Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-07-2011) 27-09-2011, n. 34892 Attenuanti comuni riparazione del danno e ravvedimento attivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Venezia, con sentenza del 23 aprile 2010, in parziale riforma della la sentenza, emessa all’esito di rito abbreviato, del G.U.P. presso il Tribunale di Treviso del 24 marzo 2009, che ha rideterminato la pena in anni due e mesi quattro di reclusione e 40.000,00 Euro di multa nei confronti di V. F., condannato per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, del per aver detenuto a fini di spaccio un quantitativo di 204 pastiglie di sostanza stupefacente di tipo ecstasy (principio attivo pari a gr. 2,917), fatto commesso a (OMISSIS).

2. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, in quanto la Corte di appello avrebbe negato il riconoscimento della circostanza attenuante di cui al comma 7 sulla base del fatto che l’attività collaborativi fornita dal V. avesse riguardato un’indagine diversa dalla presente attinente un commercio di marijuana, e quindi egli non aveva contribuito ad evitare che l’attività delittuosa fosse portata a conseguenze ulteriori, nè dalla collaborazione era risultata la sottrazione di risorse rilevanti alla commissione dei delitti, in quanto era soltanto stata sequestrata la droga. Tale iter argomentativi sarebbe errato ed illogico. Errato, in quanto la modifica della disciplina degli stupefacenti ha equiparato il disvalore delle sostanze cannabinoidi a quelle per le quali il ricorrente è stato condannato;

secondariamente, la giurisprudenza di legittimità ha fornito una diversa, e più estesa, nozione del termine "risorsa" impiegato nella disposizione (Sentenza sez. 6, n. 34402 del 2007). Come già il ricorrente aveva evidenziato in appello, era stata sequestrata un’ingente somma di denaro, ma su questo punto la sentenza ha omesso una seria argomentazione, limitandosi a riferire di "un’unica annotazione agli atti". Anche la rilevanza del ravvedimento operoso non sarebbe stata considerata dai giudici di merito, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata, già sviluppata dalla giurisprudenza (sez. 6, n. 673 del 2005). La motivazione risulterebbe inoltre mancante quanto alla considerazione che l’imputato non avrebbe fornito tutto il suo patrimonio di conoscenze.

Inoltre l’attenuante speciale avrebbe potuto essere concessa in relazione all’attività collaborativa concretamente estrinsecatasi nell’assicurazione di prove di reato ignote agli inquirenti, e perciò idonee ad evitare ulteriore attività delittuosa.

In prossimità dell’udienza il difensore ha presentato memoria illustrativa a corredo dei motivi, evidenziando come l’aiuto concreto alle Forze dell’ordine rappresenti una delle possibili autonome forme con le quali si può esplicare l’attività di cui al D.P.R. 309 del 1990, art. 73, comma 7.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato. La Corte di appello ha escluso la concessione della circostanza attenuante speciale a seguito di un’interpretazione non corretta del dettato normativo di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo sottolineato che tale attenuante deve essere riconosciuta quando la collaborazione prestata sia stata effettiva ed idonea a far conseguire un utile risultato, realizzato quale effetto del contributo offerto dell’imputato, senza che sia richiesto necessariamente che tale risultato consista nella sottrazione al mercato di rilevanti risorse per la commissione dei delitti, ciò che spesso non potrebbe in concreto verificarsi nei traffici di media dimensione. In tali casi l’attenuante può essere concessa a quell’imputato il quale abbia reso dichiarazioni, fornendo l’intero patrimonio conoscitivo ed abbia collaborato per evitare che l’attività delittuosa (ossia il traffico di sostanze stupefacenti da intendersi in senso ampio, ossia a prescindere dal tipo di sostanza e dalle condotte: produzione, detenzione, commercio, coltivazione) venga portata a conseguenze ulteriori, contribuendo in tal modo ad impedire l’ulteriore diffusione della droga, e ciò abbia fatto o tramite l’individuazione di responsabili (correi, ma anche corrieri, fornitori …) dell’illecito traffico da lui conosciuti o sui quali è in grado di fornire elementi utili alla identificazione, a prescindere dallo connessione con il procedimento penale nell’ambito del quale la collaborazione venga prestata, ovvero indicando il luogo ove la sostanza stupefacente sia custodita o chiarendo l’attività dello spaccio, sotto il profilo delle modalità di ricezione, trasporto e cessione a terzi delle sostanze stupefacenti. In pratica – come affermato, con felice sintesi della consolidata giurisprudenza, dalla sentenza della Sez. 4, n. 5813 dell’1/12/2000, Berenato, Rv. 218689 – è necessario che Taciuto prestato dall’imputato abbia influenzato in modo decisivo le indagini della Polizia Giudiziaria orientandola verso quadri probatori in precedenza non oggetto di investigazioni". La circostanza attenuante, invece, non può essere riconosciuta se l’imputato si sia limitato ad ammettere le proprie responsabilità o ad assumere "comportamenti non conducenti all’interruzione del circuito di distribuzione degli stupefacenti, (almeno in ordine al "filone" delinquenziale scoperto)", ossia abbia fornito un contributo limitato a solo rafforzamento del quadro probatorio esistente o al raggiungimento anticipato di risultati che si sarebbero comunque ottenuti, essendo l’indagine già in corso in tale direzione. Tale indirizzo giurisprudenziale è stato ribadito anche recentemente da Sez. 6, n. 19082 del 16/3/2010, Khezami, Rv. 247082, che ha ritenuto che tale interpretazione sia quella corretta, in quanto costituzionalmente obbligata, perchè la tesi contraria "condurrebbe, con offesa del principio di uguaglianza, a riconoscere l’attenuante soltanto a chi si è macchiato del crimine più grave, mentre, anche in nome del principio di personalizzazione della responsabilità penale, va valorizzata la collaborazione fattiva di colui che, per la sua posizione di marginalità, è in grado di offrire un limitato contributo collaborativo" (Sez. 6, n. 2751 dell’1/2/1996, P.G. in proc. Bragagna, Rv. 204108).

Quindi la lettura che i giudici di merito hanno dato del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, là dove hanno escluso l’applicabilità dell’attenuante al V. ritenendo mancante l’elemento dell’aiuto nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti, non risulta corretta. La sentenza, infatti, sembra far coincidere le "risorse" unicamente con lo "stupefacente", mentre tale nozione deve essere intesa estensivamente ed in senso globale, ma comprende non solo lo stupefacente o il denaro destinato all’acquisto, ma anche le "risorse umane", e qualsiasi altra rivelazione in grado di incrinare, e porre quindi "in difficoltà", il sistema di spaccio della droga, a prescindere dal fatto che il contributo fornito dal ricorrente abbia riguardato la marijuana e non il commercio di pasticche di ecstasy, del quale è stato imputato.

Inoltre i giudici di appello nulla hanno argomentato circa il fatto che il fatto addebitato fosse da inquadrarsi in un contesto di spaccio di droga di modeste dimensioni.

Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Venezia, limitatamente al punto dell’applicabilità dell’attenuante prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 7, la quale dovrà riesaminare la questione alla luce di detti principi e delle concrete emergenze che hanno caratterizzato la vicenda.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Venezia, limitatamente al punto dell’applicabilità dell’attenuante prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 7.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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