Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. – Con ordinanza dell’8 febbraio 2011, il GIP del Tribunale di Pescara non ha convalidato l’arresto in quasi-flagranza di Z. C., disponendo, a carico dello stesso, la misura cautelare degli arresti domiciliari, in relazione al reato di violenza sessuale.
A fondamento della mancata convalida, il giudice ha ritenuto l’insussistenza dello stato di quasi-flagranza, rilevando che nel caso di specie la denuncia ai carabinieri è provenuta dalla madre della vittima alle ore 19,30, per un fatto presumibilmente avvenuto intorno alle 19,15 in un parco pubblico e il presunto colpevole è stato arrestato – previa assunzione di informazioni da diversi soggetti – alle ore 20,45, dopo che si era dato alla fuga senza essere inseguito.
2. – Avverso tale provvedimento, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pescara ha proposto ricorso per cassazione, denunciando l’erroneità della motivazione, sul rilievo che i carabinieri si erano posti immediatamente dopo la denuncia alla ricerca dell’indagato e lo avevano arrestato con indosso gli abiti descritti dalla persona offesa, che costituirebbero cose o tracce pertinenti al reato e comproverebbero la sua identità.
Motivi della decisione
3. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Deve preliminarmente richiamarsi l’orientamento di questa Corte, secondo cui lo stato di quasi-flagranza non sussiste qualora la polizia giudiziaria abbia appreso il fatto non direttamente, ma dalla denuncia della persona offesa e abbia solo successivamente proceduto all’inseguimento del colpevole, dopo la consumazione dell’ultima frazione della condotta delittuosa e dopo un lasso di tempo significativo, utilizzato per raccogliere informazioni dalla stessa persona offesa e da altri soggetti (ex plurimis, Sez. 5^, 31 marzo 2010, n. 19078; Sez. 6^, 20 aprile 2010, n. 20539).
Tale orientamento trova applicazione nel caso di specie, in cui manca una stretta contiguità fra la commissione del fatto e l’arresto, in quanto risulta che l’inseguimento del colpevole è stato iniziato solo dopo l’acquisizione di informazioni da diversi soggetti. A ciò deve aggiungersi che la circostanza – evidenziata dal ricorrente – che l’indagato indossasse al momento dell’arresto gli abiti indicati dalla persona offesa non vale in ogni caso a integrare la fattispecie astratta prevista dall’art. 382 c.p.p., perchè gli abiti indossati non costituiscono cose o tracce del reato, facendo semplicemente parte della complessiva fisionomia del reo rilevata dalla vittima e non essendo strettamente funzionali o comunque collegati alla commissione del fatto.
4. – Ne consegue il rigetto del ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del pubblico ministero.
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