Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-02-2012, n. 1845 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 12/10 – 30/11/06 la Corte d’Appello di Catanzaro – sezione lavoro respinse l’appello proposto dalla società Poste Italiane s.p.a avverso la sentenza emessa dal giudice del lavoro del Tribunale di Rossano, con la quale era stata dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato con F. T. in relazione al periodo 1/9 – 30/10/99 e pronunziata la sua condanna a riammettere in servizio la lavoratrice con corresponsione delle retribuzioni maturate dalla medesima a decorrere dal 18/12/03, e confermò la sentenza impugnata.

La Corte territoriale pervenne a tale decisione sulla scorta delle seguenti motivazioni: anzitutto, era infondata l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso sollevata dalla società con riferimento al lasso temporale decorso dalla data di cessazione del rapporto a quella di proposizione del ricorso giudiziario, dal momento che il solo decorso del tempo non poteva assurgere a fatto idoneo a far presumere la rinunzia della lavoratrice a far valere la nullità della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro; il termine apposto al contratto, stipulato per far fronte alle esigenze del servizio in concomitanza delle assenze per ferie nel periodo giugno-settembre, di cui all’art. 8 del ccnl 26.11.94, era illegittimo per la ragione che la contrattazione collettiva aveva previsto il limite temporale del 30/5/1998 per il ricorso a tale tipologia contrattuale, per cui una volta venuto a scadenza tale termine non poteva che trovare applicazione la legge n. 230/62 sui contratti a termine e non la L. n. 56 del 1987, art. 23, che prevedeva le ipotesi di deroga al principio generale della natura indeterminata del rapporto di lavoro; erroneamente la società aveva ritenuto applicabili, anche dopo il 30/5/98, la L. n. 56 del 1987 e le disposizioni derogatorie della contrattazione collettiva in vigore solo fino a tale data, per cui non aveva curato di indicare nel contratto "de quo" la specifica causa dell’assunzione a termine, nè il nominativo o i nominativi dei lavoratori sostituiti, con la conseguenza che era evidente la violazione della L. n. 230 del 1962, art. 1; infine, correttamente il primo giudice aveva ravvisato nella notifica dell’atto introduttivo del giudizio l’offerta della prestazione da parte della lavoratrice, costituente la prima chiara ed esplicita messa in mora.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la s.p.a. Poste Italiane che affida l’impugnazione a nove motivi di censura e deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Rimane solo intimata la lavoratrice F.T..

Motivi della decisione

1. Col primo motivo di censura la società Poste Italiane s.p.a. imputa al giudice d’appello la violazione e falsa applicazione delle norme codicistiche in materia di interpretazione del comportamento delle parti contraenti, degli effetti del contratto, dei vizi del consenso e degli oneri probatori, formulando, al riguardo, i seguenti quesiti di diritto: – Dica la Suprema Corte se: 1) in applicazione delle previsioni di cui all’art. 1372 c.c., comma 1, nonchè degli artt. 1175 e 1375 c.c., il comportamento inerte delle parti successivo alla scadenza del termine finale di durata apposto ad un contratto di lavoro ed il protrarsi della mancata reazione del lavoratore all’estromissione dell’azienda, avente durata e modalità tali da evidenziare il completo disinteresse al ripristino del rapporto di lavoro, debba considerarsi quale mutuo consenso in ordine alla cessazione di esso (nel caso di specie, la unicità del rapporto intercorso, la sua breve durata, nonchè il decorrere, dopo la sua cessazione e fino alla prima manifestazione della volontà di contestazione della sua legittimità, di un tempo superiore a quattro anni; 2) ove sia pacificamente cessata l’attuazione di un rapporto di lavoro ed il lavoratore ne chieda il ripristino, incomba sul datore di lavoro, a norma dell’art. 2697 c.c., l’onere di dimostrare l’avvenuta estinzione anche nel caso di prolungato disinteresse delle parti o se in tale ultima ipotesi debba presumersi l’estinzione per mutuo consenso incombendo sul lavoratore che agisce per l’accertamento della nullità del termine l’onere di provare le circostanze atte a contrastare la predetta presunzione; 3) il silenzio, in quanto tacita manifestazione di volontà, può soggiacere all’errore quale vizio del consenso ai sensi dell’art. 1427 c.c., e segg., e, pertanto, per valutare la "consapevolezza" dell’illegittimità del termine finale di durata apposto al contratto di lavoro, intesa quale condizione necessaria per attribuire significato abdicativo al silenzio del lavoratore in ordine all’attuazione del rapporto, occorre che il lavoratore fornisca anche la prova della riconoscibilità dell’errore da parte dell’altro contraente.

2. Col secondo motivo è, invece, dedotta l’omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5), vale a dire l’ulteriore circostanza rappresentata dall’instaurazione di un nuovo rapporto lavorativo dell’intimata con una diversa parte datoriale dopo la cessazione del rapporto in esame, circostanza, questa, che poteva valere a qualificare il contegno della lavoratrice in termini di consenso alla risoluzione di quest’ultimo.

I primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente in considerazione dell’unitarietà della questione ad essi sottesa, sono infondati.

Invero, la Corte d’appello si è espressamente pronunziata in merito all’eccezione di cui trattasi in termini logico-giuridici tali da fugare ogni sorta di dubbio sulla loro immunità dai rilievi mossi, osservando che alla luce delle allegazioni e delle prove offerte non erano rilevabili circostanze atte a manifestare un completo disinteresse della lavoratrice alla attuazione del rapporto in guisa tale da poterlo considerare risolto.

Il giudice d’appello ha, infatti, evidenziato che l’inerzia si era protratta per un periodo di tempo tale da non consentire di ritenere che ciò equivalesse alla volontà dell’appellata di rinunciare all’azione di nullità del termine ed al conseguente ripristino del rapporto di lavoro, dal momento che si era in presenza di una situazione di incertezza che coinvolgeva moltissimi lavoratori assunti a termine dalle Poste, con pronunce contrastanti dei giudici di merito; tra l’altro, nemmeno potevano trarsi elementi inequivocabili dal suo comportamento successivo alla cessazione del rapporto, atteso che la ricerca di un nuovo lavoro le era stata imposta dalla necessità di sopperire, comunque, ai bisogni della vita.

E’, inoltre, il caso di ricordare che l’indirizzo consolidato di questa stessa Sezione (Cass. sez. lav. n. 5887 dell’11/3/2011; Cass. sez. lav. n. 23057 del 15/11/2010; Cass. sez. lav. n. 26935 del 10/11/08; C. sez. lav. n. 17150 del 24/6/08; C. sez. lav. n. 20390 del 28/9/07; C. sez. lav. n. 23554 del 17/12/04; C. sez. lav. n. 17674 dell’11/12/02) è nel senso di ritenere che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto, affinchè possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, sicchè la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.

D’altra parte, come è noto, l’azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto al contrasto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l’assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con nome imperative ex art. 1418 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2. Essa, pertanto, ai sensi dell’art. 1422 c.c., è imprescrittibile, pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege per illegittimità del termine apposto. Ne consegue che il mero decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione di siffatta azione giudiziale non può, di per sè soio, costituire elemento idoneo ad esprimere in maniera inequivocabile la volontà della parti di risolvere il rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ovvero, in un ottica che svaluti il ruolo e la rilevanza della volontà delle parti intesa in senso psicologico, elemento obiettivo, socialmente e giuridicamente valutabile come risoluzione per tacito mutuo consenso (v. Cass., 15/12/97 n. 12665; Cass., 25/3/93 n. 824 e da ultimo Cass. sez. lav. n. 23057 del 15/11/2010).

Comunque, consentendo l’ordinamento di esercitare il diritto entro limiti di tempo predeterminati, o l’azione di nullità senza limiti, il tempo stesso non può contestualmente e contraddittoriamente produrre, da solo e di per sè, anche un effetto di contenuto opposto, cioè l’estinzione del diritto ovvero una presunzione in tal senso, atteso che una siffatta conclusione sostanzialmente finirebbe per vanificare il principio dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità e/o la disciplina della prescrizione, la cui maturazione verrebbe "contra legem" anticipata secondo contingenti e discrezionali apprezzamenti. Per tali ragioni appare necessario, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l’esercizio del diritto o dell’azione, che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare "una volontà chiara e certa della parti di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo" (v. anche Cass., 2/12/2000 n. 15403; Cass., 20/4/98 n. 4003).

E’, in ogni caso, onere delia parte che faccia valere in giudizio la risoluzione per mutuo consenso allegare prima e provare poi siffatte circostanze (v. Cass. sez. lav. n. 2279 dell’1/2/2010, n. 16303 del 12/7/2010, n. 15624 del 6/7/2007), non potendo ritenersi, quindi, sufficiente la sola allegazione delle stesse.

3. Col terzo motivo è denunziata la violazione e falsa applicazione di norme di cui agli artt. 414, 434, 112 c.p.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3) con riferimento al supposto vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorso il giudice d’appello nel ritenere sussistente una nullità estranea al "thema decidendum", vale a dire l’aver ravvisato quale ragione di nullità del termine la stipula del contratto in epoca successiva alla data del 30.5.98 fissata dalla contrattazione collettiva per il ricorso alle assunzioni a termine determinate dalle assenze per ferie del personale, nonostante che una tale causa di nullità non fosse stata dedotta dalla lavoratrice.

Il motivo è infondato.

Invero, il "thema decidendum" non risulta essere stato ampliato dal giudice d’appello, avendo avuto il giudizio ad oggetto l’accertamento della legittimità o meno dell’apposizione del termine al contratto di cui trattasi alla luce degli accordi collettivi richiamati dalle parti, per cui la circostanza per effetto della quale la Corte d’appello ha fornito una diversa interpretazione della valenza da attribuirsi alle scansioni temporali del 30 aprile e del 30 maggio 1998 contenute in quegli accordi, da leggere necessariamente nella loro globalità, interpretazione che le ha consentito di pervenire alla decisione di accoglimento della domanda, seppur in base ad argomentazioni giuridiche in parte differenti da quelle prospettate dalla lavoratrice, non rappresenta un vizio di ultrapetizione.

4. Oggetto del quarto motivo è la denunziata violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 8 del ccnl 26.11.94, dell’accordo integrativo del 25.9.97 e dell’accordo del 27.4.98, in connessione con l’art. 1362 c.c., e segg. ( art. 360 c.p.c., n. 3). Si evidenzia, in contrario avviso a quanto ritenuto dal giudice d’appello, che l’accordo del 27/4/98 non ha in alcun modo limitato fino al 30/5/98 la possibilità di stipula per i contratti, come quello oggetto di causa, volti a far fronte alle assenze per ferie del personale nel periodo giugno – settembre, essendo stato solo esteso al mese di maggio il diritto alla fruizione del periodo di ferie contrattualmente previsto dall’art. 14 del ccnl 26.11.94, per cui alcun limite temporale è dato ravvisare, nè nella legge, nè negli accordi collettivi, alla facoltà di assunzione per la suddetta finalità, ai sensi della previsione di cui all’art. 8 del ccnl 26/11/94. Secondo la ricorrente, la fondatezza del rilievo appena espresso è resa evidente dal fatto che il contratto "de quo" non fu stipulato per la causale delle "esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso…", alla quale il giudice d’appello ha ricondotto erroneamente il caso in esame nel momento in cui ha fatto riferimento al predetto limite temporale del 30/5/98, bensì in base alla diversa causale, prevista anch’essa dall’art. 8 del ccnl del 1994, della "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre", rispetto alla quale non opera, invece, il predetto limite temporale del 30 maggio 1998. 5. Strettamente correlata al precedente motivo di censura è la doglianza del quinto motivo attraverso il quale è lamentata la contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5) rappresentato dalla affermata esistenza di un limite temporale alla facoltà, per la società Poste Italiane s.p.a., di stipulare il contratto a termine riferito alla causale, di cui all’art. 8 del ccnl 26.11.94, delle assunzioni per "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenza per ferie nel periodo giugno – settembre".

Secondo la ricorrente la contraddizione in cui è incorsa la Corte di merito è rappresentata dal fatto che, da una parte, la stessa richiama, ai fini della verifica della fissazione del limite temporale di efficacia del 30/5/98, gli accordi del 25.9.97 e del 27.4.98, che sono relativi alla diversa ipotesi di apposizione del termine concernente le "esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione aziendale….", mentre, dall’altra, si afferma che il contratto di cui trattasi fu stipulato " per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nei periodo giugno – settembre", riconoscendosi, in tal modo, rispetto alla precedente ipotesi, una diversa fonte contrattuale ed una diversa causale (che è quella rispondente alla realtà dei fatti) posta a fondamento della stipulazione negoziale.

Osserva la Corte che il quarto ed il quinto motivo possono essere trattati congiuntamente in considerazione della identità della questione ad essi sottesa, vale a dire quella dell’applicabilità o meno alla tipologia di contratto in esame del termine finale di efficacia del 30/5/98 di cui alle citate disposizioni collettive.

Entrambi i motivi sono infondati.

Si osserva, infatti, che l’accordo del 25 settembre 1997, nell’aggiungere l’ipotesi delle esigenze eccezionali, ha confermato la volontà congiunta delle parti stipulanti di ritenere tuttora legittimamente operanti le altre ipotesi, tra cui quella dell’assenza per ferie, previste dall’art. 8 del ccnl, del 1994; tale volontà di ritenere vigente quest’ultima ipotesi a prescindere da limitazioni di carattere temporale ha trovato esplicita conferma nell’accordo 27 aprile 1998 che estende al mese di maggio, limitatamente all’anno 1998, il periodo di ferie di cui all’art. 8 del c.c.n.l. del 1994.

Infatti, l’estensione ai mese di maggio 1998 del periodo di ferie previsto dall’ari. 8 del c.c.n.l. del 1994 (inizialmente fissato al periodo giugno – settembre) dimostra l’implicito riconoscimento dell’operatività dell’ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie anche per i successivi mesi estivi del 1998 (e per i successivi periodi feriali), a prescindere da ulteriori accordi autorizzatori; deve osservarsi da ultimo che la suddetta interpretazione non si pone in contrasto con la sopra citata norma di cui all’art. 87 del c.c.n.l. del 1994, la quale fa salve le diverse decorrenze fissate per singoli istituti.

Il fatto che il limite del 30/4/98 era stato previsto esclusivamente per la diversa ipotesi, di cui all’art. 8 del citato ccnl, della stipula di contratti a termine per esigenze eccezionali legate al processo di trasformazione e ristrutturazione aziendale oltre che di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di trattativa, trova riscontro anche in una recente pronunzia di questa Corte, resa in un caso analogo riflettente l’ulteriore ipotesi, prevista dallo stesso accordo collettivo, dell’assunzione a termine in punte di più intensa attività stagionale.

Si è, infatti, accertato (Cass. sez. lav. n. 16302 del 12/7/2010) che "in tema di contratto a termine dei dipendenti postali l’assunzione per "punte di più intensa attività stagionale", rientra nell’originaria formulazione dell’art. 8 del c.c.n.l. del 1994 ed è una ipotesi di contratto a termine direttamente introdotta dalla contrattazione collettiva, che ha natura autonoma non solo rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie ai sensi della L. n. 230 del 1962, ma anche rispetto ai vincoli cui è sottoposta la fattispecie introdotta dall’accordo integrativo 25/9/1997 (le c.d. esigenze eccezionali).

Pertanto deve essere escluso per le "punte stagionali" il limite temporale del 30/4/1998 previsto per l’assunzione per esigenze eccezionali, in quanto l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo contempla, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione in periodo caratterizzato da intensa attività di servizio. Ne discende che il giudice di merito è tenuto unicamente a verificare se sussistano elementi di fatto tali da supportare l’esistenza delle "punte" richieste dal CCLN." 6. Col sesto motivo si denunzia il vizio di violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. b), dell’art. 8 del ccnl 26.11.94, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 c.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3).

Si ritiene, in pratica, che la sentenza impugnata si rivela illegittima nella parte in cui, dopo che si è reputata esaurita alla data del 30/4/98 l’efficacia temporale della previsione collettiva di cui all’art. 8 del ccnl 26.11.94, è stata dichiarata la nullità del contratto in esame sulla base della considerazione che l’unica norma ad esso applicabile era quella di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. b), pervenendosi alla conclusione erronea che la società non aveva curato di indicare nel suddetto contratto nè la specifica causa dell’assunzione a termine, nè il nominativo od i nominativi dei lavoratori sostituiti.

A conclusione del motivo sono formulati i seguenti quesiti di diritto: – Dica la Suprema Corte se: 1) un’ipotesi di legittima apposizione del termine individuata dalla contrattazione collettiva in forza della L. n. 56 del 1987, art. 23, è ipotesi del tutto autonoma e diversa da quella contemplata in via generale dalla legge e, pertanto, essa risulta sottratta alle condizioni di legittima apposizione del termine previste dalla disciplina legislativa; 2) l’ipotesi di legittima apposizione del termine prevista dall’art. 8 ccnl 26.11.94 (in forza della delega rilasciata dalla L. n. 56 del 1987 alle parti collettive) relativa alla "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre", in quanto ipotesi diversa ed ulteriore rispetto a quella prevista in via generale dalla L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. b), non richiede, quale requisito di legittimità del contratto, l’indicazione del nome del soggetto sostituito e del periodo della sostituzione.

7. Col settimo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del ccnl 26.11.94 e dell’art. 1362 c.c., comma 1 ( art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla decisione della Corte di merito di ritenere la nullità del termine apposto al contratto sulla scorta della considerazione che lo stesso aveva avuto esecuzione per un periodo (giugno – ottobre) ultroneo rispetto all’arco temporale (giugno -settembre) previsto dalla disposizione collettiva.

In sostanza ci si duole della interpretazione della fonte collettiva seguita dalla Corte territoriale, in quanto si assume che la stessa non è risultata essere rispettosa del criterio di ermeneutica incentrato, anzitutto, sul significato letterale delle espressioni adoperate dalle parti contraenti, posto che non potevano sorgete dubbi sul fatto che il periodo di riferimento giugno – settembre, di cui all’art. 8 del ccnl 26.11.94, era da intendere correttamente come periodo entro il quale era possibile accedere alla stipula delle assunzioni a termine per le esigente sostitutive del periodo feriale e non nel senso, inteso dal giudicante, di limite massimo entro il quale sarebbe stato possibile portare ad esecuzione il contratto.

8. Con l’ottavo motivo del ricorso la società Poste italiane s.p.a. denuncia la violazione ed erronea applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218 c.c., art. 1219 c.c., art. 1223 c.c., art. 2094 c.c., art. 2099 c.c., art. 2697 c.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3) e formula il seguente quesito di diritto: 1) Per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’art. 1206 cod. civ., e segg.;

9. Con l’ultimo motivo del ricorso la ricorrente segnala la contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ( art. 360 c.p.c., n. 5).

Sempre con riguardo ai profili economici conseguenti alla dichiarazione di illegittimità del termine, la sentenza impugnata sarebbe affetta, secondo la ricorrente, dal vizio della contraddittorietà della motivazione in merito al fatto controverso della messa in mora della società. Ciò in quanto, pur avendo la Corte d’appello affermato il principio della decorrenza del diritto al pagamento delle retribuzioni dalla messa in mora della datrice di lavoro, la corresponsione delle stesse è stata, però, disposta dalla data di notifica del ricorso di primo grado da ritenersi privo dell’offerta della prestazione lavorativa, come tale inidoneo alla costituzione in mora della parte datoriale.

Osserva la Corte che il sesto ed il settimo motivo possono essere trattati congiuntamente dal momento che le questioni poste attraverso gli stessi attengono alla interpretazione del contenuto e dell’ambito temporale in applicazione della particolare clausola delle assunzioni a termine per "esigenze del servizio in concomitanza delle assenze per ferie nel periodo giugno-settembre".

Entrambi i motivi sono fondati.

Invero, è pacifico che il termine al contratto di lavoro de quo è stato apposto con riferimento all’ipotesi di assunzione a tempo determinato prevista dall’art. 8 c.c.n.l.; 26.11.1994: "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre". Il contratto collettivo ha previsto quest’ipotesi di assunzione a termine ai sensi del disposto della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 (norme sull’organizzazione del mercato del lavoro), il cui primo comma sancisce testualmente:

"L’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro, oltre che nelle ipotesi di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, e successive modificazioni ed integrazioni, nonchè al D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 marzo 1983, n. 79, è consentita nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. I contratti collettivi stabiliscono il numero in percentuale dei lavoratori che possono essere assunti con contratto di lavoro a termine rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato".

Deve premettersi che le Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Cass. SU. 2 marzo 2006 n. 4588) hanno affermato che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertm con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria "delega in bianco" a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge.

Intervenendo in fattispecie analoghe (assunzione a termine dei lavoratori subordinati ai sensi dell’art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994) questa Suprema Corte (cfr., ad esempio, Cass. 10 gennaio 2006 n. 167), in applicazione del principio suddetto, ha cassato con rinvio la decisione di merito incorsa in violazione di norme di diritto nel negare che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie. Inoltre, decidendo la causa in base aia "regula iuris" dell’onere del datore di lavoro di provare la legittima apposizione dal termine, il giudice di merito aveva del tutto omesso l’indagine sull’intenzione espressa dagli stipulanti, ritenendo che dovesse essere comprovata la funzione sostitutiva del contratto e la carenza di personale ed escludendo che l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo potesse contemplare, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti finiscono delle ferie. Ha precisato la S.C. nella sentenza da ultimo citata che il quadro legislativo di riferimento avrebbe imposto l’esame del significato delle espressioni usate dalle parti stipulanti, ed in particolare un’indagine sulle ragioni dell’uso di una formula diversa da quella della legge, priva di riferimenti alla sostituzione di dipendenti assenti, sostituiti dalla precisazione del periodo per il quale l’autorizzazione è concessa (pur potendo le ferie essere fruite in periodi diversi), onde verificare se la necessità di espletamento del servizio facesse riferimento a circostanze oggettive, o esprimesse solo le ragioni che avevano indotto a prevedere questa ipotesi di assunzione a termine, nell’intento di considerarla sempre sussistente nel periodo stabilito, in correlazione dell’uso dell’espressione "in concomitanza".

Parallelamente altre decisioni (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678;, in applicazione dei medesimi principi, hanno confermato la decisione di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, aveva ritenuto l’ipotesi di contrailo a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

L’orientamento fin qui illustrato è stato a suo tempo precisato da questa Corte con la sentenza n. 4933 del 2/3/2007 ed è stato, poi, ribadito (Cass. Sez. Lav. n. 18293 del 30/8/2007) statuendosi che "in materia di assunzione a termine dei lavoratori subordinati, la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, consente alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, senza che sussista alcun vincolo che imponga l’individuazione di figure di contratto omologhe a quelle previste dalla legge; non può pertanto ritenersi che l’ipotesi, contenuta nella contrattazione collettiva della sostituzione di un lavoratore assente per ferie mediante assunzione a tempo determinato debba rispettare la prescrizione di indicare il nome del lavoratore sostituito, in analogia a quanto prescritto dalla L. n. 230 dal 1962, art. 1, lett. B, per il caso di sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto (nella fattispecie, con riferimento a controversia avente ad oggetto la richiesta di declaratoria di nullità di un contratto a termine, stipulato dalla Soc. Poste Italiane spa per la sostituzione di dipendenti assenti per ferie, ai sensi del C.C.N.L. 26 novembre 1997, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato invalido il contratto a termine perchè non dimostrava la necessari correlazione fra le esigenze dedotte e l’assunzione a termine di un determinato soggetto)".

Nella fattispecie la Corte di merito, nell’affermare che trovava applicazione la L n. 230 del 1962, art. 1, lett. b), che prevede l’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito, si è discostata dai suddetti principi ed è incorsa in violazione di norme di diritto e nel vizio di interpretazione dea normativa collettiva. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altro giudice, identificato in dispositivo, il quale uniformandosi ai orinaci di diritto enunciati, procederà all’interpretazione della norma collettiva al fine di stabilire quali circostanze di fatto avrebbero dovuto essere provate dal datore il lavoro al fine di dimostrare la legittimità del termine apposto al contratto. Resta, pertanto, assorbita la disamina delle questioni economiche prospettate con gli ultimi due motivi.

Il giudice di rinvio è anche incaricato della regolazione delle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi, accoglie il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo, dichiara assorbiti l’ottavo ed il nono motivo. Cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Reggio Calabria.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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