Cass. civ. Sez. I, Sent., 08-02-2012, n. 1788 Alimenti e mantenimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 23.09-26.11.2005, il Tribunale di Palermo pronunciava la separazione personale dei coniugi I.F. e B.G., con addebito a quest’ultimo, cui imponeva di corrispondere mensilmente alla moglie Euro 350,00, quale assegno di mantenimento.

Decidendo, previa pure acquisizione d’informazioni dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, sui riuniti appelli principale ed incidentale, proposti rispettivamente dalla I. e dal B., la Corte di appello di Palermo, con sentenza del 26.06- 20.08.2009, aumentava ad Euro 500,00 mensili, rivalutabili, l’entità dell’assegno disposto in favore della prima, condannando il B. al pagamento anche delle spese del gravame e confermando nel resto l’impugnata pronuncia.

La Corte distrettuale riteneva:

– che la I. si era doluta dell’insufficiente misura dell’apporto economico statuito in suo favore, sottolineando anche che non abitava più nella casa coniugale e L chiedendone l’aumento ad Euro 1.500,00 mensili;

– che il B. aveva censurato la pronuncia di addebito a sè della separazione, la statuizione d’inammissibilità delle sue domande restitutorie di beni nonchè l’attribuzione alla moglie dell’assegno di mantenimento, che assumeva non dovuto, evidenziando anche che il suo reddito si era contratto per avere smesso dal 1.03.2004, la sua collaborazione professionale con una casa di cura, mentre la moglie era titolare di un’azienda agricola e conviveva con la madre ed il fratello, amministrando i suoi beni;

– che quanto alle contrapposte censure inerenti all’assegno di mantenimento in favore della moglie, emergeva dalla comparazione delle condizioni economiche delle parti, desunte dalle prodotte dichiarazioni fiscali, un divario medio annuo di circa Euro 12.000,00 a vantaggio del marito;

– che dalle informative rese dall’AGEA, risultava che i cd. premi conseguiti dalla I. costituivano contributi per la produzione del grano, sicchè non integravano reddito d’impresa ma provvidenze destinate a finanziare la conduzione del fondi (tra l’altro gravati da mutuo) e da lei in parte esposte nella denuncia dei redditi;

– che il divario economico esistente tra i coniugi giustificava l’attribuzione del chiesto assegno, dato che la I. non era in grado da sola di mantenere il tenore di vita cui poteva aspirare quale moglie di un medico affermato, assegno peraltro da contenere in Euro 500,00 mensili, misura congrua in rapporto agli emersi dati reddituali, alle di lei esigenze alloggiative, alla capacità lavorativa di lui, chirurgo libero professionista, anche proprietario di due beni immobili.

Contro questa sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione, fondato su due motivi e notificato l’11.03.2010 alla I., che ha resistito con controricorso notificato il 19.04.2010.

Motivi della decisione

Con il ricorso il B. denunzia:

1. "Violazione o falsa applicazione delle norme 61, 115 e 116 c.p.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5". Si duole della mancata ammissione di una ctu di stima dei bilanci annuali relativi all’azienda agricola in titolarità della moglie, mezzo che a suo parere avrebbe evidenziato l’effettivo reddito da lei tratto a fronte di quello virtuale esposto nella denuncia dei redditi e conseguentemente consentito di apprezzare esistenza ed entità reale del riscontrato divario reddituale.

Il motivo non ha pregio.

La consulenza tecnica d’ufficio ha la funzione di fornire all’attività valutativa del giudice l’apporto di cognizioni tecniche che egli non possiede, ma non è certo destinata ad esonerare le parti dalla prova dei fatti dalle stesse dedotti e posti a base delle rispettive richieste, fatti che devono essere dimostrati dalle medesime parti alla stregua dei criteri di ripartizione dell’onere della prova previsti dall’art. 2697 cod. civ.. Inoltre, il giudizio sulla necessità ed opportunità di disporre nuove indagini tecniche rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto ad emettere un’esplicita pronuncia sulla relativa istanza, quando, come nella specie, risulti per implicito, dal complesso della motivazione, che egli ha ritenuto esaurienti i risultati conseguiti con gli accertamenti già compiuti.

D’altra parte, in tema di separazione tra i coniugi, al fine della determinazione del "quantum" dell’assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente una attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (cfr, tra le altre, cass. n. 13592 del 2006; n. 23051 del 2007; n. 25618 del 2007). Alla luce di tali principi e della ratio decidendi adottata in ordine al punto in contestazione, legittimamente i giudici di merito per implicito non hanno ammesso l’invocata consulenza tecnica, avendo riconosciuto come esaurienti ossia sufficienti a dar conto della decisione adottata, gli elementi istruttori emersi.

2. "Violazione o falsa applicazione delle norme artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5".

Si duole che gli incentivi alla produzione del grano non siano stati ritenuti reddito d’impresa a favore della I., che non si sia valutato l’effettivo ricavato dalla stessa tratto dalla produzione agricola, che si sia fatto riferimento alle risultanze fiscali da lei esposte nel modello Unico, in cui era stato indicato non il reddito effettivo ma quello "virtuale" ancorato al dato catastale, ed ancora che non si sia ritenuto che l’entità annua dei contributi erogati dall’AGEA costituisse il reddito minimo reale della moglie.

Il motivo è inammissibile, risolvendosi in mere, generiche critiche, prive anche di richiami ad oggettivi riscontri eventualmente emersi nei pregressi gradi di merito, mentre sul punto in esame l’avversata conclusione appare confortata da puntuali e logiche argomentazioni, dalle quali risulta pure che la I. non aveva mancato di dichiarare in sede fiscale, come componente attiva del suo reddito e prò quota, i ricevuti contributi. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna del soccombente B. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Non ricorrono gli estremi per la condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4, (applicabile ratione temporis), chiesta dal P.G..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il B. al pagamento in favore della I. delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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