Cass. civ. Sez. III, Sent., 08-02-2012, n. 1767 Collegi e ordini professionali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Collegio dei geometri e geometri laureati della Provincia di Arezzo, nei giugno 2009, irrogava la sanzione disciplinare della censura al geom. M.G..

Ne dicembre 2009, il M. chiedeva allo stesso Collegio la revoca, in via di autotutela, del provvedimento, deducendo la mancata indicazione del termine di impugnazione e dell’organo dinanzi al quale proporre ricorso, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 4. Il Collegio (con provvedimento del 17 marzo 2010, comunicato il successivo 15 aprile): revocava in via di autotutela il precedente provvedimento del giugno 2009, potendo lo stesso essere nullo per il mancato rispetto della L. n. 241 del 1990 e stante l’interesse a garantire il diritto di difesa del professionista ed evitare profili di responsabilità del collegio; deliberava, a conclusione del procedimento disciplinare richiamato, la sanzione della censura;

indicava i termini e l’autorità presso cui il provvedimento era impugnabile.

2. Avverso tale secondo provvedimento, il M. proponeva ricorso tempestivo dinanzi al Consiglio Nazionale geometri e geometri laureati, lamentando la mancata indicazione della norma violata e della motivazione.

Il ricorso veniva dichiarato irricevibile con decisione del 2 dicembre 2010, comunicata il successivo 15. 3. Avverso la suddetta decisione il M. propone ricorso per cassazione con quattordici motivi.

Il Collegio della Provincia di Arezzo e il Procuratore della Repubblica di Arezzo, ritualmente intimati, non svolgono difese.

Motivi della decisione

1. La decisione impugnata fonda l’irricevibilità del ricorso sulle argomentazioni essenziali che seguono.

Il provvedimento (del 2010) impugnato ha confermato, sostanzialmente e formalmente, il provvedimento precedente (del 2009), del quale il M. aveva chiesto a revoca in autotutela alla stesso collegio, quando era già inoppugnabile; revoca concessa "impropriamente e sterilmente" con contestuale conferma del provvedimento precedente e indicazione dei termini per impugnare.

Il primo provvedimento non era invalido, atteso che il mancato rispetto della L. n. 241 del 1990, art. 3, avrebbe consentito, solo da parte del giudice, il riconoscimento della scusabilità dell’eventuale errore in sede processuale e la rimessione in termini.

Il primo provvedimento non è annullato ex tane dal secondo perchè il secondo è identico.

Il primo provvedimento non è revocato ex nunc dal secondo perchè non viene in rilievo la rivalutazione dell’interesse pubblico, propria della revoca, in presenza di un provvedimento che non è nullo.

Ai sensi del D.M. 15 febbraio 1949, art. 4 è irricevibile il gravame proposto al Consiglio nazionale dopo 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento del Collegio; il termine è di decadenza.

L’inoppugnabilità del primo provvedimento per decadenza non consente l’impugnazione del secondo, confermativo del primo, già definitivo.

Non essendoci una nuova valutazione della vicenda, il secondo provvedimento non sostituisce il primo, ma lo conferma; è esclusa, pertanto l’autonoma impugnabilità del secondo, altrimenti si consentirebbe la riapertura dei termini per impugnare il primo provvedimento.

2. Preliminarmente deve rilevarsi che, non può essere esaminata la parte del ricorso (da pag. 19 a 29) in cui i ricorrente riproduce i motivi di censura proposti al Consiglio Nazionale, avverso la decisione del Collegio provinciale, atteso che oggetto del giudizio di legittimità è solo ia decisione emanata dal Consiglio Nazionale.

3. I quattordici motivi di ricorso sono articolati in quattro gruppi.

3.1. Nel primo gruppo (motivi dal primo al quarto) si deduce violazione di legge ( D.M. 15 febbraio 1949, art. 4 e, in particolare, art. 1366 cod. civ.), unitamente a eccesso di potere e difetti motivazionali. In sintesi, si censura la decisione nella parte in cui ha ritenuto il secondo provvedimento (del 2010, pacificamente impugnato nei termini) confermativo del primo, nonostante il secondo avesse annullato il primo, infliggendo una nuova sanzione ex nunc della stessa specie, indicando i tempi per l’impugnazione della stessa e l’autorità davanti alla quale impugnare, in tal modo violando il principio di interpretazione dei contratti secondo buona fede, cioè alla luce di come il destinatario può intenderli, previsto dall’art. 1366 cod. civ. e applicabile agli atti amministrativi.

3.2. Nel secondo gruppo (motivi dal quinto all’ottavo) si deduce violazione di legge ( art. 112 cod. proc. civ.; L. n. 241 del 1990, art. 1; art. 97 Cost.), unitamente a eccesso di potere.

In sintesi, si censura la decisione nella parte in cui ha ritenuto il secondo provvedimento (del 2010) non impugnabile, in quanto ripetitivo del primo, sindacando l’esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione e, in tal modo, il merito dell’azione amministrativa, in violazione dei limiti del proprio giudizio, delimitati dai motivi di ricorso del M., incentrati, invece, sulla irrogazione della sanzione disciplinare senza l’indicazione della norma violata e senza motivazione.

3.3. Nel terzo gruppo (motivi dal nono ai dodicesimo) si deduce violazione di legge ( L. n. 241 del 1990, art. 3; art. 24 Cost.), unitamente a eccesso di potere e difetti motivazionali.

In sintesi, si censura la decisione nella parte in cui ha ritenuto il secondo provvedimento (del 2010) non impugnabile, in quanto confermativo del primo, valutando illegittimo l’esercizio dell’autotutela da parte dell’Amministrazione, con la conseguenza che i privato rimane privo di tutela (in violazione dell’art. 24 Cost.), tanto più in considerazione della possibilità di difesa personale, per effetto del comportamento illegittimo dell’Amministrazione che, nel primo provvedimento impediva l’identificazione del termine e dell’autorità competente per l’impugnazione e, nel secondo, faceva illegittimo uso del potere di autotutela (secondo quanto ritenuto dalla Commissione centrale).

3.4. Nel quarto gruppo (motivi tredicesimo e quattordicesimo) si deduce violazione di legge ( L. n. 241 del 1990, artt. 1 e 3) e dei principi di buon andamento, efficienza e imparzialità dell’azione amministrativa, e in particolare, del principio de legittimo affidamento.

In sintesi, si mette in evidenza che l’individuazione, nel secondo provvedimento, dell’autorità davanti al quale lo stesso era ricorribile e l’indicazione dei relativi termini, hanno determinato un legittimo affidamento nella impugnabilità dello stesso, quale provvedimento nuovo e diverso dal primo, anche in considerazione della circostanza che gli effetti degli atti amministrativi devono essere individuati in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere.

4. I motivi possono essere trattati congiuntamente per la loro stretta connessione.

5. La prima questione all’attenzione della Corte è se sia corretta la riferibilità della decadenza dai termini al primo provvedimento, piuttosto che a) secondo (rispetto al quale i termini sono stati pacificamente rispettati), con conseguente irricevibilità del ricorso, del D.M. del 1949, ex art. 4, secondo quanto ritenuto nella decisione impugnata.

Il Collegio reputa doversi dare risposta negativa sulla base del principio dell’affidamento.

L’individuazione, nel secondo provvedimento, dell’autorità davanti al quale lo stesso era ricorribile e l’indicazione dei relativi termini, hanno determinato un legittimo affidamento nella impugnabilità dello stesso.

6. Tale risposta affermativa non è sufficiente all’accoglimento del ricorso. Vengono in rilievo due ulteriori questioni.

La prima è in quale rapporto stanno il primo e il secondo provvedimento. Ritiene il Collegio che, come emerge dalla struttura logica del secondo provvedimento, impugnato dinanzi alla Consiglio Nazionale, questo abbia integrato il primo, richiamando il procedimento che aveva portato alla irrogazione della censura e, implicitamente, anche la motivazione del primo provvedimento, completandolo, poi, con le indicazioni relative alla impugnazione.

La seconda questione, sul presupposto che il secondo provvedimento abbia integrato il primo, è se il primo era oramai divenuto definitivo, con conseguente impossibilità di integrazione, o se, piuttosto, non era divenuto definitivo, per via degli effetti del mancato rispetto della L. n. 241 del 1990, art. 3, con conseguente possibilità di integrazione.

6.1. La soluzione della seconda questione dipende dalla risposta che si da al seguente quesito: se l’inosservanza della L. n. 241 del 1990, art. 3, nel caso di totale inosservanza: a) comporti solo il riconoscimento sul piano processuale, e, quindi, giurisdizionale, della scusabilità dell’errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente (secondo la giurisprudenza consolidata); oppure b) comporti anche la rilevanza dell’errore tutte le volte in cui, come nella specie, la parte si è comunque attivata, anche se non si è rivolta all’autorità giudiziaria.

Aderendo alla risposta a), il primo provvedimento deve ritenersi oramai divenuto definitivo, non essendo stato impugnato dinanzi all’autorità giudiziaria e l’irricevibilità pronunciata sarebbe conforme a diritto, sia pure con diversa motivazione. Infatti, sarebbe irricevibile l’impugnazione, sebbene tempestiva, avverso un provvedimento abnorme, che riapre i termini di impugnazione di un provvedimento oramai definitivo. Aderendo alla risposta b), il primo provvedimento non deve ritenersi definitivo, sarebbe legittima la sua integrazione con il secondo, e ricevibile l’impugnazione avverso quest’ultimo, da esaminarsi nel merito, rispetto ai due provvedimenti attraverso cui la sanzione è stata comminata.

6.2. Ritiene il Collegio che al quesito debba darsi la risposta sub b), in tal modo integrando l’orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte in ordine agli effetti della mancata osservanza della L. n. 241 del 1990, art. 3. 6.2.1. Con riferimento al mancato rispetto dell’art. 3 in argomento, a partire da Sez. Un. 18 maggio 2000, n. 362 (che riprende Cass. 4 giugno 1999, n. 5453) si è affermato il principio – coincidente con quanto ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, es. Cons. Stato Ad. Plen. 2001/00002 – secondo cui "La mancata osservanza della norma, dettata dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 4, in materia di procedimento amministrativo, che impone di indicare, "in ogni atto notificato al destinatario" l’autorità a cui è possibile ricorrere contro l’atto stesso e il relativo termine, non può considerarsi nè una mera irregolarità priva di ogni effetto, nè un’omissione che automaticamente rende il provvedimento impugnabile in ogni tempo;

deve ritenersi, infatti, che la violazione della disposizione in esame renda rilevante sul piano processuale l’eventuale scusabilità dell’errore in cui sia incorso il ricorrente".

In sostanza, il mancato rispetto dell’art. 3, non costituisce un vizio del provvedimento, con conseguente illegittimità dell’atto, bensì determina un errore scusabile in caso di eventuale impugnazione, ove questa sia stata proposta ad organo giurisdizionale incompetente o tardivamente.

In particolare, le Sezioni Unite – rilevata l’applicabilità della norma a tutti i procedimenti amministrativi e la sua rispondenza all’esigenza di trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione e di effettiva tutela del cittadino, che deve essere messo nella condizione di conoscere in concreto le modalità essenziali per l’esercizio tempestivo del diritto di impugnare l’atto amministrativo – hanno definito, superando precedenti orientamenti, gli effetti del mancato rispetto dello stesso nel senso suddetto.

Hanno ritenuto che non potesse trattarsi di una mera irregolarità, priva di qualsiasi effetto, perchè si farebbe venir meno l’obbligo della pubblica amministrazione e la tutela del cittadino, finendo per vanificare la legge. Che non potesse individuarsi una causa di invalidità dell’atto, o irregolarità, che impedisce il formarsi di preclusioni processuali, perchè tale interpretazione renderebbe tutti i provvedimenti della pubblica amministrazione, privi delle indicazioni previste dalla legge, incerti perchè impugnabili senza alcun termine.

Il principio si è consolidato in pronunce successive (Cass. 27 gennaio 2004, n. 1401; Cass. 16 maggio 2006, n. 11405; da ultimo Cass. 27 settembre 2011, n. 19675).

Le decisioni in cui la Corte si è pronunciata concernono in gran parte fattispecie in cui era stato adito un giudice, o tardivamente, o incompetente, in mancanza dei termini o in mancanza dell’indicazione del giudice competente nel provvedimento impugnato.

E sempre si è affermata la necessaria corrispondenza tra il tipo di irregolarità nell’atto impugnato e l’errore compiuto nell’impugnazione per poterlo ritenere scusabile.

6.2.2. Ritiene il Collegio che riconoscere rilevanza all’errore tutte e volte in cui, come nella specie, la parte – in mancanza di qualunque indicazione sui termini e sull’autorità competente nel provvedimento impugnabile -non sia rimasta inerte, ma si sia comunque attivata, anche se non si sia rivolta all’autorità giudiziaria ma all’autorità amministrativa che ha emanato il provvedimento incompleto, sia in linea di continuità con le precedenti pronunce della Corte, prima delineate. Si è, infatti, lontani dalla soluzione estrema, prima seguita in dottrina e giurisprudenza, che ricollegava all’invalidità dell’atto l’impedimento di preclusioni processuali, rendendo tutti i provvedimenti della P.A. incerti, perchè impugnabili senza alcun termine.

Si tratta, invece, di un ampliamento della rilevanza dell’errore rispetto all’autorità cui rivolgersi – amministrativa e non giudiziaria – per essere stato indotto dal totale mancato rispetto dell’art. 3 cit. da parte dell’amministrazione. Mancato rispetto che non può ritorcersi contro il destinatario dell’atto, risultando intaccato, altrimenti, l’affidamento che lo stesso ripone nel corretto operare dell’amministrazione e la stessa possibilità di tutela giurisdizionale, garantita dall’art. 24 Cost., tanto più nei casi, come quello in esame, in cui la difesa tecnica è una possibilità e non un obbligo.

6.2.3. In conclusione, il ricorso è accolto sulla base del seguente principio di diritto: la totale inosservanza della L. n. 241 del 1990, art. 3, da parte dell’Amministrazione, comporta il riconoscimento della scusabilità dell’errore in cui sia eventualmente incorso il destinatario nella individuazione della Autorità, amministrativa e non giudiziaria, cui rivolgersi per l’impugnazione dello stesso provvedimento, risultando altrimenti leso l’affidamento che il destinatario ripone nel corretto operare dell’amministrazione e la stessa possibilità di tutela giurisdizionale, garantita dall’art. 24 Cost.; conseguentemente, non potendo tale provvedimento essere ritenuto definitivo per omessa impugnazione giurisdizionale nei termini, nell’ipotesi in cui sia stato integrato dalla stessa Autorità con successivo provvedimento che, richiamando per il merito il precedente, lo integri con l’indicazione dei termini e dell’autorità presso cui impugnare, e l’impugnazione giurisdizionale avverso quest’ultimo sia stata tempestivamente proposta, l’impugnazione deve essere esaminata nel merito, considerando il secondo provvedimento integrativo del primo.

6.3. La decisione impugnata è cassata e la causa è rimessa al Consiglio Nazionale geometri e geometri laureati, che, in applicazione del principio suddetto, deciderà il merito dell’impugnazione giudicando della legittimità del primo provvedimento, integrato dal secondo con le indicazioni relative all’impugnazione.

6.4. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia al Consiglio Nazionale geometri e geometri laureati. Condanna il Collegio dei Geometri e geometri laureati della Provincia di Arezzo al pagamento in favore di M.G., delle spese processuali del giudizio di cassazione, pari a Euro 2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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