Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 29-03-2011) 27-09-2011, n. 34933

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 4 ottobre 2010 il Tribunale di Catania, costituito ex art. 309 cod. proc. pen., confermava il provvedimento con il quale veniva applicata la misura cautelare della custodia in carcere confronti di L.F. emesso dal Gip dello stesso tribunale, in data 5.9.2010, in relazione al reato di concorso nella tentata estorsione, aggravata ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e sequestro di persona in danno di A.A..

2. Evidenziava il tribunale che risultava accertato e sostanzialmente incontestato anche dagli indagati che: Am.An. aveva ceduto all’ A. le quote sodali della Catania New Town in cambio dell’assunzione dei debiti della società (stimati secondo la parte lesa in Euro 70.000 e secondo l’ Am. in un ammontare superiore); che l’ A. si era rifiutato di pagare i debiti risultati superiori a quanto stimato all’atto della cessione; che falliti alcuni tentativi di trovare una soluzione della controversia, erano intervenuti, su mandato dell’ Am., il B., il L. ed il G. che si sarebbero dovuti occupare di trovare un accordo.

Tanto premesso, quindi, nell’ordinanza impugnata gli indizi a carico del L., e degli altri indagati, venivano desunti dalle dichiarazioni della persona offesa che riferiva: della partecipazione del L. all’episodio verificatosi sotto l’abitazione di N.P. dove l’ A. era stato prelevato con la forza da circa dieci persone e condotto in un garage in cui l’ Am. con tono minaccioso gli aveva chiesto di consegnargli la somma di Euro 135.000; della presenza del predetto anche ad altri due incontri successivi. Quanto riferito dall’ A. trovava, peraltro, conforto nelle circostanze emerse dalle conversazioni intercettate sulle utenze messe sotto controllo sia dell’ A. che degli indagati.

Quanto alla qualificazione giuridica, il tribunale riteneva configurabile il reato di tentata estorsione e non piuttosto quello di esercizio arbitrario.

Riteneva, altresì, configurabile l’aggravante contestata di cui al d.l. n. 152 del 1991, art. 7 sotto il profilo dell’utilizzazione del metodo mafiose, sulla base delle suddette circostanze, della natura delle pressioni e delle "indiscutibili vicinanze degli indagati con ambienti criminali", indicando sul punto le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Ba.Ig..

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, il L. proponendo tre distinti motivi di ricorso.

2. 1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, con riferimento all’art. 273 cod. proc. pen., non essendo emersi dagli atti di indagine elementi idonei a configurare i gravi indizi a carico del ricorrente in ordine ai reati in contestazione; il L., infatti, non ha partecipato a nessuna delle azioni intimidatorie in danno dell’ A. verificatesi successivamente ai suoi interventi che erano del tutto in buona fede;

nè dalle Intercettazioni emergono riferimenti al ricorrente e, comunque, nulla si dice con riferimento al suo coinvolgimento nei fatti.

2.2. In secondo luogo il L. contesta la configurabilità, alla luce di quanto emerso in atti, del reato di tentata estorsione dovendosi ritenere al più la sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

2.3. Il terzo motivo censura per violazione di legge e vizio di motivazione l’impugnata ordinanza avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

Motivi della decisione

1. La prospettazione secondo la quale il ricorrente aveva partecipato in assoluta buona fede soltanto a quelli che dovevano ritenersi tentativi di accordo bonario tra le parti e non alle condotte intimidatorie in danno dell’ A. pone una valutazione in fatto ed una sostanziale rilettura delle circostanze di fatto non consentita in questa sede.

Di contro, il tribunale ha ritenuto sussistente la gravità indiziaria sulla base di valutazioni ancorate alle emergenze del procedimento: in particolare, la partecipazione del L. all’episodio verificatosi sotto l’abitazione di N.P. dove l’ A. era stato prelevato con la forza da circa dieci persone e condotto in un garage In cui l’ Am. con tono minaccioso gli aveva chiesto di consegnargli la somma di Euro 135.000; nonchè, la presenza del predetto anche ad altri due incontri successivi.

Il tribunale, quindi, evidenziava come non fosse discutibile il contributo del L. alla vicenda che non poteva dirsi contraddetto dalla certificazione prodotta dalla difesa relativa all’avvenuto ricovero della moglie in data precedente ad alcuni degli incontri nè dalla rivendicata innocenza e buona fede da parte del predetto come risultava dai colloqui in carcere con la moglie registrati a sua insaputa.

2. Nell’ordinanza impugnata si fa richiamo espresso all’orientamento di questa Corte secondo il quale se è vero che il discrimine tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni risiede nell’elemento intenzionale, peraltro, quando la minaccia si estrinseca in forme tali che vanno al di là di ogni ragionevole intento di far valere un diritto, la coartazione dell’altrui volontà risulta finalizzata a conseguire un profitto che assume in se i caratteri dell’ingiustizia (Sez. 6, n. 41365, 28/10/2010, Straface, rv. 248736). Il tribunale, quindi, ha fatto corretta applicazione dei principi richiamati – che il Collegio condivide – laddove ritiene configurabile nella specie il reato di tentata estorsione e non piuttosto quello di esercizio arbitrario evidenziando: l’assoluta incertezza sul credito dell’ Am. e, comunque, sull’ammontare dello stesso; le modalità dei tentativi di riscossione ed il contesto In cui erano state formulate le richieste, le pressioni esercitate, il concorso di numerose persone. Tale discorso giustificativo, esente da vizi di coerenza e logicità, non viene contraddetto da alcun argomento utile dal ricorrente che sul punto si limita a dedurre in maniera generica la mancata verifica della sussistenza dell’elemento psicologico del reato di tentata estorsione.

All’infondatezza dei predetti motivi di ricorso consegue il rigetto.

3. Quanto, invece, alle censure mosse dal ricorrente in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 va ricordato che la stessa, nella forma in specie ritenuta, ricorre quando l’agente, pur senza essere partecipe o concorrere in reati associativi, pone in essere una condotta idonea ad esercitare una particolare coartazione psicologica con i caratteri propri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale mafiosa.

Pur non essendo necessario in detta ipotesi che l’associazione mafiosa, costituente il logico presupposto della più grave condotta dell’agente, sia in concreto precisamente delineata, essa deve essere quanto meno presumibile nel senso che la condotta stessa, per le modalità che la distinguono, sia comunque tale da evocare nel soggetto passivo l’esistenza di consorterie e sodalizi amplificatori della valenza criminale del reato commesso.

La motivazione dell’ordinanza impugnata sul punto, invero, non risulta ancorata a circostanze di fatto emerse dal procedimento oggettivamente valutabili. Infatti, viene fatto riferimento genericamente alla natura delle pressioni esercitate senza che ne siano indicate le caratteristiche da cui si possano desumere i presupposti innanzi indicati; si assumono "indiscutibili vicinanze degli Indagati con ambienti criminali" di cui non viene dato conto;

si richiamano le dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia, tale Ba.Ig. il cui contenuto non viene indicato neppure in estrema sintesi.

Si impone, conseguentemente, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, limitatamente all’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di Catania.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’aggravante di cui all’art. 7 legge 203 del 1991 e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Catania.

Rigetta nel resto il ricorso.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., , comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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