Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 29-03-2011) 27-09-2011, n. 34935 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 22 ottobre 2010 il Tribunale di Lecce, costituito ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di B.M. avverso l’ordinanza del G.i.p. dello stesso Tribunale del 20 settembre 2010, con la quale era stata respinta la richiesta di revoca della misura cautelare della custodia in carcere applicata il 7 settembre 2010 al medesimo, sottoposto a indagini in ordine al delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti del genere cocaina, hashish e marijuana, commesso in (OMISSIS) e provincia, accertato dall'(OMISSIS), e al delitto, in concorso e continuato, di acquisto, detenzione, trasporto e cessione delle stesse sostanze stupefacenti, commesso in (OMISSIS) e provincia dall'(OMISSIS).

1.2. Il Tribunale, dopo aver richiamato i principi affermati da questa Corte con riguardo agli elementi di individuazione, sul piano oggettivo e soggettivo, dell’associazione dedita al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, argomentava la decisione, ripercorrendo l’analisi della vicenda condotta con le ordinanze del G.i.p., e riteneva l’infondatezza della eccezione difensiva, circa la ricorrenza di una ipotesi di ne bis in idem, e delle deduzioni difensive, volte a contestare la sussistenza del quadro indiziario e delle esigenze cautelari, per essere specifici e gravi gli elementi indiziari circa la sussistenza delle fattispecie criminose oggetto di addebito e la loro riferibilità al condannato, e ricorrenti le esigenze cautelari.

1.3. L’ordinanza, in particolare, riteneva la presenza di gravi indizi in ordina alla esistenza di un sodalizio dedito al traffico di sostanze stupefacenti del genere cocaina, hashish e marijuana, organizzato stabilmente e diretto da S.G., detto "(OMISSIS)", con divisione di ruoli e dissimulazione del traffico illecito con riferimenti a beni e modi di fare di altra natura, e operante, nel territorio dei comuni di (OMISSIS), sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D.G.D. e dell’ampio riscontro derivato a dette propalazioni dalla condotta attività d’indagine: il contenuto delle conversazioni ambientali e telefoniche intercettate, i numerosi sequestri di quantitativi di sostanza stupefacente e l’arresto in flagranza di reato di buona parte degli adepti.

In tale contesto associativo, la prognosi di reità, con riferimento all’indagato, era fondata:

– sui ripetuti rapporti dallo stesso tenuti con S.G., risultanti dai contatti telefonici finalizzati alla compravendita di sostanza stupefacente e intercettati tra il mese di ottobre 2007 e il mese di gennaio 2008, e sui numerosi incontri tra i due e altri, sottoposti a indagini per lo stesso reato, presso l’abitazione di V.F., ritenuta base operativa del gruppo, o presso quella del S., o in luoghi esterni;

– sul ruolo di stretto collaboratore svolto dal B. in favore del S., sia nell’attività di vendita al minuto di sostanza stupefacente, sia nell’espletamento di varie incombenze (dal recupero crediti per precorse forniture alla sottoscrizione di pratica di finanziamento per l’acquisto di auto a lui non destinata, alla esecuzione degli ordini di trasporto della sostanza, al prestito della propria auto per gli spostamenti del predetto).

Il Tribunale evidenziava le specifiche emergenze con le date, gli orari e i servizi di ascolto e controllo svolti, fino all’arresto del B. avvenuto il (OMISSIS) quando lo stesso era stato trovato in possesso di Kg. 1,015 di hashish e oltre 42 grammi di cocaina mentre era con S.G. e V.F., nell’abitazione di proprietà di questi in (OMISSIS), nella quale erano stati rinvenuti ulteriori quantitativi di sostanza stupefacente e strumenti da taglio e confezionamento.

1.4. Le risultanze acquisite escludevano la fondatezza della eccezione del ne bis in idem, poichè la detenzione a fini di spaccio del (OMISSIS), per la quale il B. era stato condannato, non era compresa nella contestazione della condotta di detenzione a fini di spaccio di cui al capo 1) e la sua connessione con il reato associativo non equivaleva in alcun modo a identità degli elementi costitutivi del reato.

1.5. Quanto alle esigenze cautelari la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, applicabile nella specie in relazione al delitto contestato al capo h), non era travolta dalla emersione di elementi di segno contrario, e l’attualità e concretezza delle esigenze cautelari trovava conforto nella gravità e ripetitività delle condotte, anche a servizio di strutture criminali organizzate ed estese nei contatti e nelle relazioni, e nella sintomatica proclività al delitto.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, personalmente, B.M., che ne chiede l’annullamento sulla base di tre motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la carenza di motivazione, l’illegittimità e l’infondatezza dell’ordinanza e la violazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), degli artt. 15 e 84 cod. pen. e art. 649 cod. proc. pen., cui premette il "pregiudiziale, vibrato e collerico" rilievo della identità dei fatti con quelli per i quali è stato arrestato il (OMISSIS) e per i quali ha patteggiato la pena per sanare ogni pendenza.

Secondo il ricorrente, il Tribunale è incorso, nella specie, nella violazione del principio del ne bis in idem, volto a garantire all’imputato già condannato o assolto con sentenza definitiva, di non essere di nuovo processato per il medesimo fatto, e la cui applicabilità alle sentenze non ancora passate in giudicato ha formato oggetto del giudizio di questa Corte a sezioni unite con sentenza n. 34655 del 2005. Con detta sentenza è stato, in particolare, fissato il principio di diritto secondo cui, pur in mancanza di una sentenza irrevocabile, l’applicazione della preclusione processuale, fondata sul principio generale del ne bis in idem, che comporta la "declaratoria, nel secondo processo, della impromovibilità dell’azione penale, suppone che "due processi abbiano a oggetto il medesimo fatto attribuito alla stessa persona, siano stati instaurati a iniziativa dello stesso ufficio del pubblico ministero e siano devoluti, anche se in fasi o in gradi diversi, alla cognizione di giudici della stessa sede giudiziaria".

Ad avviso del ricorrente, già alla data della prima ordinanza di custodia cautelare in carcere, successiva all’arresto in flagranza del (OMISSIS), gli indizi di colpevolezza necessari e sufficienti per la contestazione del reato associativo erano noti ai Carabinieri, che avevano effettuato le indagini, ed erano in possesso del Pubblico Ministero, e non andava tralasciato quanto sancito da questa Corte con sentenza n. 21957 del 2005 in tema di desumibilità dagli atti degli elementi oggetto della seconda ordinanza, quanto alla retrodatazione della decorrenza della custodia cautelare.

La rimessione all’arbitrio del Pubblico Ministero della durata dei termini di custodia cautelare è, secondo il ricorrente, in contrasto con l’art. 13 Cost. e la certezza del diritto è minata dalla incertezza degli sviluppi delle attività investigative e della sorte del contestato delitto associativo, anche in relazione all’intervenuto patteggiamento per il delitto presupposto, costituito dalla detenzione, acquisto e cessione di sostanza stupefacente, e da considerarsi complesso ai sensi dell’art. 84 cod. pen..

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 272 e 273 cod. proc. pen. per essere state applicate due misure cautelari sul medesimo fatto presupposto, tale ritenuto anche dal Tribunale del riesame che ha ravvisato l’ipotesi della fattispecie connessa.

Con lo stesso motivo il ricorrente si duole della incongruenza della misura cautelare adottata, non ricorrendo il pericolo di inquinamento probatorio per essere i gravi indizi desunti da risalenti intercettazioni, nè quello di fuga avendo esso ricorrente beneficiato, senza rilievi, della misura alternativa concessa dal Tribunale di sorveglianza, nè quello di reiterazione del reato attesa la sua sottoposizione a rigoroso processo di reinserimento sociale, senza contatti con i presunti autori del fatto, tutti detenuti.

2.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 per essere stata rudimentale l’organizzazione dell’attività di spaccio e limitati i contatti del ricorrente con S.G..

Motivi della decisione

1. Si rileva, in via preliminare, che la richiesta di rinvio dell’udienza camerale non è esaminabile, perchè avanzata da difensore non iscritto nell’albo speciale di questa Corte, e quindi non abilitato al patrocinio di legittimità, mentre l’assistenza del ricorrente è garantita dalla intervenuta nomina del difensore di ufficio, destinatario di rituale notifica.

2. Il ricorso deve essere rigettato perchè basato su motivi infondati.

3. Quanto alla censura, svolta con il primo motivo, con la quale di denuncia la violazione del principio del ne bis in idem, si osserva che questa Corte ha costantemente affermato che detto principio generale, di cui sono espressione gli artt. 649 e 669 cod. proc. pen., al pari delle norme sui conflitti positivi di competenza (artt. 28 e ss. cod. proc. pen.), tende a evitare che per lo stesso fatto reato si svolgano più procedimenti contro la stessa persona e si emettano più provvedimenti l’uno indipendente dall’altro, e a porre rimedio alle violazioni del principio stesso (tra le altre, Sez. 6, n. 31512 del 25/02/2002, dep. 20/09/2002, P.M. in proc. Sulsenti, Rv.

222736; Sez. 1, n. 24017 del 30/04/2003, dep. 30/05/2003, Morteo, Rv.

225004).

Per l’effetto, non può essere nuovamente promossa l’azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già si sia definito con sentenza divenuta irrevocabile o sia pendente (anche se in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa dello stesso ufficio del P.M. In tali casi, nel procedimento eventualmente duplicato deve essere rilevata, nel primo caso, con sentenza la preclusione da precedente giudicato e deve essere disposta, nel secondo caso, l’archiviazione ovvero, se l’azione sia stata esercitata, rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità, conseguente alla preclusione determinata dalla consumazione del potere già esercitato dal P.M., restando, invece, le disposizioni sui conflitti positivi di competenza applicabili alle ipotesi di duplicazione del processo dinanzi a giudici di diverse sedi giudiziarie, uno dei quali sia incompetente (Sez. U, n. 34665 del 28/06/2005, dep. 28/09/2005, P.G. in proc. Donati e altro, Rv. 231800; Sez.5, n. 9180 del 29/01/2007, dep. 02/03/2007, Aloisio e altri, Rv. 236259; Sez. 1, n. 17789 del 10/04/2008, dep. 05/05/2008, Gesso, Rv. 239849; Sez. 4, n. 25640 del 21/05/2008, dep. 24/06/2008, P.M. in proc. Marella, Rv. 240783; Sez. 4, n. 48575 del 03/12/2009, dep. 18/12/2009, Bersani, Rv. 245740).

Ai fini della preclusione connessa al predetto principio, l’identità del fatte sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. U, n. 34655 del 28 giugno 2005, citata; Sez. 1, n. 19787 del 21/04/2006, dep. 09/06/2006, Marchesini, Rv. 234176; Sez. 2, n. 21035 del 18/04/2008, dep. 27/05/2008, Agate e altri, Rv. 240106; Sez. 5, n. 16703 del 11/12/2008, dep. 20/04/2009, Palanza e altri, Rv. 243330; Sez. 2, n. 26251 del 27/05/2010, dep. 09/07/2010, Rapisarda e altri, Rv. 247849;

Sez. 5, n. 28548 del 01/07/2010, dep. 20/07/2010, Carbognani, Rv.

247895).

3.1. Il Tribunale di Lecce, adeguandosi a tali principi, ha ritenuto non pertinente il riferimento fatto con l’impugnazione proposta all’ipotesi del ne bis in idem, poichè le imputazioni contestate al B. nel procedimento relativo all’episodio del (OMISSIS) della detenzione ai fini di spaccio di kg. 1,015 di hashish e di oltre gr. 42 di cocaina, e nel procedimento relativo all’inserimento del predetto in un contesto associativo finalizzato alla diffusione delle sostanze stupefacenti, nel quale non è stato ricompreso il predetto episodio, attengono non solo a "oggettività giuridiche diverse" ma anche a "fatti assolutamente differenti".

Il Tribunale ha osservato che, non essendovi nella specie identità tra gli elementi costitutivi del reato, non può parlarsi d’identità del fatto nella sua realtà storica e giuridica, e che altra cosa è la possibilità di ravvisare, alla presenza di determinati presupposti, un rapporto tra i reati oggetto del programma criminoso e quello associativo e gli estremi della connessione tra i medesimi.

La valutazione del giudice di merito è ragionevole, poichè la diversità tra i reati, oggetto dei due procedimenti, è stata affermata in ragione della corretta applicazione dei diversi parametri normativi di cui agli artt. 649 cod. proc. pen. e art. 81 cod. pen., traendone corrette conclusioni nella lettura degli elementi fattuali e nella loro analisi critica.

3.2. Le doglianze del ricorrente, che si richiamano ai principi affermati da questa Corte con sentenza Sez. U, n. 34655 del 2005, trascurando del tutto di verificare la congruità degli stessi al caso concreto e di correlare le deduzioni svolte alle argomentazioni dell’ordinanza impugnata, rispetto alle quali non hanno svolto specifiche censure, si presentano del tutto aspecifiche, sfociando – per la loro estraneità ai motivi consentiti con il ricorso per cassazione – nella inammissibilità ai termini dell’art. 606 c.p.p., comma 3. 4. Infondata è la censura, svolta con lo stesso primo motivo, con la quale si denuncia la violazione del principio della retrodatazione degli effetti della custodia cautelare disposta con la seconda ordinanza del 7 settembre 2010 alla data di esecuzione della prima ordinanza, conseguente all’arresto in flagranza del ricorrente per il fatto del (OMISSIS), sotto il profilo della disponibilità da parte del Pubblico Ministero, al momento della emissione della prima ordinanza di custodia cautelare, degli elementi necessari e sufficienti per la contestazione del reato associativo, attesa la già avvenuta acquisizione alla detta data delle intercettazioni telefoniche poste a fondamento della seconda ordinanza, e sotto il profilo della violazione dell’art. 13 Cost., conseguente alla rimessione all’arbitrio del Pubblico Ministero della durata dei termini di custodia cautelare anche dopo la già intervenuta applicazione della pena su richiesta per il delitto presupposto del medesimo tenore.

4.1. Il Tribunale ha ritenuto che la paventata incostituzionalità dei termini di custodia cautelare, in applicazione dello stesso principio del ne bis in idem, non poteva trovare ingresso, e tale rilievo è coerente con la rilevata esclusione della identità del fatto di reato, postulata dall’art. 297 c.p.p., comma 3.

Nè il ricorrente, che assume in questa sede la disponibilità da parte del Pubblico Ministero degli elementi posti a fondamento della seconda misura già alla data della emissione della prima ordinanza, ha provato, nè prima ancora dedotto, di avere indicato al giudice di merito i dati fattuali probativi dell’affermata disponibilità e della idoneità degli stessi, in modo conforme agli arresti delle decisioni di questa Corte a sezioni unite (Sez. U, n. 21957 del 22 marzo 2005, dep. 10/06/2005, P.M. in proc. Rahulia e altri, Rv.

231057, 231058 e 231059; Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 10/04/2007, Librato, Rv. 235911), a giustificare l’adozione della misura cautelare, riferita al momento valutativo, risultante dal tempo obiettivamente occorrente al pubblico ministero per una lettura ponderata del materiale e per mettere in rapporto un determinato dato con le altre risultanze investigative, alla luce della loro attinenza non solo alla singola posizione dell’indagato, ma all’esistenza e all’operatività dell’intera associazione per delinquere (Sez. 2, n. 11133 del 12/12/2008, dep. 13/03/2009, Macri, Rv. 243421; Sez. 5, n. 2724 del 04/11/2009, dep. 21/01/2010, Fracasso, Rv. 2459; Sez. 6, n. 49326 del 21/12/2009, dep. 22/12/2009, Amicuzi, Rv. 245423, e, da ultimo, Sez. 1, n. 12906 del 17/03/2010, dep. 07/04/2010, Cava, Rv.

246839).

5. Destituito di fondamento è il secondo motivo nella parte in cui si assume che le due misure cautelari applicate nei due procedimenti hanno lo stesso presupposto, costituito dalla violazione degli artt. 110 e 81 cod. pen. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e che l’identità del fatto è indubbia, avendo lo stesso Tribunale ravvisato l’ipotesi della fattispecie connessa.

E sufficiente al riguardo richiamare quanto già rilevato in ordine alla diversità dei reati oggetto dei due procedimenti e osservare che la connessione, cui ha fatto riferimento il Tribunale, è quella che può ravvisarsi, in presenza di determinati presupposti, tra i medesimi reati, diversa dalla identità del fatto nella sua realtà storica e giuridica.

5.1. Anche sotto il profilo delle esigenze cautelari, il ricorso appare censurare una corretta motivazione del giudice dell’appello che le ha esaminate in rapporto alla presunzione iuris tantum, fissata dall’art. 275, cod, proc. pen. dettato in tema di criteri di scelta delle misure cautelari da applicare, non superata da elementi di segno contrario offerti dalla difesa, e avendo riguardo, in concreto, alla gravità e ripetitività delle condotte, tenute anche a servizio di strutture criminali organizzate con contatti e referenti estesi nel territorio salentino, e alla pericolosità dell’indagato, valutata in rapporto alla "rudimentale organizzazione dell’attività di spaccio, tesa anche a eludere eventuali controlli", al "perdurante collegamento con l’ambiente criminale cui tale attività è necessariamente connessa", alla "diffusione dell’attività illecita" e alla sua "stabilità nel tempo".

Le censure mosse dal ricorrente, non correlate all’ordinanza e alle ragioni nella stessa argomentate nella parte in cui contestano la ricorrenza dei pericoli di inquinamento probatorio e di fuga, deducono un generico e indimostrato percorso di reinserimento sociale, la cui incidenza positiva sul pericolo di recidivanza, logicamente argomentato dal Tribunale, non è neppure dedotta.

6. Infondato è, infine, l’ultimo motivo, con il quale si assume la violazione della norma che prevede la fattispecie delittuosa associativa per essere rudimentale l’organizzazione dell’attività di spaccio e limitati i contatti del ricorrente con S.G..

6.1. Nella giurisprudenza di questa Corte è stato chiarito che l’appartenenza di un soggetto a un sodalizio criminoso richiede, oltre all’accertamento dell’esistenza dell’associazione, che suppone – senza la necessità di una distinzione precisa di ruoli – l’accordo di almeno tre persone per commettere più delitti, la verifica del ruolo in essa svolto dal soggetto stesso e delle modalità delle azioni da lui eseguite, tali da porre in rilievo la sussistenza di un vincolo continuativo tra il predetto e l’associazione, la consapevolezza del primo di far parte della seconda e di fornire un valido apporto al perseguimento del programma criminale duraturo, per la cui realizzazione è richiesta la predisposizione di una struttura anche rudimentale con i mezzi necessari per il perseguimento delle finalità illecite (tra le altre, Sez. 1, n. 34043 del 22/09/2006, dep. 11/10/2006, D’Attis, Rv., 234800).

Anche per la configurabilità dell’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, prevista dal D.P.R. n. 309 de 1990, art. 74 che si caratterizza, rispetto a quella prevista in via generale dall’art. 416 cod. pen., dalla sua particolare finalizzazione alla commissione di più delitti fra quelli previsti dall’art. 73 del detto D.P.R., non è richiesta la presenza di una complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, bastando l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, create per concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo consapevole dei singoli associati (tra le altre, Sez. 1, n. 34043 del 22/09/2006, dep. 11/10/2006, D’Attis, Rv. 234800; Sez. 1, n. 1849 del 09/12/2008, dep. 19/01/2009, Cucchiarelli, Rv. 242726;

Sez. 1, n. 4967 del 22/12/2009, dep. 08/02/2010, Galioto, Rv.

246112).

Sono ritenute condotte agevolative dello svolgimento dell’attività criminosa dell’associazione e apporto causale volontario al raggiungimento del fine del profitto perseguito dalla stessa anche la disponibilità costante del singolo all’acquisto delle sostanze stupefacenti, di cui l’associazione fa traffico, e l’attività di vendita delle stesse ai consumatori, avvalendosi consapevolmente e continuativamente delle risorse dell’organizzazione e con la coscienza di farne parte (tra le altre, Sez. 5, n. 10077 del 23/09/1997, dep. 10/01/1997, Bruciati e altri, Rv. 208822; Sez. 6, n. 15740 del 18/03/2003, dep. 03/04/2003, Madaffari, Rv. 226813; Sez. 6, n. 41717 del 06/11/2006, dep. 20/12/2006, Geraci, R. 235589; Sez. 6, n. 1174 del 19/11/207, dep. 10/01/2008, Stabile, Rv. 238403; Sez. 6, n. 44102 del 21/10/2008, dep. 26/11/2008, Cannizzo, Rv. 42397).

6.2. Il Tribunale, esattamente interpretando le norme applicate alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, e dando conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua e logica, ha ritenuto il ricorrente partecipe a un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti facente capo a S.G., sulla base di elementi specifici risultanti dagli atti.

E’ stato, in particolare, evidenziato che i dati fattuali rappresentati dai ripetuti rapporti tenuti dal ricorrente con S. G., riscontrati dal contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate, e dagli incontri tra gli stessi e altri soggetti, riscontrati dai servizi di osservazione e controllo, svolti anche presso l’abitazione di V.F., ritenuta base operativa del gruppo, hanno integrato, alla luce anche delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D.G.D., una grave piattaforma indiziaria della sussistenza della contestata associazione per delinquere, la cui operatività, dissimulata dal ricorso a linguaggio criptico, era territorialmente estesa e organizzata con divisione di ruoli, e hanno consentito di individuare il ruolo svolto dal ricorrente in seno al sodalizio, quale stretto collaboratore del S. sia nell’attività di vendita al minuto di sostanza stupefacente, sia nell’espletamento di varie e delicate incombenze (recupero crediti per precorse forniture di sostanza stupefacente, sottoscrizione di pratica di finanziamento per l’acquisto di auto, esecuzione degli ordini di trasporto della sostanza, prestito della propria auto).

A fronte dell’articolato giudizio espresso dal Tribunale, il ricorrente ha opposto doglianze di merito attinenti alla insufficienza e alla inidoneità degli elementi indiziari, che propongono una generica e infondata diversa lettura della vicenda processuale, coerentemente ed esaustivamente esaminata nell’ordinanza impugnata.

7. Il ricorso, essendo infondato in ogni sua deduzione, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

La Cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento del Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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