Cass. civ. Sez. II, Sent., 08-02-2012, n. 1807 Reintegrazione o spoglio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 17.12.1997, R.C. L., premesso di aver composto transattivamente, in data 21.7.84, con atto per notaio Maglietta, una controversia giudiziaria instaurata nei confronti di S.C., relativa a reciproche violazioni di diritti di proprietà, con la previsione, all’art. 2 dell’atto di transazione, dell’obbligo di conservare "l’attuale sistemazione dei luoghi, salvo il diritto della S. di chiudere con finestroni gli archi al piano soprastante il seminterrato e le attuali ampiezze e distanze dal piano di calpestio del (OMISSIS), relative a tutte le aperture esistenti lungo il muro della S.";

che quest’ultima, nella primavera del 1995, aveva modificato lo stato dei luoghi installando un cancelletto, in sostituzione di un tratto di muro,per l’accesso al lastrico di copertura della propria cantina ed aveva modificato una luce, apponendovi una persiana ed una soglia sporgente sul viale di proprietà R.; tanto premesso, conveniva in giudizio, innanzi al Pretore di Capri, la S. chiedendole la rimozione di tali opere.

A seguito del decesso di S.C., si costituivano gli eredi Ru.Ga. e P.B., riportandosi alle richieste della de cuius.

Espletata C.T.U., con sentenza 31.1.2002, il Tribunale di Napoli, sez. dist. di Capri, accoglieva la domanda della R., condannando i convenuti al ripristino dello stato dei luoghi, con rimozione della persiana e della soglia di marmo nonchè del cancelletto apposto in luogo del muretto; rigettava la domanda riconvenzionale e poneva a loro carico le spese di lite.

Avverso tale sentenza proponevano appello il Ru. o e la P. cui resisteva la R.C..

Con sentenza 21.1.2005 la Corte di Appello di Napoli rigettava l’appello, condannando gli appellanti al pagamento delle spese processuali.

Osservava la Corte territoriale che solo in comparsa conclusionale gli appellanti avevano sollevato questioni sulla regolarità dell’iter processuale con riguardo, in particolare, alla proponibilità della domanda petitoria, a fronte di una domanda proposta sotto il profilo possessorio; nel merito rilevava che le modifiche apportate allo stato dei luoghi, successivamente all’atto di transazione, costituivano una palese violazione dei patti ivi previsti; escludeva, poi, che la R. avesse compiuto alcun atto emulativo.

Tale decisione è impugnata con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, da P.B., essendo nelle more deceduto Ro.Ga., usufruttuario dei beni immobili oggetto di causa.

Resiste con controricorso e successiva memoria R.C. L..

Motivi della decisione

La ricorrente deduce:

1) nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5;

la Corte territoriale si era limitata a dichiarare esauriente e convincente la motivazione del primo giudice senza esaminare le questioni che investivano l’erroneità della interpretazione data dalla sentenza di primo grado all’atto di transazione del 21.7.1984;

2) motivazione insufficiente e manifestamente illogica in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per le ragioni di cui al motivo sub 1);

3)motivazione insufficiente e contraddittoria in relazione all’art. 112 c.p.c.; violazione e falsa applicazione della norma stessa con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5;

la Corte di appello aveva esaminato la domanda dell’attrice sotto il profilo petitorio anzichè possessorio,qualificando erroneamente la domanda stessa, così incorrendo nel vizio di ultrapetizione;

4) motivazione insufficiente e contraddittoria in relazione ai criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.p.c., e segg., nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 1027 c.c.; travisamento dei fatti ed illogicità manifesta in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5; la natura obbligatoria e non reale della pattuizione di cui al punto 2) dell’atto di transazione, comportava la configurabilità di una servitù di luce irregolare e non una servitù negativa cui non corrispondeva alcuna utilità per il fondo dominante e,conseguentemente, l’inadempimento della S. a detta pattuizione poteva essere esaminato solo sotto il profilo risarcitorio.

Il ricorso è infondato.

I primi due motivi di doglianza sono privi del requisito di autosufficienza, avendo la ricorrente dedotto genericamente un vizio di motivazione, omettendo di confutare specificatamente le argomentazioni poste a base della sentenza impugnata in ordine alla interpretazione dell’atto di transazione intercorso fra le parti; il giudice di appello ha dato conto, sulla base di valutazioni di fatto attinenti alle opere compiute dagli appellanti, accertate mediante C.T.U., della violazione degli obblighi assunti in sede transattiva, senza che potesse ravvisarsi, a carico della C., alcun atto emulativo.

Il richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado è,peraltro, del tutto legittimo avendo, comunque, la Corte di merito espresso, sia pure sinteticamente, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti. Come ribadito dalla Corte di legittimità il vizio di omessa o insufficiente motivazione , ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se, con il rinvio, sia stato omesso l’esame di uno specifico elemento di segno contrario alla prima decisione, potenzialmente idoneo a condurre ad una diversa decisione e non anche solo per effetto della tecnica del rinvio, considerato che la sentenza di primo grado richiamata dal secondo giudice diviene parte integrante della sentenza impugnata (Cfr. Cass. n. 12129/2003).

Il terzo motivo concerne una questione già esaminata dai giudici di appello e risolta con corretta e logica motivazione, posto che è stato dato atto, che la questione relativa alla proponibilità, nella specie, della domanda petitoria era stata dedotta solo in comparsa conclusionale sicchè,sul punto, era intervenuta "una in superabile preclusione procedurale".

Priva di fondamento oltrechè generica è, infine, la quarta censura, in difetto di una specifica critica al percorso motivazionale seguito dai giudici ed ai criteri ermeneutici che sarebbero stati violati. Il riferimento ad una servitù di luce irregolare ed al difetto di utilità per il fondo dominante, derivante dalla servitù, riguardano, peraltro, profili di fatto, come tali esulanti dal sindacato di legittimità.

Il ricorso, alla stregua di quanto osservato, va rigettato.

Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 2.500,00 oltre Euro 200,00 per spese ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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