Cass. civ. Sez. I, Sent., 08-02-2012, n. 1782 Alimenti e mantenimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza 25 gennaio 2010, la Corte d’appello di Firenze, respingendo l’appello proposto dalla signora H.H.F., ha confermato la decisione di primo grado, che aveva dichiarato la separazione personale dei coniugi M.A. e H.H. F. e aveva respinto le domande della moglie convenuta in tema di addebito della separazione e di condanna al pagamento di un assegno di mantenimento. La corte territoriale ha accertato che la moglie stava svolgendo o aveva svolto un’intensa attività lavorativa in Taiwan, collaborando tra l’altro con la sorella, titolare di uno studio di arredatrice, e ha ritenuto non provata e poco verosimile la tesi che si trattasse di lavori saltuari ed occasionali, perchè erano lavori che la parte era in grado di svolgere con continuità anche grazie alla sua laurea in Belle Arti conseguita presso l’università di (OMISSIS). La signora H.H.F., inoltre, aveva acquistato senza l’aiuto del marito una casa in Taiwan, che era stato locato. Il suo ritorno in Italia non aveva necessariamente carattere definitivo, ma in ogni caso anche qui ella avrebbe potuto mettere a frutto le sue capacità professionali.

2. Per la cassazione della sentenza, notificatale in data 25 febbraio 2010, ricorre la signora H.H.F., per un unico motivo.

Resiste M.A. con controricorso notificato il 4 giugno 2010.

Motivi della decisione

3. Il ricorso denuncia la violazione dell’art. 156 c.c. e il vizio di motivazione nell’accertamento del presupposto dell’assegno di mantenimento richiesto dalla ricorrente in regime di separazione personale dei coniugi, e svolge argomenti critici in ordine alle ragioni con le quali la corte territoriale ha motivato il suo convincimento, che la stessa disponesse di adeguati redditi di lavoro.

Il motivo, che non indica le affermazioni dell’impugnata sentenza in supposto contrasto con la norma indicata, è svolto per il resto come censura di merito, e come tale è inammissibile nel presente giudizio di legittimità.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità sono a carico della ricorrente e sono liquidate come in dispositivo. Non si ravvisano i presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento della somma di cui all’art. 385 c.p.c., comma 4.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 2.300,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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