Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-07-2011) 27-09-2011, n. 34894 Attenuanti comuni generiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Che con sentenza del 7 gennaio 2010 la Corte di appello di L’Aquila in parziale riforma della sentenza del 28 novembre 2008 del Tribunale di Teramo, pronunciata all’esito di rito abbreviato, che ha condannato L.G., per il reato di cui agli artt. 110, 624 e 625, nn. 2 e 5, art. 61 c.p., n. 5, commesso in concorso con L. G. ed altri, in (OMISSIS), ha rideterminato la pena per il ricorrente, eliminando l’aumento per la recidiva specifica infraquinquennale;

che l’imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza per violazione degli artt. 62 bis, 133 e 163 c.p., in relazione agli art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in quanto la Corte di appello, pur avendo preso atto dell’incertezza relativa alla riferibilità al ricorrente L.G. del certificato penale con il precedente di ricettazione intestato a G.L., ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena, circostanze riconosciute invece ad altro imputato giudicato da diverso giudice; nè la sentenza avrebbe motivato sull’ingiustificato diniego del pubblico ministero alla richiesta di patteggiamento e circa le diverse vantazioni espresse in relazione agli altri coimputati e neppure sulla determinazione eccessiva della pena;

Considerato che il ricorso è infondato in quanto la Corte di appello ha effettuato la rideterminazione della pena in virtù della mancata contestazione della recidiva, che ha pertanto disapplicato, ma ha espressamente precisato che i dubbi sulle precedenti condanne del L.G., che avevano indotto il pubblico ministero a non effettuare la contestazione dell’art. 99 c.p., erano stati nelle more chiariti e giustificavano il diniego delle circostanze attenuanti generiche, a ragione delle modalità dei fatti quale specificamente riassunti nella parte motiva della sentenza impugnata e della riferibilità del certificato penale recante i precedenti al ricorrente;

che la giurisprudenza di legittimità ha stabilito il principio che "il dovere di motivazione sulla ricorrenza delle condizioni per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è adempiuto dal giudice ove, con una pur sintetica espressione del tipo "al fine di meglio adeguare la pena ai fatto", dia dimostrazione di avere valutato la gravità del fatto, che è uno degli indici normativi per la determinazione del trattamento sanzionatorio" (in tal senso, Sez. 3, n. 11963 del 16/12/2010 Pg in proc. Picaku, Rv. 249754) e comunque "la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo" (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Strafece, Rv. 248737), non essendo necessario valutare analiticamente tutte le circostanze rilevanti, in positivo o in negativo (cfr. Sez.. 1, n. 12496 del 21/9/1999, Guglielmi e altri, Rv. 214570), nè porre in comparazione le altre posizioni eventualmente esaminate nello stesso giudizio ed ancor meno, le valutazioni sulle posizioni dei compartecipi dello stesso reato che siano state effettuate in separati giudizi;

che risulta manifestamente infondata la doglianza relativa alla mancata motivazione (nella decisione impugnata ed in quella di primo grado) circa il diniego al patteggiamento espresso dal pubblico ministero, in quanto la successiva richiesta di giudizio abbreviato, avanzata dall’imputato ed accolta dal giudice, ha implicato rinuncia al rito dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, dovendo escludersi la convertibilità dell’uno nell’altro (ex multiis, Sez. 3, n. 32234 dell’11/7/2007, Lupo, Rv. 237023 e SSUU, n. 12752 del 11/11/1994, P.M. in proc. Abaz, Rv. 199397);

che, di conseguenza, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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