Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-07-2011) 27-09-2011, n. 34899 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Con la sentenza qui impugnata, la Corte d’appello, previa esclusione dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis, ha ridotto ad anni 6 e mesi 6 di reclusione la pena inflitta all’odierno ricorrente accusato di avere violato gli artt. 605, 609 bis e 282, 585 c.p. per avere – secondo l’accusa -ripetutamente percosso e ferito anche con un coltello una donna, sua amica, costringendola a subire diversi rapporti sessuali e, quindi, segregandola nell’appartamento ove si trovavano da dove la ragazza era riuscita a fuggire approfittando di un momento di distrazione dell’uomo.

Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso deducendo:

1) violazione di legge penale per non avere la Corte dato corretta applicazione all’art. 512 c.p.p.. A tal fine, si fa osservare, innanzitutto, che, nella specie, avrebbe dovuto darsi applicazione all’art. 512 bis c.p.p. e, comunque, si fa notare che la asserita irreperibilità della p.o. – che ha legittimato secondo i giudici la lettura delle sue dichiarazioni – sopraggiunge ad una errata ricerca della stessa che, sin dall’inizio, era stata indicata come cittadina in possesso di un regolare passaporto e permesso di residenza delle autorità spagnole e che aveva dichiarato di vivere e lavorare in Spagna, a Barcellona, come cameriera in un hotel.

Ciò nonostante, le ricerche nei suoi confronti erano state svolte – con esito negativo – solo nel domicilio che aveva avuto in Italia (dove, anche in base alla sua denuncia, era arrivata da poco prima dei fatti criminosi in contestazione) e tramite il DAP;

2) vizio di motivazione in quanto la Corte ha motivato lacunosamente in ordine alla responsabilità penale dell’imputato che, invece, ha spiegato la spinta emozionale che lo ha indotto alle condotte tenute per via della gelosia della p.o. che non sopportava la relazione a distanza con l’imputato e la sua gelosia per le frequentazioni che l’uomo aveva con altre persone. Erra la Corte nell’escludere la relazione stabile dedotta e nel credere alla ragazza che aveva parlato di un rapporto occasionale perchè ciò è smentito sia dalle diverse parole dell’imputato che dai versamenti di denaro che la ragazza aveva fatto all’imputato mentre si trovava in carcere (sebbene questi fosse già sostenuto dalla propria famiglia). La p.o., inoltre, sarebbe risultata contraddittoria nell’affermare, da un lato, di avere percepito il carattere irascibile dell’uomo sin dal primo incontro (tanto da andare via con un taxi) e, dall’altro, nonostante ciò, avere accettato un ulteriore incontro con lui. Altri punti di inverosimiglianza nel racconto della donna vengono segnalati dal difensore nel fatto che ella ebbe a lasciare l’abitazione dell’uomo dopo essersi fatta tranquillamente una doccia (malgrado la ferocia delle violenze descritta) e con il rischio di svegliare il proprio aguzzino che asseritamente l’aveva sequestrata in casa.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

2.1. (quanto al primo motivo). Pur non potendo disconoscerla, l’imprecisione segnalata dal ricorrente, di avere la Corte evocato l’art. 512 invece dell’art. 512 bis c.p.p. (sicuramente più pertinente, trattandosi di lettura di dichiarazioni di persona residente all’estero), risulta irrilevante.

Ed infatti, la impossibilità di assumere la testimonianza della donna è comunque un dato obiettivo indiscutibile.. Essa, infatti, è sopraggiunta imprevedibilmente e non sarebbe stato in alcun modo possibile effettuare ulteriori fattive ricerche. Il punto è stato bene affrontato dai giudici di secondo grado che hanno, in primo luogo, ricordato come la p.o. fosse "soggetto identificato a mezzo di passaporto e permesso di residenza in Spagna" e che ella, pur dichiarando di vivere in Spagna, aveva fornito un valido recapito presso un’amica in Italia (che ha confermato la circostanza precisando, anzi, precisato che l’amica aveva intenzione di trasferirsi presso di lei) e dove, quindi, i CC. avrebbero potuto rinvenirla.

Corretta è, quindi la conclusione della Corte secondo cui "nessuna irreperibilità della p.o. offesa era ipotizzabile all’epoca della denuncia" (f. e). Del resto, anche la sopraggiunta irreperibilità era recente visto che, come accertato in sede di ricerche della p.o.

– a distanza di quasi due anni dai fatti e dalla querela – sia il portiere dello stabile che l’amica, presso cui ella avrebbe dovuto abitare, hanno dichiarato che non vedevano l’odierna querelante solo da circa due mesi.

Peraltro, non si intravvedeva ragionevolmente neppure la possibilità di proficue ricerche dal momento che, in Spagna, "nessuno era a conoscenza di un domicilio della donna, marocchina, di cui solo si sapeva che aveva vissuto a Barcellona all’inarca 2 anni prima".

Pertinente è, poi, la sottolineatura del fatto che "neppure l’imputato, che afferma di avere avuto con la stessa da tempo una relazione, ha saputo indicare eventuali luoghi ove reperirla" (f. 7).

Stante l’assoluta impossibilità di reperimento della donna, correttamente, perciò, è stata data lettura delle sue dichiarazioni.

2.2. (quanto al secondo motivo). Venendo al merito della vicenda ed alla asserita inattendibilità della querelante, giova evidenziare come le stesse doglianze del ricorrente risultino viziate dall’equivoco di fondo di ritenere che questa S.C. possa procedere ad una rivisitazione delle emergenze probatorie per inferirne conclusioni diverse, sia pure astrattamente possibili.

Il vero è che il controllo di legittimità è diretto solo a verificare la sussistenza o meno di una motivazione effettiva, che non sia manifestamente illogica ma – anzi – sia internamente coerente anche a seguito delle deduzioni del ricorrente.

Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale che non può mai risolversi in una "pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione" ovvero in una "autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa" (sez. 1, 27.9.07, Formis, Rv. 237863). Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

Orbene, nello specifico, si constata che i giudici di secondo grado hanno, innanzitutto, richiamato l’attenzione sul fatto che le affermazioni della querelante sono state variamente riscontrate. In primo luogo – dando prova di avere valutato le emergenze anche nell’ottica difensiva – si sottolinea che "presso la (OMISSIS), oltre ad un profondo stato di sofferenza psichica (manifestatosi anche con sentimenti di paura e di pianto), sono state alla p.o., riscontrate numerosissime lesioni (v. atti allegati e descrizione in sentenza p. 12), compatibili con le percosse e sevizie da lei raccontate e, almeno in parte, incompatibili con atti di autolesionismo (secondo la tesi A.)".

Vengono, quindi, portati all’attenzione i riscontri "derivanti dai rilievi compiuti dalla Polizia scientifica a casa dell’ A., piena di tracce della violenta vicenda di cui è stato teatro. Ivi erano la lametta ed il pugnale descritto ed ovunque vi erano tracce ematiche, anche riferìbili alla p.o". Opportuna la sottolineatura del fatto che "la visione delle foto scattate dalla Polizia ben testimonia ed evidenzia una violenta vicenda" le cui tracce non hanno potuto essere cancellate per via di un tempestivo intervento delle Forze dell’Ordine.

E’, poi, ricordata la testimonianza delle amiche della vittima (sia quella che la ospitava che altra casualmente presente) che se la sono vista arrivare a casa, coperta di sangue e ferite, tanto da svenire quasi subito dopo.

Non è, infine, irragionevole, bensì coerente con l’argomentare svolto, il fatto di sottolineare la complessiva coerenza del comportamento della vittima che, appena scappata, si è rivolta ad un carabiniere incontrato del tutto casualmente al quale ha raccontato i fatti e con il quale si è recata sia in caserma che al Pronto Soccorso (ove è stato accertato, quindi, uno stato – fisico ed emotivo – molto prossimo ai fatti).

A fronte di tali molteplici elementi concatenati tra loro anche sul piano logico, risulta, quindi, fuor di luogo (per la sede) e, comunque, inutile sostanzialmente, cercare di valutare aspetti marginali e non decisivi. Tale è il caso, ad esempio, del fatto che la vittima si sia fatta una doccia prima di lasciare la casa del proprio aguzzino (senza tralasciare di considerare che, al riguardo, il commento e la "lettura" dei giudici è del tutto convincente e ragionevole: "sentendosi sporca e bisognosa di togliersi al più possibile le tracce di violenza e di sangue e di eliminare l’oppressione sul suo corpo, perla violenza subita, e provando vergogna per quanto successo" (f. 10)).

Nè può avere alcuna incidenza l’insistenza difensiva nel sostenere una relazione con la vittima posto che, a tutto concedere, essa potrebbe valere come movente di fatti che, in ogni caso, restano nella loro obiettività. Anche sul punto, poi, i giudici di merito si sono diffusi analizzando la tesi dell’imputato ma sottolineando come essa non abbia trovato riscontro alcuno.

La inappuntabilità della decisione impugnata è ulteriormente confermata dalla cura con cui i giudici di secondo grado analizzano tutte le tesi difensive evidenziando la marginalità e, comunque, superabilità di asserite contraddizioni della vittima. Tale è il fatto che ella si fosse indotta ad uscire nuovamente con l’imputato pur avendone avuto una brutta impressione in occasione del primo incontro. In punto di fatto – senza venire smentito dal ricorrente – si rileva, però, che "i due si conoscevano da molti anni e non era ipotizzabile la grave condotta poi posta in essere dall’imputato".

Analogamente logica è la spiegazione che la Corte offre per spiegare l’episodio – riferito dalla vittima – del mancato intervento di terzi in suo soccorso in occasione del litigio da Mc Donald’s (f. 9) A ben vedere, quindi, le argomentazioni che il ricorrente sviluppa in questo secondo motivo sono già state oggetto di disamina da parte della Corte d’appello che vi ha replicato in modo ampio, logico, coerente e congruo rendendole perciò superflue e ripetitive.

Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p..

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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