Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-07-2011) 27-09-2011, n Costruzioni abusive Reati edilizi34901

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – All’odierno ricorrente viene ascritto di avere falsamente asserito, nella domanda di condono edilizio presentata al Comune di Roma (prot. 19339) e nella dichiarazione L. n. 15 del 1968, ex art. 4, ad essa allegata, che le opere per le quali egli era stato accusato (e poi assolto) di edificazione illecita (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), erano state ultimate entro il 31.3.03 mentre alla data del 9.12.03 esse non erano state ancora eseguite.

Per tale fatto, il ricorrente è stato condannato per la violazione dell’art. 483 c.p. e la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello nella decisione qui impugnata.

Avverso tale sentenza l’imputato ricorre, tramite il difensore, deducendo: violazione di legge, contraddittorietà della motivazione e mancato riconoscimento dell’indulto.

Si fa, infatti, notare che la condotta ascritta al ricorrente da luogo ad un reato impossibile perchè se è vero – come in effetti è – che il T. è stato assolto dal reato di cui al capo a) (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato in quanto gli interventi di ristrutturazione edilizia incriminati non necessitavano di permesso di costruire ma solo di D.I.A. (che era stata regolarmente presentata), era, allora, del tutto irrilevante la pretesa mendace dichiarazione circa la ultimazione dei lavori.

Fermo restando che si discute anche di tale mendacia visto che l’affermazione dell’amministratore del condominio richiamata dai giudici – secondo cui il T. aveva chiesto di poter ottenere l’allaccio dei servizi – dimostra semmai proprio il contrario, e cioè, che la cantina era già ad un punto di ultimazione avanzato.

In ogni caso ed in subordine, il ricorrente rammenta che il giudice avrebbe dovuto applicare l’indulto del 2006.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Questa S.C. ha avuto più occasioni di occuparsi del cd. "falso innocuo" a proposito del quale ha precisato che esso ricorre quando "determina un alterazione irrilevante ai fini dell’interpretazione dell’atto, non modificandone il senso" (sez. 5^, 19.6.08, Rocca, rv.

241936) o, in altri termini, quando l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o l’alterazione (nel falso materiale) non esplicano effetti sulla funzione documentale dell’atto stesso di attestazione dei dati in esso indicati (Sez. 5^,. 21.4.10, Immordino, Rv. 248395).

Dal che è agevole desumere che l’innocuità non deve essere valutata con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto.

Detta conclusione è ancora più chiara riflettendo sul fatto che, nella esegesi delle disposizioni che puniscono i falsi, è stato sempre usato come criterio discretivo il fatto che la condotta incriminata abbia o meno messo in pericolo il bene della pubblica fede, con particolare riferimento al dovere del privato di attestare al pubblico ufficiale la verità in ordine a fatti rilevanti dal punto di vista giuridico destinati ad essere documentati a fini probatori nell’atto pubblico.

Conseguentemente, è stato ritenuto integrare il reato de quo la condotta di colui che, in sede di dichiarazione sostitutiva di atto notorio, attesti falsamente di non avere subito condanne penali, considerato che, in tal caso, la dichiarazione del privato viene equiparata ad un atto pubblico destinato a provare la verità dello specifico contenuto della dichiarazione, ivi compresa l’inesistenza di condanne in capo al dichiarante, perchè le false attestazioni al riguardo mettono in pericolo il valore probatorio dell’atto, escludendo, perciò stesso, l’innocuità del falso (sez. 5^, 16.4.09, Spagnoli, Rv. 243897). Per analoghe ragioni, la falsità della dichiarazione sostitutiva di notorietà allegata all’istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, per comprovare lo stato di non abbienza, è stata ritenuta integrare il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) (e non quello di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria di cui all’art. 374 bis c.p.), posto che, nella suddetta falsità, il legislatore non ha ravvisato un pericolo per il corretto svolgimento dell’attività giudiziaria vera e propria, (avendo il procedimento di cui alla L. 30 luglio 1990, n. 217 natura accessoria rispetto al processo) quanto, piuttosto, un "attentato alla fede pubblica documentale" (sez. 6^, 12.2.04, Azzazi, Rv. 229399).

Sintetizzando il senso del discorso fin qui svolto, si può pertanto affermare che il falso è un reato di pericolo e non rileva la finalità concreta per cui viene commesso.

Di conseguenza, nella specie, era del tutto privo di valore il fatto che la dichiarazione falsa non fosse risultata necessaria (essendo stato ritenuto che per i lavori edilizi posti in essere dall’imputato non occorreva alcuna autorizzazione ma solo una DIA.) perchè ciò che rilevava non era lo scopo dell’atto ma il contenuto dell’atto in sè.

La decisione impugnata, si rivela quindi corretta e ben motivata anche nella parte in cui evidenzia la indiscutibile obiettività della condotta ascritta visto che il teste P. ebbe a dichiarare di essere andato proprio su invito del T. a fare un controllo "il 20.1.2004 ed effettivamente stavano in corso i lavori… non c’era il pavimento per terra … e c’erano anche degli operai".

Il dato oggettivo è quindi che "in tale data, i lavori non erano completati; donde la sicura sussistenza dell’elemento materiale.

Anche sul piano soggettivo, la Corte bene evidenzia come, proprio seguendo l’impostazione difensiva, "quando il delitto è stato commesso ((OMISSIS)) in T. non poteva essere al corrente del fatto che (come ritenuto successivamente dal Tribunale) per effettuare l’opera edilizia non serviva il permesso di costruire ma solamente la DIA".

Pertanto, egli ha anche scientemente affermato, contrariamente al vero, che i lavori erano stati conclusi entro il 31.3.03.

Nessun vizio affligge, in conclusione, la decisione impugnata nè sotto il profilo delle norme applicate nè sul piano motivazionale (fermo restando che tale ultima censura viene formulata in modo improprio visto che non si contestano nè la logica nè la coerenza dell’argomentare ma solo le conclusioni perchè non conformi alle aspettative ma senza che la cosa dia luogo ad alcuno dei vizi contemplati dall’art. 606 c.p.p.).

Non è, infine, pertinente, nemmeno la doglianza circa la mancata applicazione dell’indulto perchè trattatasi di decisione di competenza del giudice dell’esecuzione.

Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *