Cass. civ. Sez. I, Sent., 08-02-2012, n. 1774 Utenze

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1 – Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza n. 2455, depositata in data 23 agosto 2002, accoglieva l’opposizione proposta dal Comune di Piedimonte Matese nei confronti della s.p.a. Eniacqua e della Regione Campania, avverso il decreto ingiuntivo emesso ad istanza della prima società, quale concessionaria di detto ente territoriale per la riscossione dei canoni relativi alla fornitura idropotabile, per l’importo di lire 4.031.797.172, oltre accessori, ritenendo che – risultando da una decisione del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche che il Comune vantava un diritto di antica utenza sulle sorgenti del Torano e del Maretto – non sussistesse il presupposto della pretesa, stante la carenza, in capo alla Regione Campania, di titoli legittimanti all’emungimento delle acque dalle predetti sorgenti.

Veniva, quindi, revocato il decreto ingiuntivo opposto e rigettata la domanda di garanzia proposta dalla società concessionaria nei confronti della Regione Campania.

1.1 – Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Napoli, pronunciando sui gravami interposti dalla s.p.a. Eniacqua e dalla Regione Campania, confermava la decisione di primo grado, ribadendo, per altro, l’inammissibilità della produzione documentale effettuata in primo grado dalla Regione oltre il termine di cui all’art. 184 c.p.c., e rilevando l’inammissibilità, in considerazione della sua novità, della domanda con la quale la S.p.a. Eniacqua aveva richiesto, in via subordinata, la condanna del Comune al pagamento di quanto dovuto a titolo di indebito arricchimento. Avverso tale decisione propongono ricorso la Regione Campania, che deduce due motivi, nonchè, in via incidentale, il Comune di Piedimonte Matese, cui la s.p.a. Acqua Campania, già Eniacqua s.p.a., resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, resistito con controricorso dal Comune.

Detto ente e la società hanno prodotto memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

2 – Preliminarmente deve disporsi la riunione di tutti i ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima decisione. Per una migliore comprensione dei fatti di causa vale bene premettere che la controversia in esame si inserisce in una vicenda annosa e complessa, nella quale le pretese nei confronti del Comune di Piedimonte Matese, avanzate con l’istanza monitoria con la quale si è avviato il presente procedimento, si intrecciano con provvedimenti amministrativi e decisioni, intervenute fra le stesse parti o loro danti causa e coperte dal giudicato, indispensabili per l’individuazione, in un quadro distico, dell’ubi consistam dell’intera vicenda processuale.

2.1 – Un primo dato è costituito dal diritto di antica utenza all’emungimento dalle fonti del Torano e del Maretto vantato dal Comune di Piedimonte Matese e non più contestabile, in quanto accertato con decisione definitiva del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, acquisita agli atti dopo che il giudizio di primo grado era stato sospeso in attesa della sua emanazione.

Il tema centrale introdotto con il ricorso principale della Regione Campania e con il ricorso proposto in via incidentale dalla s.p.a.

Acqua Campania attiene alla rilevanza o meno del suindicato giudicato, nel senso che si è dedotto che il diritto di antica utenza facente capo al Comune, per altro non per uso potabile, non escluderebbe l’obbligazione derivante dalla fornitura, che in ogni caso non riguarda l’acqua pubblica, ma più propriamente, la fornitura idrica, vale a dire la prestazione di un servizio consistente nel veicolare le acque dalle sorgenti attraverso appositi acquedotti.

Rimangono sullo sfondo, e, come si vedrà, non sono affatto privi di rilievo, i risalenti contrasti fra il Comune di Piedimente Matese, la Cassa per il Mezzogiorno, prima e la Regione Campania, a quest’ultima subentrata, che, movendo dalla necessità di individuare la limitazione dell’obbligazione dell’ente territoriale circa la fornitura, in considerazione del diritto di antica utenza vantato, non hanno consentito – circostanza, come si vedrà, assolutamente rimarchevole – di addivenire ad alcuna convenzione relativa alla fornitura idrica in esame.

A tale proposito va rilevato che nella sentenza impugnata si da atto di uno schema di convenzione, considerato dalla stessa Corte napoletana privo di rilievo, in quanto "il Comune di Piedimonte Matese non risulta avere mai prestato adesione, rimanendo estranea agli obblighi in essa contenuti". Vi è di più. Dalle difese del Comune emergono specifiche circostanze, non contestate, deponenti nel senso della sussistenza di un risalente contenzioso con la Cassa del Mezzogiorno, inerente al disaccordo circa l’entità delle acque di spettanza gratuita del Comune stesso e agli adempimenti posti a carico della Cassa e rimasti inadempiuti.

Tali motivi di attrito, in virtù dei quali nessuna convenzione risulta sottoscritta, sono refluiti nei rapporti fra detto Comune e la Regione Campania, il cui Assessorato alle Acque e agli Acquedotti, in data 16 aprile 1992, richiese alla Sezione Provinciale del Co.Re.Co l’esercizio dei poteri sostitutivi. Il provvedimento del 14 maggio 1992 con cui si riconosceva l’obbligatorietà della spesa, disponendosi l’emissione di mandato di ufficio, veniva tuttavia, a seguito di ricorso proposto dal Comune di Piedimonte Matese, annullato dal T.A.R. per la Campania con sentenza n. 86 del 6 aprile 1995, anche con riferimento all’esistenza dei diritti di prelievo riconosciuti in capo al Comune. Tanto premesso, vanno evidenziate le censure proposte avverso la decisione in esame.

3 – Con il primo motivo del ricorso principale, denunciandosi violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 140, lett. c, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 3, si sostiene che sarebbe priva di qualsiasi incidenza la decisione emessa dal tribunale Regionale delle Acque Pubbliche.

3.1 – Con il secondo motivo del ricorso principale, ribadita l’insussistenza di qualsiasi preclusione derivante dal giudicato testè richiamato, ci si duole della mancata ammissione, per tardività, dei documenti, da ritenersi indispensabili, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., ai fini della sussistenza del diritto della Regione Campania ad emungere acque dalle sorgenti del Torano, del Maretto e del Biferno.

3.2 – Con il primo motivo del proprio ricorso la S.p.a. Acqua Campania deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè violazione della L. n. 35 del 1994, art. 1 e dei principi in materia di acque, sostenendo che, poichè le acque superficiali e sotterranee, ancorchè non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata e utilizzata secondo criteri di solidarietà, l’oggetto della pretesa non consisteva, nè poteva consistere, nel pagamento dell’acqua, bensì nella controprestazione del servizio acquedottistico.

3.3 – Con il secondo motivo la S.p.a. Acqua Campania deduce violazione dei principi in materia di onere probatorio circa la reale provenienza delle acque fornite al Comune.

4 – La decisione impugnata deve essere confermata in quanto il dispositivo risulta conforme a diritto, dovendosi tuttavia correggere la motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c.. Assume, invero, carattere decisivo ed assorbente, facendo premio sulle interferenze, nella fornitura idrica, del diritto di antica utenza vantato dal Comune di Piedimonte Matese, l’assoluta carenza di un rapporto convenzionale, o contrattuale, in forza del quale la pretesa azionata in via monitoria avrebbe dovuto essere esercitata.

Com’ è noto, e come emerge anche dalla più recente codificazione, il principio della consensualità è alla base dei rapporti fra i privati e la pubblica amministrazione e fra le stesse amministrazioni pubbliche (cfr. per tutti, la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 15, come modificato dall’art. 3, comma 2, dell’Allegato 4 al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104).

Con riferimento alla fattispecie in esame, trattandosi di pretesa esercitata iure privatorum, mediante il ricorso al procedimento per ingiunzione (cfr., in tema di giurisdizione, sia pure con riferimento ad utenza singola, Cass., Sez. Un., 2 marzo 2008, n. 4584), viene in considerazione la necessità della stipulazione, nel rispetto della forma scritta, del contratto in cui sia parte la pubblica amministrazione.

Questa Corte, invero, ha affermato il principio secondo cui tutti i contratti stipulati dalla pubblica amministrazione (anche quando essa agisca "iure privatorum") richiedono la forma scritta "ad substantiam", conseguendo alla mancanza di tale requisito la inesistenza di un’obbligazione contrattuale a carico della p.a., senza che rilevi la eventuale esistenza di una delibera autorizzatoria dell’organo collegiale dell’ente pubblico, costituendo tale deliberazione mero atto interno e preparatorio del negozio, che richiede l’incontro delle volontà dei contraenti nella forma sopra indicata (Cass., 21 maggio 2002, n. 7422; Cass., 2 febbraio 2005, n. 2072; Cass., 5 settembre 2006, n. 19070; Cass., 14 dicembre 2006, n. 26826; Cass., 18 novembre 2008, n. 27406; Cass., 20 agosto 2008, n. 18514; Cass., 27 aprile 2011, n. 9412).

5 – All’insussistenza di una valido titolo, tale da giustificare il rigetto della pretesa e la revoca del provvedimento monitorio, e da rendere superfluo, in questa sede, l’esame delle censure sopra indicate, evidentemente era intesa a sopperire la domanda di arricchimento indebito, avanzata nel l’ambito del secondo grado del giudizio, e ritenuta inammissibile, in quanto tardiva – senza che sul punto siano state sollevate censure – dalla Corte di appello di Napoli.

6 – Deve, infine rilevarsi l’inammissibilità del "ricorso incidentale" proposto dal Comune, parte per altro interamente vittoriosa, e privo dei requisiti minimi per poterlo ricondurre nella previsione di cui all’art. 371 c.p.c..

7 – In considerazione della complessità della vicenda e delle ragioni della decisione, ricorrono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 4.800,00, di cui Euro 4.600,00 per onorari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *