Cons. Stato Sez. VI, Sent., 18-10-2011, n. 5596 Zone sismiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il sig. F. M., nella qualità di amministratore del condominio di via S. Giacomo N. 3. in Castellammare di Stabia, ed il sig. E. P., in qualità di comproprietario del suddetto condominio, hanno riferito quanto segue:

– a seguito del sisma del 1980, l’edificio sito in Castellammare di Stabia, alla V. S. G. N. 3., riportato in catasto al foglio 12, particelle nn. 136 e 137, venne danneggiato in modo talmente grave da essere oggetto di ordinanza sindacale di sgombero n. 107/1981;

– per l’immobile venne presentato un progetto finalizzato alla "verifica della non convenienza economica della riparazione", approvato dalla Commissione edilizia, istituita ex art. 14 della L. n. 219/1981, nella seduta del 6 luglio 1989;

– a seguito del crollo di un’intera ala dell’edificio ed in ottemperanza all’ordinanza sindacale n. 176 del 6 maggio 1998, il sig. E. P., all’epoca amministratore del condominio, fece demolire il corpo di fabbrica, con esclusione del solo piano terra;

– con delibere n. 133 del 30 novembre 1998 e n. 97 del 7 novembre 2002, il Consiglio comunale di Castellammare di Stabia approvò l’intervento di ristrutturazione urbanistica di vari fabbricati ricadenti nelle zone di piano di recupero, tra cui l’edificio in questione, per il quale era prevista una sagoma diversa con relativo arretramento, per consentire il rispetto delle norme sismiche;

– veniva quindi presentato il progetto definitivo di demolizione dell’intero fabbricato e di ricostruzione, approvato dalla Commissione tecnica comunale ex art. 14 L. n. 219/1981 nella seduta del 27 gennaio 2004, e dalla Commissione edilizia integrata ai sensi della L.R. n. 10 del 23 febbraio 1982, nella seduta del 27 maggio 2004;

– in data 28 luglio 2004, il dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Castellammare di Stabia rilasciava l’autorizzazione ambientale, che veniva tuttavia annullata in data 8 ottobre 2004 dalla Soprintendenza con il decreto in epigrafe impugnato, in quanto: "(…) il nuovo edificio, da localizzare in posizione differente dal preesistente manufatto, ha una tipologia costruttiva, configurazione e caratteri architettonici, completamente avulsi dal contesto edilizio storico ed in contrasto con le disposizioni di cui all’art. 25 e 26 del vigente P.U.T. che prevede che la ricostruzione deve essere realizzata secondo una tipologia, configurazione e volumetria identica a quella preesistente. Si evidenzia, tra l’altro, che la delocalizzazione dell’immobile comporterebbe la modifica dei rapporti di cortina nel centro storico e inciderebbe negativamente sulle vedute prospettiche godibili dalla strada".

2. La sentenza impugnata ha annullato il decreto del Soprintendente, in accoglimento del ricorso n. 14070 del 2004.

3. Il giudice di primo grado ha ritenuto fondato il dedotto vizio di eccesso di potere.

4. Propone appello l’amministrazione statale chiedendo, in riforma della sentenza, il rigetto del ricorso di primo grado.

5. Il provvedimento della Soprintendenza annullava l’autorizzazione paesistica perché il nuovo edificio, da localizzare in posizione differente dal preesistente manufatto, ha una tipologia costruttiva, configurazione e caratteri architettonici, completamente avulsi dal contesto storico edilizio ed in contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 25 e 26 del vigente P.U.T. che prevede che la ricostruzione deve essere realizzata secondo una tipologia, configurazione e volumetria identica a quella preesistente.

La delocalizzazione dell’immobile comporterebbe la modifica dei rapporti di cortina nel centro storico e inciderebbe negativamente sulle vedute prospettiche godibili dalla strada.

Nel suo atto d’appello, l’Amministrazione ha riportato il contenuto dell’atto della Sovrintendenza ed ha dedotto che essa non sarebbe affetta dal vizio rilevato dal TAR.

Gli appellati hanno formulato un atto di appello incidentale, con cui hanno riproposto le originarie censure non accolte dal TAR, ed hanno depositato il certificato di agibilità dell’immobile, nel frattempo ultimato.

6. Ritiene la Sezione che l’appello principale vada respinto e che la sentenza gravata vada confermata.

Il richiamo agli articoli 25 e 26 del P.U.T. (piano urbanistico territoriale dell’area sorrentinoamalfitana), approvato con legge della Regione Campania 27 giugno 1987, N. 3., comporta che la medesima amministrazione riconosce che tali norme sono applicabili alla fattispecie.

Orbene l’art. 25 cit. dispone, per quel che qui interessa, che "la progettazione degli interventi edilizi deve essere di elevato impegno culturale e deve essere coerente con la filosofia dell’insediamento umano nel contesto storicoambientale dell’area".

Il successivo articolo 26 statuisce che "per la nuova edificazione dell’area, la tipologia edilizia deve tener conto, in senso culturale, della logica costruttiva antica cercando di interpretare il rapporto che si instaurava tra l’edilizia e l’ambiente circostante in conseguenza della tecnologia costruttiva, dei materiali e delle esigenze umane nel rispetto della morfologia dell’area e delle risorse agricole. I materiali devono essere usati in senso naturale e devono rivalutare l’alta tradizione artigianale delle maestranze locali. Sono da bandire pertanto nell’area quei materiali che derivano direttamente da una standardizzazione a livello industriale che, per contenere i costi porta al più basso livello l’impegno culturale e tecnologico". La norma, poi, specifica i tipi di materiali da escludersi, come gli intonaci plastici, le pitture sintetiche o chimiche, gli infissi in metallo o in plastica, et cetera.

Dalle norme or ora richiamate non emerge in alcun modo che la ricostruzione dell’immobile dovesse avvenire in maniera "identica" al precedente. L’amministrazione avrebbe quindi dovuto indicare altre ragioni per disporre l’annullamento della rilasciata autorizzazione.

Anche l’ulteriore ragione d’annullamento, relativo alla delocalizzazione, non è null’altro se non una specificazione del presupposto precedente. Se, come assume la Soprintendenza, la costruzione deve essere identica alla precedente, la delocalizzazione costituisce una violazione del vincolo di esatta corrispondenza, che, come si è visto, non sussiste in alcun modo.

D’altro canto solo l’incidenza negativa sulle vedute prospettiche godibili dalla strada potrebbe giustificare l’annullamento del provvedimento comunale. Ma di tale incidenza non viene indicata la misura (che dalle foto depositate neppure risulta evidente ictu oculi), cosicché una lieve e non precisata limitazione del beneficio della collettività non può sacrificare la pretesa degli appellati alla ricostruzione dell’immobile.

L’appello principale va pertanto respinto, mentre quello incidentale va dichiarato improcedibile per carenza di interesse, con compensazione delle spese del secondo grado di giudizio per giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando nel giudizio n. 7882 del 2006, come in epigrafe proposto, rigetta l’appello principale e dichiara improcedibile quello incidentale.

Spese compensate del secondo grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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