Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 17-06-2011) 27-09-2011, n. 34852 Notificazione Nullità e sanatoria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza in data 31.05.2010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno – sezione di San Benedetto del Tronto -, emessa il 16.07.2003, appellata dal Procuratore della Repubblica e da D.S., ha dichiarato quest’ultimo colpevole anche del reato di cui al capo b), applicata l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e, ritenuta l’ipotesi di cui al citato D.P.R. art. 73, comma 1 per il capo a), per il quale era stato condannato con il riconoscimento dell’attenuante speciale, ha rideterminato la pena, con le già concesse attenuanti generiche, in anni 4 di reclusione ed Euro 23.000,00 di multa; ha dichiarato colpevole del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p. D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (capo c), da cui era stato assolto, G.G. e lo ha condannato alla pena di anni sei e mesi 1 di reclusione ed Euro 30.000,00 di multa;

ha dichiarato S.E. e P.G. colpevoli del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, da cui erano stati assolti, e, ha condannato la prima alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, ed il secondo, concesse a lui solo le attenuanti generiche, alla pena di anni 1 di reclusione ed Euro 1000,00 di multa.

Propongono ricorso per cassazione tutti i menzionati imputati.

Il D.S. denuncia, con un primo motivo, vizio di motivazione in ordine al reato ascritto al capo a). Si argomenta che la Corte d’Appello, a fronte delle ampie deduzioni difensive, si è limitata ad imputare al ricorrente l’ipotesi di cui al comma 1 del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 solamente avendo riguardo "al quantitativo elevato di gr. 52 di eroina che l’imputato deteneva in concorso con il D.A." mentre null’altro viene detto sul punto.

Inoltre, premesso che non è certa la prova della colpevolezza del D., in quanto gli involucri contenenti il quantitativo di stupefacente, caduto in sequestro, vennero rinvenuti – all’interno dell’autovettura, in cui si trovavano il ricorrente ed il coimputato D.A., ma collocati dalla parte di quest’ultimo che era alla guida dell’auto e pertanto di sua esclusiva pertinenza, si eccepisce che, quand’anche si voglia considerare la responsabilità del D., il quantitativo andrebbe suddiviso in due per cui la parte di pertinenza del ricorrente rientrerebbe sicuramente nei parametri quantitativi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Ed ancora, se si aggiunge che il D. notoriamente è un consumatore di sostanze stupefacenti, tale quantitativo risulta compatibile con l’uso personale. Ancora, la Corte territoriale motiva il coinvolgimento del D. nell’attività di spaccio in quanto è rimasto provato che il D.A. ha cercato di contattarlo per essere messo in collegamento con altro fornitore di droga, tale Sa.Ni., ma la conoscenza da parte del ricorrente di "altro fornitore" non implica il suo coinvolgimento nell’attività di spaccio in quanto è attribuibile alla sua qualità di tossicodipendente.

Con un secondo motivo si denuncia altro vizio di motivazione in relazione all’imputazione di cui al capo b), da cui il D. era stato assolto in primo grado con l’ampia formula perchè il fatto non sussiste. Il capo di imputazione ascritto al ricorrente e consistente nella gestione di traffico di stupefacenti mal si concilia con la riconosciuta attenuante di cui all’art. 62 bis c.p. "tenendo conto della modesta frequenza dei contatti intercorsi tra il D. ed il D.A.".

G.G. denuncia violazione di legge per mancata citazione dell’imputato in sede di appello. Si premette che il ricorrente durante il giudizio di primo grado era detenuto per altra causa e le notificazioni per il processo de quo correttamente gli vennero fatte presso il luogo di detenzione, ma il decreto di citazione innanzi alla Corte d’Appello, emesso il 2.10.2010, quando cioè il G. era tornato libero/doveva essergli notificato a lui personalmente e non al difensore ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, trattandosi della prima notifica eseguita dopo la detenzione e non di notificazioni successive, e, comunque, l’indirizzo del prevenuto;

indicato nel decreto di citazione in grado di appellerà errato per cui si eccepisce anche la violazione dell’art. 552 c.p.p., lett. a).

Si rappresenta che il difensore, una volta ricevuta la notifica del D.C. per l’imputato, ai sensi del richiamato art. 157 c.p.p., comma 8 bis, inviò all’assistito A.R. tornata al mittente con la dicitura trasferito, di ciò ne venne notiziata la Corte d’Appello che non la ha esaminata. Con un secondo e terzo motivo si denuncia vizio di motivazione per l’errata valutazione delle risultanze probatorie con riferimento alle dichiarazioni rese da D.A.C., in ordine alle quali in primo grado vi era stata una esplicita e documentata valutazione di inattendibilità. Costui aveva ammesso che in precedenza in collaborazione con un certo finanziere M. aveva addirittura compiuto operazioni illecite per incastrare delle persone innocenti, ed in riferimento alla posizione del G., è stato generico, lacunoso e contraddittorio. La sentenza impugnata, nel ritenere credibili le affermazioni del D.A., non ha indicato in maniera chiara, esauriente e ragionevole quali fossero le ragioni poste a base della sua credibilità, procedendo ad un controllo soggettivo ed oggettivo.

S.E. denuncia violazione di legge, nella specie dell’art. 192 c.p.p., comma 3, e vizio di motivazione con riferimento alle propalazioni del D.A.C. che non sono state confermate da alcun elemento di prova, tant’è che la sentenza non riferisce, soprattutto a carico della ricorrente, alcun fatto specifico da cui possa farsi riferimento ad episodi di spaccio, ma richiama genericamente una serie di riscontri alle dichiarazioni del D. A. "su dati formali come nomi e cognomi degli interlocutori corrispondenti agli imputati". Tali elementi attestano esclusivamente il notorio rapporto di conoscenza tra persone dedite al consumo di sostanze stupefacenti ma non episodi di spaccio. Le intercettazioni non confermano poi in alcun modo che la S. abbia acquistato per fini di spaccio. La Corte di Ancona non ha proceduto alla verifica della credibilità del dichiarante in relazione ala personalità ed ai motivi che l’hanno indotto, questa volta come numerose altre volte, a fare chiamate in correità.

P.G. denuncia a sua volta, violazione di legge e vizio di motivazione. Si argomenta che i giudici dell’appello, aditi a seguito di gravame del Procuratore della Repubblica, hanno fondato l’affermazione della penale responsabilità del ricorrente sulla sola scorta delle dichiarazioni rese dal coimputato D.A.C. e di alcune intercettazioni dalle quali non emerge il coinvolgimento del P. in attività di spaccio, ma, semmai, il solo suo stato di tossicodipendenza. Le dichiarazioni del propalante, come già evidenziato dal giudice di primo grado, non sorreggono la prova di responsabilità. Dalle intercettazioni emerge che il P. acquista droga per suo uso personale.

Motivi della decisione

I ricorsi del D. del P. e della S. vanno accolti nei limiti che si preciseranno, quello del G. va rigettato.

Preliminarmente il Collegio prende atto della perenzione del termine di prescrizione per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 rispettivamente ascritto agli imputati P. e S. nonchè al D., con riferimento a quello rubricato al capo a).

Trattasi, invero, di ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 attenuate dalla applicazione della disposizione di cui al cit. art., comma 5, di conseguenza il termine prescrizionale, tenuto conto del tempus commissi delicti (sino al 10.07.1995), della pena edittale all’epoca prevista per il reato in esame e della data di emissione della sentenza di primo grado (16.07.2003), è quello di anni quindici previsto del previgente combinato disposto dell’art. 157 c.p., n. 3 e art. 160 c.p., ultima parte stante quanto previsto della L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3.

Dunque, la sentenza, in riferimento ai reati estinti per prescrizione va annullata senza rinvio.

Quanto ai motivi posti a base del ricorso dai suddetti imputati in ordine ai reati dichiarati estinti, si evidenzia che, come affermato dalle SS.UU. di questa corte di recente (sentenza n. 35490 del 28.05.2009, Rv. 244275), stante l’intervenuta prescrizione del reato è precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione. Il sindacato di legittimità circa la mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 2 deve essere circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una sua pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso dell’imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operatività estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata: qualora, dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’art. 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, deve prevalere l’esigenza della definizione immediata del processo.

Nella richiamata sentenza delle SS.UU. è dato leggere che, per quel che riguarda il presupposto della evidenza della prova dell’innocenza dell’imputato – ai fini della prevalenza della formula di proscioglimento sulla causa estintiva del reato -, in giurisprudenza è stato costantemente affermato, senza incertezze o oscillazioni di sorta, che il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la sua rilevanza penale e la non commissione del medesimo da parte dell’imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, al punto che la valutazione da compiersi in proposito appartiene più al concetto di "constatazione" (percezione ictu oculi), che a quello di "apprezzamento", incompatibile, dunque, con qualsiasi necessità di accertamento o approfondimento; in altre parole, l’"evidenza" richiesta dall’art. 129 c.p.p., comma 2, presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara ed obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione oltre la correlazione ad un accertamento immediato, concretizzandosi così addirittura in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia. Per il caso che ci occupa, i ricorsi del D. (in ordine al delitto di cui al capo b) estinto per prescrizione), della S. e del P. attengono tutti a vizi di motivazione.

Ed invero, il primo, relativamente al reato di cui al capo b), specificamente lamenta mancanza,ovvero, manifesta illogicità della motivazione, e tanto basta per quanto argomentato in ordine alla declaratoria di estinzione del reato.

La S.I. denuncia violazione di legge, ma in sostanza trattasi anche in questo caso di vizio di motivazione in quanto le censure afferiscono alla ricostruzione della vicenda processuale, ben delineata in fatto ed in diritto dai giudici di merito e che, pertanto, non possono formare oggetto del sindacato di legittimità, dovendo escludersi, nella concreta fattispecie, la sussistenza dei denunciati vizi di motivazione e di violazione dei criteri legali di valutazione delle prova. Analogamente il P. critica la sentenza impugnata per la credibilità data alle dichiarazioni del coimputato D.A. ed al contenuto delle intercettazioni telefoniche, ma è evidente che il motivo implica una censura sulla valutazione del quadro probatorio posto a fondamento dell’affermazione di responsabilità che esula dai poteri di sindacato del giudice di legittimità, non palesandosi il relativo apprezzamento motivazionale nè manifestamente illogico, nè viziato dalla non corretta applicazione della legge penale.

Resta, ora, da esaminare i motivi posti a base dei rispettivi ricorsi del D. e del G. in ordine ai delitto ascritto al primo al capo a) e a quello analogo contestato al secondo, delitti per i quali non risultano perenti i relativi termini prescrizionali, non essendo stata riconosciuta l’attenuante speciale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Le censure mosse dal D. alla sentenza impugnata con riferimento alla gestione di traffico di sostanze stupefacenti, di tipo eroina, in concorso con D.A. sono manifestamente inammissibili, in quanto non consentite nel giudizio di legittimità, riferendosi esse ad una diversa valutazione delle risultanze probatorie a fronte di una motivazione sul punto della Corte d’Appello logica ed esaustiva con particolare riguardo al ruolo ricoperto dal ricorrente nell’ambito dell’attività di spaccio, ai rapporti avuti con il D.A., alla sua chiamata in correità, e, alla interpretazione dell’inequivocabile contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate. Per altro, non si tiene conto che, in ordine a tale contestazione, il D. fu arrestato in flagranza di reato insieme al D.A. mentre ritornavano da un viaggio a (OMISSIS); fermati risultavano in possesso di gr. 52 di eroina appena acquistata presso il Sa..

Lamenta l’esclusione dell’attenuante di cui al cit. D.P.R., art. 73, comma 5, ma sul punto la motivazione della Corte d’Appello è completa e condivisibile in quanto aderente al dato normativo ed alla giurisprudenza di questa Corte. Anzi è quanto dedotto dal ricorrente che si pone in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, può essere riconosciuta soltanto nell’ipotesi di minima offensività penale della condotta, da escludersi nel caso di specie in considerazione, dei quantitativi non modici di eroina detenuti. Il dato quantitativo assume valore preclusivo quando è preponderante (cfr. Cass. S.U. 21 settembre 2000, Primavera, RV 216667, secondo cui la circostanza in esame può essere riconosciuta soltanto in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione – mezzi, modalità, circostanze dell’azione – con la conseguenza che ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri, e, più specificamente, Cass. 6, 2 aprile 2003, Armenti, RV 225414). La seconda censura del primo motivo, comunque si risolve nella prospettazione di una diversa lettura del contesto probatorio, apparendo del tutto congrua la motivazione della sentenza impugnata laddove ha ritenuto che il quantitativo di eroina di cui trattasi, sebbene rinvenuto nell’autovettura guidata dal coimputato D. A., in occasione del controllo da parte delle FF.OO., appartenesse anche al ricorrente che trovavasi a bordo di essa.

Il motivo esposto dal G. relativo alla dedotta violazione di legge per mancata citazione dell’imputato in appello è infondato. Le Sezioni Unite con sentenza n. 119 del 27.10.2004 (Rv. 229539) hanno affermato che in tema di notificazione della citazione dell’imputato, la nullità assoluta ed insanabile prevista dall’art. 179 c.p.p. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato; la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, come nel caso di specie.

Trattasi di nullità di ordine generale a regime intermedio che deve ritenersi sanata quando risulti provato che non ha impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa, ed è, comunque, priva di effetti se non dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184 c.p.p., comma 1, alle sanatorie generali di cui all’art. 183 c.p.p., alle regole di deducibilità di cui all’art. 182 c.p.p., oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 491 c.p.p..

Per il caso di specie, sebbene alla pubblica udienza celebratasi innanzi alla Corte d’Appello di Ancona, fosse presente il difensore di fiducia del ricorrente, non risulta che questi abbia eccepito alcunchè in ordine alla irregolarità della notifica; di conseguenza non si può dedurre la irregolarità con il ricorso per cassazione.

Quanto al secondo e terzo motivo le relative censure non sortiscono miglior sorte di quelle esposte dal D. afferendo anch’esse ad una diversa valutazione delle risultanze probatorie con riguardo alle dichiarazioni accusatorie rese dal coimputato D.A.C..

Basta por mente, per ritenere corretto il vaglio operato dai giudici del gravame di merito delle dichiarazioni di correità propalate dal D.A. in punto di credibilità e di attendibilità, al rilievo che la stessa Corte territoriale effettua secondo cui a carico di tutti gli imputati, compreso il G., non vi sono le sole dichiarazioni del coimputato ma vi è una serie di riscontri a tali dichiarazioni su singoli episodi, e su dati formali come nome e cognomi degli interlocutori delle conversazioni telefoniche intercettate corrispondenti agli imputati, oltre alla minuziosa attività di indagine riferita dal commissario D.L., circa l’identificazione delle persone, dei ruoli e dei singoli episodi, mediante riferimenti specifici, accertamenti postali, accertamenti su schede di pernottamenti in albergo, quasi che tali riscontri assurgono essi stessi ad elementi di prova. E’ possibile in questa sede rideterminare per il D., all’esito della dichiarazione di estinzione per prescrizione del delitto di cui al capo b), la pena residua per quello ascritto al capo a), stante la individuazione della pena ritenuta per il delitto di cui al capo b) in continuazione dalla Corte distrettuale; pertanto, la pena residua va determinata in quattro anni di reclusione ed Euro 20.000, di multa.

A seguito del rigetto del ricorso il G. va condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle posizioni di P.G., S.E. e D.S. (per costui per il solo reato di cui al capo b) perchè i reati ad essi rispettivamente ascritti sono estinti per prescrizione.

Rigetta per il resto il ricorsi di D. (per il reato di cui al capo a) e di G.G..

Determina la pena residua per D. in anni quattro di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa.

Condanna G.G. al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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