesi dei motivi.

Tutti i motivi di ricorso, illustrati da quesiti di diritto, denunciano vizi di omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio.

1.- In particolare, con il primo motivo, si contesta la decisione della Corte partenopea di rigettare il motivo di appello del F. avverso la sentenza di primo grado, laddove essa ha negato l’accesso alle istanze di acquisizione documentale formulate in sede di costituzione, all’esito di domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta Negrini s.p.a..

La Corte d’appello ha ritenuto, infatti, tardivo il deposito documentale in oggetto, con conseguente decadenza dalla prova, in quanto avvenuto con memoria di costituzione del 27 maggio 1998, a fronte di un’udienza di discussione fissata per il 28 maggio 1998 e non quindi almeno dieci giorni prima di tale ultima udienza.

Il ricorrente ritiene tale decisione erronea e illegittima principalmente perchè la decadenza in oggetto è stata pronunciata dal Tribunale d’ufficio e non su eccezione della società (il cui comportamento in tal senso avrebbe dovuto essere interpretato come tacita rinuncia a far valere la decadenza), mentre la decadenza è di regola irrilevabile d’ufficio, tranne che con riguardo a materie di cui le parti non possono disporre.

2- Con il secondo motivo di ricorso si sottolinea l’illegittimità della sentenza impugnata sulla questione della decadenza della produzione documentale di cui al precedente motivo, derivante da una erronea lettura della – pur richiamata – sentenza delle Sezioni unite di questa Corte 20 aprile 2005, n. 8202.

In tale sentenza, infatti, è stato sottolineato che il rigoroso sistema delle preclusioni – in base al quale l’estinzione del diritto di produrre documenti, dovuta al mancato rispetto dei termini perentori e decadenziali stabiliti, è irreversibile e, quindi, non il diritto stesso non è suscettibile di riviviscenza in appello trova un contemperamento – ispirato all’esigenza della ricerca della "verità materiale", che caratterizza il rito del lavoro – nell’esercizio dei poteri officiosi di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, ai sensi dell’art. 437 cod. proc. civ..

Nella specie, la produzione documentale stralciata dagli atti era proprio finalizzata alla ricerca della "verità materiale".

Essa, infatti, ricomprendeva gli atti riportati nel foliario della produzione in appello (riprodotto nel corpo del presente ricorso) e riguardava, fra l’altro, varie lettere inviate dalla società al F., fra una lettera in data 12 marzo 1996 (anche riprodotta nel corpo del presente ricorso) di notevole importanza ai fini della ricostruzione del rapporto nonchè della determinazione del compenso da riconoscere al F..

3. Con il terzo motivo di ricorso si rileva che la Corte partenopea, con motivazione analoga a quella riguardante il rigetto delle acquisizioni documentali di cui si è detto, ha respinto altresì le ulteriori istanze concernenti la prova per testi articolata nell’atto introduttivo.

Al riguardo, si sottolinea che la società Negrini, nella domanda riconvenzionale, aveva sostenuto: 1) di aver raggiunto un accordo verbale col F. in quale al quale all’agente sarebbe stata corrisposta un’integrazione del 2% solo per l’attività di esazione;

2) che il rapporto si era interrotto in seguito all’emissione, da parte del F., della fattura n. (OMISSIS), sull’assunto di un’appropriazione di una somma pari L. 195.459.339;

3) di non dovere corrispondere al F. la somma di L. 82.000.000, rivendicata dall’agente a titolo di omaggi ai clienti.

Conseguentemente, il F. aveva chiesto di essere ammesso alla prova per testi, onde dimostrare la falsità di tali assunti e, in particolare che: 1) la suindicata integrazione pari al 2% era da riferire al contributo integrativo per l’attività di coordinamento degli altri agenti, al quale andava aggiunto un altro compenso, sempre pari al 2%, per le spese di ufficio, oltre al compenso, nei limiti di spettanza, per l’attività di incasso e maneggio denaro, mai retribuita, secondo quanto già rilevato nel ricorso introduttivo; 2) la società, prima del l’instaurazione del presente giudizio, aveva sempre riconosciuto che al F. era dovuta la somma di L. 82.000.000, a titolo di omaggi ai clienti.

Pertanto, anche la prova orale illegittimamente non ammessa era finalizzata alla ricerca della "verità materiale", cui fa espresso riferimento la richiamata sentenza delle Sezioni unite di questa (Corte 20 aprile 2005, n. 8202).

4. Con il quarto motivo di ricorso si contesta la decisione assunta dalla Corte partenopea di rigetto della censura del F. in merito all’omessa pronuncia del Tribunale sulla richiesta di ammissione di prova testimoniale, articolata nell’atto introduttivo.

Si sottolinea che la Corte d’appello ha dato conto di tale decisione con una motivazione del tutto illogica ed erronea.

Il Giudice del merito, infatti, ha ritenuto corretta la scelta del Tribunale di non ammettere la suddetta prova testimoniale perchè ha ritenuto la prova stessa superflua, sul rilievo che i capitoli di prova formulati dal F. nella suddetta sede, concernevano circostanze sostanzialmente incontroverse, in quanto attinenti la durata del rapporto, il contenuto dell’attività svolta dall’agente, lo svolgimento di attività di esazione dei crediti, l’entità degli incassi.

In tal modo, la Corte partenopea non ha esercitato in modo corretto il proprio potere-dovere di verifica non solo dell’ammissibilità, ma anche della rilevanza (cioè dell’utilità ai fini del decidere) delle prove, considerando "pacifiche", circostanze che, invece, la società ha sempre contestato.

Invero, la suddetta prova testimoniale era, fra l’altro, finalizzata ad accertare le mansioni svolte in concreto dal F., anche nella qualità di coordinatore degli altri agenti, nonchè per l’apertura degli uffici in Napoli e già questi sono degli elementi tutt’altro che pacifici, ove si consideri che la società Negrini, fin dalla comparsa di costituzione in primo grado, ha contestato che all’agente sia stato attribuito, fin dall’inizio del rapporto (1985), anche l’incarico di coordinatore degli altri agenti (riconoscendolo solo a partire dal 1990), altrettanto contestata (l’attività del F. diretta all’apertura dell’ufficio della società Negrini in (OMISSIS).

Ne consegue che la ammissione della prova testimoniale in argomento avrebbe offerto la dimostrazione di elementi tali da invalidare – in base ad un giudizio di certezza e non di mera probabilità l’efficacia delle altre circostanze istruttorie, sulla cui base si è formato l’erroneo convincimento del Giudice del merito, che rende come tale priva di fondamento la ratio decidendi della sentenza impugnata.

5.- Con il quinto motivo di ricorso si contesta la decisione della Corte partenopea di rigetto del motivo di appello del F., col quale veniva impugnata la sentenza di primo grado ove aveva ritenuto fondata la richiesta della società Negrini volta alla restituzione, da parte dell’agente, somma di denaro trattenuta dallo stesso a titolo di omaggi ai clienti.

Al riguardo, il Giudice del merito ha ritenuto del tutto da condividere la statuizione del Tribunale secondo cui non è in alcun modo emerso che gli importi a titolo di rimborso spese sostenute per gli omaggi alla clientela e per promozioni fossero sostenuti da idonea documentazione giustificativa, essendo stata accertata la prassi invalsa tra le parti in base alla quale l’agente tratteneva gli importi stessi.

La Corte d’appello, inoltre, ha fatto riferimento ad un’unica deposizione testimoniale – quella del contabile della società – ed ha ritenuto che l’interessato, nel corso del giudizio, non abbia giustificato la fondatezza della propria pretesa, essendosi limitato a fondare, anche in appello, le proprie difese su deduzioni imperniate sul comportamento della società, che non avrebbe impugnato nè contestato lo storno della suddetta somma, ritenendolo legittimo.

In questo modo, ad avviso del ricorrente, anche su questo punto, la sentenza sarebbe viziata perchè basata di una valutazione delle risultanze probatorie " totalmente inficiata da incongruenze logiche e da errori di diritto".

In particolare, dal tenore letterale della missiva del 12 marzo 1996, inviata dalla società al F. e riprodotta nel presente ricorso, si desume che la Negrini s.p.a. ha richiesto il pagamento della somma di L. 195.459.339, "a saldo" della distinta di incassi del 24 febbraio 1996.

Ciò significa che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, la società ha riconosciuto, con la suddetta lettera, che null’altro le era dovuto, ivi compresa la somma di L. 82.175.653, trattenuta dall’agente a titolo di omaggi ai clienti, come si evince anche da una successiva lettera del 20 agosto 1993 e da altre prove documentali, tutte del pari riprodotte nel presente ricorso.

L’indicata lettera in data 12 marzo 1993 non è stata disconosciuta, nè contestata nel contenuto e, provenendo dalla stessa Negrini, ad essa avrebbe dovuto essere attribuito valore di prova legale, vincolante anche per il Giudice fino a querela di falso.

Nè va omesso di rilevare che, nel corso del giudizio il F. ha prodotto alcune fatture comprovanti gli omaggi ai clienti ed ha anche sollecitato opportune indagini ulteriori anche attraverso una c.t.u. o l’invito alla società ad esibire le relative scritture contabili, ma nessuna richieste è stata presa in considerazione, senza alcuna motivazione da parte della Corte d’appello.

6.- Con il sesto motivo di ricorso si contesta la statuizione della Corte d’appello di rigetto del motivo di appello riguardante l’accoglimento della domanda riconvenzionale della società di pagamento, da parte del F., della somma di L. 195.459.339, trattenuta dall’agente in compensazione del pagamento delle "spese ufficio".

Si sostiene che la Corte partenopea, al pari del Tribunale, hanno operato una erronea ricostruzione dei fatti, rilevante per appurare la decorrenza e la misura dei tre compensi dovuti all’agente rispettivamente a titolo di spese ufficio, di attività di esazione e di coordinamento degli agenti.

Conseguentemente, la motivazione sul punto della sentenza impugnata sarebbe del tutto incongrua e, soprattutto, sarebbe il frutto di una valutazione delle risultanze probatorie "inficiata da incongruenze logiche e da errori di diritto".

In particolare, si contesta l’affermazione relativa al carattere innovativo della tesi del F., a proposito del compenso per spese ufficio.

Al riguardo, il ricorrente sottolinea che mentre quando ha proposto il ricorso introduttivo egli non aveva nulla da domandare a tale titolo – visto che ben prima del deposito del ricorso stesso aveva già incassato dalla società, a mezzo compensazione dei rispettivi crediti, il corrispondente compenso – viceversa il suo interesse a rivendicare il suindicato compenso sorge soltanto quando, in sede di proposizione della domanda riconvenzionale in primo grado, la Negrini s.p.a. chiede la restituzione di quanto percepito a tale titolo.

Di questa circostanza il Giudice del merito non ha tenuto alcun conto.

Inoltre, sarebbe del tutto illogico il ragionamento effettuato nella sentenza impugnata a proposito del collegamento tra il compenso per rimborso spese ufficio e quello per attività di esazione, ragionamento che porta a conclusioni poco comprensibili e altrettanto illogiche.

Infatti, la disposta condanna del F. alla restituzione della somma percepita a titolo di compenso per spese ufficio, avrebbe potuto avere senso soltanto nell’ipotesi nella quale fosse stata dimostrata una doppia riscossione, da parte del F., di somme per la medesima causale. Ciò, invece, non si è verificato nella specie, come emerge chiaramente dalle risultanze processuali – e, in particolare, dalle prove documentali e testimoniali (in particolare:

deposizione del legale rappresentante della società) tra loro concordanti, diversamente da quel che si afferma nella sentenza impugnata – che dimostrano chiaramente che all’agente era dovuto un compenso, nella misura del 2%, a titolo di rimborso spese ufficio.

Illogico è anche il ragionamento che porta la Corte partenopea a ritenere non applicabile la compensazione impropria per difetto del requisito della certezza dei crediti, sull’assunto che la provvigione del 2% era da calcolare sulla merce venduta e non sugli incassi.

Infatti, tra merce venduta e incassi non vi è differenza (visto che gli incassi sono quelli che derivano dalla merce venduta) e, d’altra parteil rappresentante della società, in sede di libero interrogatorio, aveva affermato di ritenere esatto l’importo di L. 14.842.794,523, indicato nel ricorso introduttivo quale importo complessivo delle somme incassate, quindi non vi era contestazione sul punto.

Il F. non doveva, quindi, fornire alcuna prova al riguardo, visto che calcolare la percentuale del 2% sul suddetto importo, costituisce una semplice operazione di calcolo aritmetico, che non richiede alcuna attività probatoria.

7.- Con il settimo motivo di ricorso si sostiene l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di motivare sulle contestazioni mosse alla c.t.u. sia in primo grado sia nell’atto di appello.

In particolare, il F. sottolinea di avere rappresentato, nell’atto d’appello: 1) il mancato rispetto, da parte del c.t.u. dell’art. 92 disp. att. cod. proc. civ., non avendo il consulente informato il giudice (onde ottenerne le opportune direttive) delle questioni sorte tra le parti in merito all’esatta interpretazione dell’incarico conferito; 2) l’omessa considerazione da parte del Tribunale dell’informativa su tali questioni; 3) i vistosi errori di calcolo contenuti nella relazione del c.t.u., in particolare nella pagina finale contenente il quadro riassuntivo degli emolumenti (che viene riprodotta nel corpo del presente ricorso); 4) l’inaffidabilità e inadeguatezza del medesimo c.t.u., dimostrata in modo eclatante dai molteplici e grossolani errori di calcolo verificabili ictu oculi dalla lettura del suddetto quadro riassuntivo; 5) la conseguente erroneità dei calcoli effettuati dal primo giudice sulla base degli erronei calcoli del c.t.u..

Tali articolate deduzioni non sono state affatto prese in considerazione dalla Corte d’appello e ciò vale ad inficiare la sentenza impugnata che si è integralmente riportata alle conclusioni del c.t.u., senza accennare minimamente alle puntuali e specifiche censure ritualmente proposte al riguardo dal F..

2 – Esame dei motivi.

8.- I primi quattro motivi del ricorso – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione – non sono da accogliere.

8.1.- In base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) in tema di prova spetta in via esclusiva al giudice del merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorie, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni. Nè tale regola subisce eccezioni nel rito del lavoro (vedi per tutte: Cass. 15 luglio 2009, n. 16499; Cass. 21 luglio 2010, n. 17097; Cass. 17 giugno 2011, n. 13367);

b) ove la motivazione assunta al riguardo sia adeguata alla effettuata valutazione del materiale probatorio da parte del giudice del merito e sia priva di vizi logici e giuridici, essa è insindacabile in sede di legittimità (Cass. SU 27 dicembre 1997 n. 13045; Cass. 5 ottobre 2006 n. 21412);

c) inoltre, la mancata ammissione di un mezzo istruttorio e/o la svalutazione del suo valore probatorio si traducono in un vizio di motivazione della sentenza, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, quando il vizio emerga dal ragionamento posto alla base della decisione (che risulti incompleto o illogico o contraddittorio) ed il ricorrente indichi specificamente le circostanze di fatto oggetto della prova ed il nesso di causalità tra la mancata ammissione e la decisione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo sulla decisività della prova non ammessa (arg. ex Cass. 22 luglio 2004, n. 13730);

d) infatti, il vizio di motivazione per omessa ammissione o considerazione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. 17 maggio 2007, n. 11457; Cass. 23 febbraio 2009, n. 4369; Cass. 7 marzo 201 l,n. 5377).

8.2. Nella specie, il ricorrente, con i motivi suindicati, sostanzialmente contesta il modo in cui la Corte d’appello ha esercitato il compito di individuazione delle fonti del proprio convincimento senza indicare – in modo specifico e in conformità con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (sul quale vedi, per tutte Cass. 30 luglio 2010, n. 17915 e decisioni ivi richiamate) – nè le circostanze di fatto oggetto delle prove documentali e testimoniali di cui contesta la mancata ammissione nè il nesso di causalità tra la suddetta mancata ammissione e la decisione, onde consentire a questa Corte di legittimità il controllo sulla decisività delle prove non ammesse.

9.- Anche il quinto, il sesto e il settimo motivo – che si esaminano insieme, data la loro connessione non sono da accogliere.

Essi, infatti, non sono conformi al consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, secondo cui: "la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718)".

Con tali motivi – così come, sostanzialmente, con i primi quattro – il ricorrente deduce questioni attinenti la ricostruzione – sulla base delle risultanze probatorie – della complessa vicenda di fatto che ha dato origine al giudizio. Tuttavia tale ricostruzione, che impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, come tale è incensurabile in sede di legittimità quando risulta sorretta da congrua motivazione e l’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.

Ciò si verifica nella specie in quanto dalla lettura dell’articolata motivazione della sentenza impugnata risulta, con chiarezza, il lineare sviluppo argomentativo posto alla base della decisione in tutti i suoi diversi passaggi.

In particolare, la Corte partenopea da conto – in modo esauriente e conforme alla giurisprudenza di legittimità – delle scelte operate in merito al governo del materiale probatorio (in particolare, con riguardo alla mancata ammissione delle prove documentali e testimoniali richieste dal F.) e supporta in modo adeguato e logico le altre statuizioni riguardanti i compensi da riconoscere all’agente, la non ascrivibilità a responsabilità dell’agente della cessazione del rapporto, nonchè la marginalità delle imprecisioni riscontrate nel "quadro riassuntivo emolumenti" della relazione del c.t.u. contabile e i criteri di determinazione del credito residuo della Negrini s.p.a..

3 – Conclusioni.

10- In sintesi, il ricorso va rigettato. Quanto alle spese processuali, si reputa che la complessità della vicenda giudiziaria e il remoto inizio del rapporto cui essa si riferisce costituiscano giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese anche del presente giudizio di cassazione, come già disposto nella sentenza impugnata per i due gradi di merito.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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