Cass. civ. Sez. I, Sent., 08-02-2012, n. 1784 Disconoscimento di paternità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il signor S.S. ha chiesto al Tribunale di Vicenza di accertare che egli non è il padre legittimo del minore S. M.. Il minore si è costituito in giudizio per mezzo del curatore speciale con comparsa in data 28 novembre 2003, dichiarando di non opporsi agli accertamenti che il tribunale dovesse ammettere al fine di accertare la sua paternità, e chiedendo ammettersi "ogni intervenienda richiesta istruttoria" sul punto. La madre, signora O.L., si è costituita in giudizio con comparsa in data 5 maggio 2004, aderendo alla domanda attrice, e indicando come padre naturale il defunto D.M.G.. Nel giudizio è poi intervenuta il 29 settembre 2004 la signora D.M.E., sorella ed erede del defunto D.M.G., dichiarando di voler resistere alla domanda di accertamento della paternità naturale del minore da parte del fratello.

Il tribunale di Vicenza ha dichiarato inammissibile il predetto intervento in causa, e tale decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Venezia, con sentenza in data 4 dicembre 2009. 2. Per la cassazione della sentenza, notificatale in data 11 febbraio 2010, ricorre la signora D.M., per quattro motivi, illustrati anche con memoria.

Resiste S.M., con il curatore speciale nominato per il giudizio, con controricorso notificato il 26 aprile 2010.

Motivi della decisione

3. Il primo motivo di ricorso denuncia l’omessa pronuncia sulla sua domanda, cagionata dall’errata interpretazione delle domande formulate dal curatore del minore, avendo la corte territoriale ritenuto che il curatore avesse rinunciato alla domanda riconvenzionale di accertamento della paternità naturale del minore, laddove tale rinuncia era stata formulata esclusivamente dalla signora O.. Sostiene che quest’ultima aveva chiesto, nella sua comparsa di risposta di accertare l’effettiva paternità biologica del figlio M., attraverso consulenza tecnica e previa riesumazione della salma del defunto d.M.G., e che il curatore non si era opposto a tale domanda, e aveva poi chiesto l’accoglimento delle richieste domande istruttorie rivolte all’accertamento della paternità del minore. Erroneamente la corte territoriale avrebbe escluso di doversi pronunciare sulla domanda del curatore, che non era stata abbandonata, e da tale erroneo giudizio sarebbe derivata l’illegittima affermazione dell’inammissibilità del suo intervento in causa, essendo al contrario la ricorrente legittimata passivamente all’azione quale erede della persona indicata come padre naturale del minore.

Con il secondo motivo si censura il vizio di motivazione sul punto decisivo, costituito dalla mancata accettazione, da parte sua, della – peraltro contestata – rinuncia del curatore alla sua domanda di accertamento della paternità naturale del minore.

4. I due motivi devono essere esaminati insieme, vertendo sull’unico punto, costituito dal rifiuto del giudice di merito di esaminare la domanda di accertamento della paternità naturale del minore, nel presente giudizio di disconoscimento della paternità legittima. Essi sono inammissibili.

Va premesso che il giudice d’appello ha richiamato la giurisprudenza di legittimità per la quale la paternità legittima non può essere messa in discussione e neppure difesa da colui che è indicato come padre naturale, il quale, allorchè deduca che l’esito (positivo) dell’azione di disconoscimento di paternità si riverbera sull’azione di riconoscimento della paternità intentata nei suoi confronti, si limita in realtà a far valere un pregiudizio di mero fatto (Cass. 9 giugno 2005 n. 12167), e ne ha tratto la con la conseguenza che l’intervento di colui che è indicato come padre naturale nel giudizio di disconoscimento della paternità naturale è inammissibile, con il corollario che, in forza della presunzione legale di legittimità della filiazione, la controversia sulla paternità naturale non può avere ingresso sin quando tale presunzione non sia venuta meno con il vittorioso esperimento di un’azione di disconoscimento della paternità legittima.

Nella fattispecie, la ricorrente è intervenuta volontariamente in un giudizio che si svolgeva tra altre parti, nel quale di conseguenza nessuna domanda era stata posta nei suoi confronti e nessuna statuizione, che fosse stata assunta, le sarebbe stata opponibile.

Non è pertanto configurabile alcun interesse della stessa in ordine alla questione dell’interpretazione delle domande poste in un giudizio inter alios, e nel quale, intervenendo, non aveva proposto alcuna domanda propria, limitandosi a resistere alle domande ipoteticamente proposte dalle parti. Nè è configurabile alcun pregiudizio della ricorrente in relazione all’accertamento compiuto dai giudici di merito, che le domande alle quali intendeva resistere con il suo intervento volontario non erano neppure state proposte, o essendo state inizialmente proposte erano state fatte oggetto di rinuncia, o, in caso contrario, dovessero essere dichiarate inammissibili.

4. Il terzo motivo, con il quale si sollevano questioni riservate all’eventuale giudizio di merito conseguente all’eventuale accoglimento dei primi due motivi sono inammissibili in questa sede, perchè per loro stessa natura non contengono alcuna critica alla sentenza impugnata.

5. Con il quarto motivo si prospetta la questione illegittimità costituzionale dell’art. 360 bis c.p.c., per violazione dell’art. 111 Cost.. La questione è manifestamente irrilevante stante il difetto di interesse della ricorrente a partecipare al presente giudizio.

6. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

In conformità della richiesta del Procuratore generale, nella proposizione di un ricorso diretto a censurare una sentenza che aveva confermato sotto molteplici profili il difetto di interesse della stessa parte ad intervenire in una causa in corso tra altri, e a coltivare tale intervento nonostante la sua dichiarazione d’inammissibilità, si ravvisa colpa grave, che giustifica l’irrogazione della condanna di cui all’art. 385 c.p.c., comma 4, al pagamento della somma indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge, e della somma di Euro 2.500,00 determinata a norma dell’art. 385 c.p.c., comma 4.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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