Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 15-03-2011) 27-09-2011, n. 34926

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 25.2.2010 il Tribunale di Cagliari convalidava l’arresto di J.R.L. eseguito dalla polizia della Questura di Cagliari il 24.2.2010 in relazione al reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13 comma 13, T.U. imm.;

disponeva, altresì, l’immediata liberazione dell’arrestato con il nulla osta all’espulsione ritenendone sussistenti i presupposti.

2. Ha proposto ricorso per cassazione J.R.L., a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di ricorso.

2. 1. Con il promo motivo deduce la violazione di legge in mancanza dei presupposti per la convalida dell’arresto, ricorrendo nella specie il divieto di cui all’art. 385 cod. proc. pen..

Precisato il concetto di "apparenza" indicato nella citata norma, alla luce degli arresti della giurisprudenza di questa Corte, il ricorrente afferma che ricorreva nella fattispecie "l’esercizio di una legittima facoltà". Infatti, dagli atti e da quanto riferito all’udienza di convalida dalla polizia procedente, risultava che J.R.L. si era recato immediatamente prima dell’arresto presso l’ufficio immigrazione della Questura di Cagliari per presentare istanza di permesso di soggiorno per motivi di lavoro, dopo avere ottenuto in data 10.2.2009 il visto d’ingresso all’esito di regolare procedura prevista dal D.P.R. n. 394 del 1999, art. 5 con il quale, dunque, in assoluta buona fede era rientrato nel territorio italiano.

Rileva, altresì, l’ultronea affermazione del giudice della convalida laddove indica che l’arrestato era rientrato in Italia con generalità parzialmente diverse da quelle contenute nei provvedimenti di espulsione e di allontanamento emessi nei suoi confronti nel 2006, quasi che si ritenesse il ricorrente consapevole di avere utilizzato generalità diverse, laddove, invece era evidente che le generalità Indicate nei richiamati provvedimenti di espulsione ed allontanamento contenevano un errore materiale.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge in ordine al rilascio da parte del giudice della convalida del nulla osta all’espulsione amministrativa.

2.3. Infine, censura l’ordinanza di convalida dell’arresto per vizio di motivazione non avendo il giudice fornito alcuna spiegazione in ordine alle suddette censure che erano state dedotte già nel corso dell’udienza di convalida e non essendo la motivazione del provvedimento di convalida impugnato – che per gran parte rinvia al contenuto del verbale della p.g. – ancorata alle circostanze che emergevano dagli atti ma, piuttosto in contraddizione con esse.

Con la memoria depositata il 3.3.2011 il ricorrente ribadisce le censure indicate in ricorso replicando alle conclusioni contenute nella requisitoria scritta del Procuratore generale.

Motivi della decisione

Tutti i motivi di ricorso sono manifestamente infondati con conseguente declaratoria di inammissibilità.

E’ noto che l’accertamento che il giudice è chiamato ad effettuare in sede di convalida dell’arresto non è limitato ad un mero riscontro in ordine alla sussistenza dei presupposti formali della misura, dovendosi necessariamente estendere alla verifica circa le relative condizioni di legittimità (presupposti dell’arresto, la configurabilità (non solo astratta) del reato e la sua attribuibilità alla persona arrestata, nonchè i termini cui risulta condizionata l’efficacia della misura).

Peraltro, secondo un consolidato orientamento di legittimità il controllo del giudice della convalida in ordine ai presupposti richiesti dalla legge per la privazione dello status libertatis non può esorbitare da una verifica di ragionevolezza rispetto all’operato della polizia giudiziaria, alla quale è istituzionalmente attribuita una sfera discrezionale nell’apprezzamento dei presupposti stessi (Sez. 1, n. 4429, 14/01/2009, El Ahdal, rv. 242798; Sez. 4, il dicembre 2002, Fiorenza;

Sez. 4, 29 settembre 2000, Mateas Ion).

Tanto premesso, in ordine alla dedotta sussistenza del divieto di cui all’art. 385 cod. proc. pen. deve escludersi che in specie ricorra l’esercizio di una legittima facoltà, atteso che divieto di ingresso nel territorio dello Stato da parte dello straniero espulso non può essere superato – e scriminato – dal visto di ingresso, sia esso acquisito legittimante o meno, ai sensi dell’art. 4, comma 6 cit.

T.U. imm..

Priva di alcun pregio è la censura relativa alla affermazione del giudice della convalida laddove indica che l’arrestato era rientrato in Italia con generalità parzialmente diverse da quelle contenute nei provvedimenti di espulsione e di allontanamento emessi nei suoi confronti nel 2006, trattandosi, all’evidenza, di indicazione finalizzata a chiarire l’esatta identificazione dell’arrestato e la circostanza della precedente espulsione.

Inammissibile è il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione dell’art. 13, comma 3-bis, cit. T.U. imm. in ordine al nulla osta all’espulsione amministrativa. Infatti, "il provvedimento con il quale l’autorità giudiziaria concede il nulla-osta all’espulsione amministrativa dello straniero non sottoposto a custodia cautelare in carcere, a norma del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 3, non è autonomamente impugnabile, sia per il principio di tassatività delle Impugnazioni, sia per la sua funzione meramente accessoria rispetto al decreto di espulsione, verso cui vanno indirizzate le eventuali doglianze dello straniero interessato (Sez. 1, n. 26650, 26/06/2008, Lamsanes, rv. 240878).

Alla luce di quanto sin qui precisato, deve ritenersi manifestamente Infondata, altresì, le doglianze – in parte generiche – relative al vizio di motivazione dell’ordinanza di convalida impugnata, avendo il giudice fatto corretta applicazione delle disposizioni di legge e del potere-dovere di controllo dei presupposti dell’arresto e dell’operato della p.g..

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna per legge del ricorrente, al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla cassa delle ammende, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa, di una somma, congruamente determinabile in Euro 500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 500,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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