Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-02-2012, n. 1917 CE Formazione professionale Fonti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p.1. Il Presidente della Repubblica, la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero della Salute, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno proposto ricorso per cassazione, iscritto al n.r.g. 4060 del 2010, contro A.C. R., + ALTRI OMESSI .

Il ricorso è stato proposto contro la sentenza del 9 dicembre 2009, con la quale la Corte d’Appello di Roma, provvedendo sull’appello principale degli intimati, nonchè sull’appello incidentale delle amministrazioni ricorrenti ha parzialmente riformato quanto alla loro posizione la sentenza resa in primo grado nel maggio del 2005 dal Tribunale di Roma nella controversia – a suo tempo introdotta dagli intimati e da altri soggetti, alcuni dei quali hanno proposto impugnazione separata in questa sede ed altri no, tutti medici specializzatisi a seguito della frequenza dei relativi corsi di specializzazione – per ottenere la corresponsione anche a titolo risarcitorio delle spettanze previste dalle direttive comunitarie CEE 75/362/CEE e 82/76/CEE, rimaste inadempiute a far tempo dal 31 dicembre 1982. p.2. La sentenza di primo grado aveva rigettato le domande dei medici e la Corte territoriale, con la sentenza qui impugnata, per quanto ancora interessa, dopo avere preso atto e condiviso l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, di cui alla sentenza n. 9147 del 2009 in punto di qualificazione della pretesa dei ricorrenti ed avere, quindi, affermato, conforme ad esso, la sua soggezione al termine di prescrizione decennale, ha individuato il dies a quo di tale termine, "considerate le modalità di frazionamento delle competenze in funzione di ogni anno accademico frequentato" dai medici, nell’inizio di ciascun anno di corso svolto nei dieci anni anteriori alla proposizione della domanda giudiziale, avvenuta il 12 settembre 2001 o, per coloro che avevano fatto diffide stragiudiziali anteriormente, dal momento del loro invio, cioè dal 14 luglio 2001.

Su queste premesse ha riconosciuto il risarcimento ai ventidue medici intimati, parametrandolo in via equitativa all’importo del compenso annuale di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, che aveva tardivamente attuato le direttive ed ha riconosciuto ai detti medici importi distinti nei limiti in cui non era maturata per ciascuno la prescrizione.

Ha invece confermato il rigetto della domanda per gli altri medici diversi dagli intimati motivandolo con l’intervenuta prescrizione, salvo che per tre di essi, per i quali ha dato rilievo alla mancata dimostrazione della frequenza dei corsi. p.3. Al su indicato ricorso contro questa sentenza tutti gli intimati, ad eccezione di R.A., hanno resistito con congiunto controricorso nel quale hanno svolto ricorso incidentale.

Avverso tale ricorso incidentale i ricorrenti principali hanno proposto controricorso. p.4. Contro la stessa sentenza della Corte capitolina hanno proposto contro le amministrazioni su indicate separato ricorso principale, iscritto al n.r.g. 5229 del 2010, i medici C.M., + ALTRI OMESSI .

Riguardo ad essi la sentenza impugnata ha rigettato l’appello e, quindi, la domanda integralmente.

Al ricorso hanno resistito con controricorso le amministrazioni intimate. p.5. A sua volta altro ricorso in via principale è stato proposto da B.G., anch’egli soccombente totale in appello.

A questo ricorso hanno resistito con controricorso le amministrazioni intimate. p.6. E’ stata depositata congiunta memoria dai ricorrenti del ricorso n. 5529 del 2010, dai resistenti e ricorrenti incidentali nel ricorso n. 4060 del 2010 e dal ricorrente B..

Motivi della decisione

p.1. Preliminarmente si rileva che il ricorso incidentale proposto in seno a quello principale iscritto al n.r.g. 4060 del 2010 va trattato unitamente a quest’ultimo. Inoltre, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., vanno riuniti ad esso il ricorso proposto successivamente in via principale, iscritto al n.r. 5529 del 2010, nonchè quello proposto dal B.. p.1.1. Sempre in via preliminare va rilevato che i tre ricorsi proposti separatamente in via principale non risultano notificati a tutte le parti nei cui confronti è stata pronunciata la sentenza impugnata, cioè, per quanto riguarda il ricorso n. 4060 agli altri medici diversi dagli intimati, per quanto attiene al ricorso n. 5529 a quelli diversi dai ricorrenti di quel ricorso e, per il ricorso del B. a tutti gli altri medici.

Essendo le domande proposte da ciascuno dei medici collegate secondo un nesso liti sconsortile iniziale facoltativo ed essendo rimasto in sede di gravame il litisconsorzio scindibile, la notifica si sarebbe dovuta fare ai sensi dell’art. 332 c.p.c.. Peraltro, non occorre provvedere a quanto prevede tale norma, giacchè risulta ormai preclusa l’impugnazione da parte dei medici pretermessi in sede di notifica di ciascun ricorso, che non risultano aver proposto ricorso a loro volta o – come nel caso del R. – che erano destinatari di un ricorso e, quindi, avevano l’onere di proporre l’impugnazione in via incidentale. p.1.2. Ancora in via preliminare dev’essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dal B., prospettata dalle amministrazioni resistenti sotto il profilo ch’esso sarebbe tardivo.

L’assunto non è esplicitato se non con l’asserto, inidoneo a questo scopo, che "il ricorso principale delle Amministrazioni è stato notificato in data 8-2-2010 ed il ricorso incidentale notificato il 2- 3-2010". E’ comunque privo di fondamento: poichè nè il ricorso principale iscritto al n. 4060 del 2010 delle Amministrazioni, nè quello incidentale dei medici in seno ad esso proposto sono stati notificati al B., per il medesimo operava il termine cd. lungo, che appare ampiamente rispettato. p.2. Con il primo motivo del ricorso iscritto al n.r.g. 4060 del 2010 le Amministrazioni ricorrenti prospettano "violazione degli artt. 1173 – 2043 -2934 – 2935 – 2946 2947 c.c., degli artt. 5 e 189 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, dell’art. 16 della Direttiva CEE 82/76, nonchè dei principi in materia di decorrenza della prescrizione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Difetto di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5".

Vi si censura, in buona sostanza, la sentenza impugnata là dove, sulla premessa dell’applicazione della qualificazione della pretesa dei medici alla stregua di Cass. sez. un. n. 9147 del 2009, ha fatto decorrere il termine di prescrizione dall’inizio di ciascun anno di corso svolto nei dieci anni anteriori alla proposizione della domanda giudiziale o alla diffida stragiudiziale e si sostiene, invece, che il dies a quo della prescrizione – non individuato dalle Sezioni Unite nella citata sentenza – dovrebbe individuarsi nel 31 dicembre 1982, data di scadenza del termine entro il quale lo Stato Italiano avrebbe dovuto adempiere le note direttive. p.2.1. Con il secondo motivo del ricorso iscritto al n. 4060 del 2010 si deduce "violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 e dei principi in materia di responsabilità per atto lecito e di liquidazione del relativo risarcimento (artt. 1173, 1176, 1186, 1218, 1219 e 1224 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3", nonchè "diretto di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5".

Vi si censura la sentenza impugnata, perchè, pur avendo dato rilievo alla qualificazione della pretesa dei resistenti e dell’intimato nei termini di cui a Cass. sez. un. n. 9147 del 2009, avrebbe poi liquidato le somme loro spettanti parametrandole a quanto riconosciuto dal D.Lgs. n. 257 del 1991, senza considerare che quella decisione, qualificando detta pretesa in termini di responsabilità contrattuale, aveva riconosciuto dovuto un indennizzo, nel presupposto che nell’ordinamento interno l’inerzia statuale non determinasse un illecito ma fosse un’attività lecita. Si assume, quindi, che il dovuto avrebbe dovuto liquidarsi ai sensi dell’art. 1226 c.c., ma non commisurarsi all’importo annuale riconosciuto dal detto D.Lgs. per coloro che avevano beneficiato dell’attuazione delle note direttive. p.2.2. Con il terzo motivo dell’indicato ricorso si lamenta "violazione e falsa applicazione degli artt. 1173, 1176, 1186, 1218, 1219, 1224 e 1277 c.p.c. nella parte in cui sono stati liquidati interessi e rivalutazione monetaria sulla somma dovuta a decorrere dalla data dei fatti illeciti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".

Vi si contesta con una prima censura la sentenza impugnata là dove ha riconosciuto gli interessi sulle somme annualmente rivalutate, ritenendo il credito di valore. Si cita Cass. n. 21640 del 2005 invocando invece l’applicazione del principio della spettanza degli interessi soltanto dal momento della sentenza.

Con una seconda censura si lamenta che, trattandosi di obbligazione indennitaria da atto lecito, gli interessi erano dovuti solo dalla mora ai sensi dell’art. 1219 c.c., cioè o dalle diffide stragiudiziali o dagli atti introduttivi del giudizio.

Sotto un terzo aspetto e nella logica dell’obbligazione di valuta, erroneo sarebbe il cumulo fra rivalutazione monetaria ed interessi:

la prima non sarebbe dovuta perchè indimostrata quanto ai presupposti di spettanza (vengono citate Cass. sez. un. n. 19499 del 2008 e Cass. n. 23670 del 2006). p.3. Con il primo motivo del ricorso incidentale proposto nell’ambito del ricorso iscritto al n.r.g. 4060 del 2010 si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 "violazione e falsa applicazione dei principi di diritto comunitario sanciti agli artt. 10, 43 e 57, art. 249, comma 3, del Trattato CE, dell’art. 10 Cost., nonchè dei precetti contenuti agli artt. 2934 e 2935 c.c., in relazione all’interpretazione vincolante delle sentenze della Corte di Giustizia CEE 25 febbraio 1999 causa C-131/97, Corte di Giustizia del 3 ottobre 2000 causa C-371/97, Corte di Giustizia del 25 giugno 1991 causa C-208/90, caso EMMOT. Contraddittoria ed insufficiente motivazione".

Il motivo è relativo alle posizioni dei resistenti e ricorrenti incidentali B., + ALTRI OMESSI e, sulla base di ampie argomentazioni che ripercorrono la vicenda dell’inadempimento del diritto comunitario rilevante in causa, si duole che la Corte territoriale, in relazione a dette posizioni abbia escluso per l’intervenuta prescrizione la spettanza del risarcimento per i titoli di specializzazione conseguiti dai predetti medici anteriormente al 1991 prima del conseguimento dell’altro titolo di specializzazione rispetto al quale invece sono state riconosciute spettanze con il limite della prescrizione decennale e con l’individuazione del dies a quo o dalla domanda giudiziale o dalla diffida stragiudiziale. p.3.1. Con il secondo motivo del detto ricorso incidentale si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 1 e 5. "violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2945 c.c., in relazione all’art. 2946 c.c.. Contraddittoria motivazione".

Il motivo è relativo questa volta alla posizione di tutti i resistenti e ricorrenti incidentali e, particolarmente, per quelli cui si riferisce il primo motivo, riguarda i titoli di specializzazione conseguiti dopo il 1991, per i quali sempre con il limite dell’operare della prescrizione decennale la domanda è stata parzialmente accolta.

Vi si sostiene che erroneamente la Corte territoriale avrebbe rigettato la domanda per gli anni di specializzazione conclusi anteriormente ai dieci anni prima della domanda giudiziale o della diffida stragiudiziale. In tal modo la sentenza impugnata non avrebbe considerato che il danno si sarebbe manifestato per i ricorrenti anche in relazione a detti anni soltanto con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, che aveva evidenziato l’inadempimento statuale quanto alle loro posizioni per quegli anni. Si sostiene, quindi, che la sentenza impugnata dovrebbe essere riformata nella parte in cui non ha riconosciuto l’esistenza del danno anche per quegli anni. p.4. Con il primo motivo del ricorso iscritto al n.r.g. 5529 del 2010 si deduce con identiche argomentazioni – quanto alla posizione dei ricorrenti, riguardo ai quali la Corte territoriale ha rigettato integralmente la domanda per l’intervenuta prescrizione della loro pretesa in quanto ricollegata a corsi di specializzazione seguiti totalmente anteriormente al 1991, nel presupposto che il termine di prescrizione decennale fatto decorrere da ciascun anno di corso fosse decorso o al momento della domanda giudiziale o al momento della diffida stragiudiziale – la stessa censura svolta con il primo motivo del ricorso incidentale sopra riferito. p.4.1. Con il secondo motivo dell’indicato ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, "violazione e falsa applicazione degli artt. 2943, 2945, 2946 c.c., in relazione all’art. 112 c.p.c.. Contraddittoria ed insufficiente motivazione. Errores in procedendo con riferimento specifico alle posizioni dei Dott.ri C. e Ca.".

Vi si sostiene, con una prima censura, nel presupposto che trovasse applicazione la prescrizione decennale e che quest’ultima non potesse che essere decorsa dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, che erroneamente la Corte capitolina abbia escluso il risarcimento per i ricorrenti C. e Ca., ancorchè essi avessero conseguito la specializzazione il primo l’8 novembre 1991 e la seconda il 13 novembre 1996 ed avessero interrotto la prescrizione comunque con la diffida del 14 luglio 2001, evocata dalla stessa sentenza impugnata.

Con una seconda censura, relativa alla posizione degli altri ricorrenti, si sostiene che la prescrizione decennale, in ipotesi applicabile, sarebbe dovuta decorrere non da ciascun anno di corso, bensì dall’esaurimento del corso, che genericamente si dice da loro terminato prima del 1991 e si argomenta – ma, per la verità senza svolgere la relativa attività esplicativa – che la lettera di diffida de qua avrebbe interrotto il termine prescrizionale. p.4.2. Con il terzo motivo del detto ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, "insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio per avere la corte d’Appello di Roma … insufficientemente ed illogicamente motivato sulle domande pregiudiziali di rimessione della controversia alla Corte costituzionale".

In esso ci si duole che la sentenza impugnata abbia ritenuto irrilevante la questione di costituzionalità del D.Lgs. n. 368 del 1999 nella parte in cui, abrogando il D.Lgs. n. 257 del 1991 aveva lasciato priva di tutela la posizione dei medici specializzandi in condizione simile a quella dei ricorrenti, nonchè l’ulteriore questione di costituzionalità della L. n. 370 del 1999 per avere previsto spettanze solo per alcuni medici specializzandi. p.4.3. Con il quarto motivo si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. "Violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 43 e 57, 234 di Trattato CE, della direttiva CEE 93/16 CEE in relazione all’interpretazione vincolante della sentenza della Corte di Giustizia del 25 febbraio 1999 C-131/97 (Carbonari) punti 42 e 43, in relazione alle domande pregiudiziali di rimessione della questione alla Corte di Giustizia CE. Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La Corte d’appello di Roma ha insufficientemente ed illogicamente motivato sulle domande pregiudiziali di rimessione della controversia alla Corte di Giustizia CE". p.5. Con il primo motivo del ricorso B. si prospetta una censura identica a quella del primo motivo del ricorso incidentale proposto in seno al ricorso n. 4060 del 2010. p.5.1. Con il secondo motivo di detto ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, nn. 1 e 5, "violazione e falsa applicazione dell’art. 2947 del codice civile, nonchè degli artt. 43 e 57 del Trattato CEE, in relazione alla sentenza della Corte di Giustizia CE del 25/02/1999 causa C-131/97. Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio:

erronea individuazione ed applicazione al caso del dies a quo del termine decennale di prescrizione".

Vi si prospettando due gradate censure.

La prima è nel senso che il termine di prescrizione decennale della pretesa del ricorrente, ove operante, dovesse decorrere dal momento della pubblicazione della sentenza della corte di Giustizia CE 25 febbraio 1999, resa sulla causa C-131/97 (Carbonari).

La seconda è nel senso che il termine prescrizione dovesse decorrere dal 31 agosto 1991, cioè dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991.

La conseguenza sarebbe che erroneamente la Corte avrebbe ritenuto prescritto il diritto del B., nel secondo caso tenuto conto che vi era stata una lettera di diffida in data 10 luglio 2001. p.5.2. Con il terzo e quarto motivo si denunciano vizi identici al terzo e quarto motivo del ricorso n. 5529 del 2010. p.6. Venendo allo scrutinio dei motivi dei quattro ricorsi si procede anzitutto all’esame della quaestio iuris posta con il primo motivo del ricorso principale iscritto al n. 4060 del 2010, con l’immediata avvertenza che l’esito di esso sarà decisivo anche per l’esame degli altri ricorsi, cioè sia di quello incidentale proposto nell’ambio di esso, sia degli altri due ricorsi principali, atteso che anche i motivi proposti da tali ricorsi hanno ad oggetto, per un verso la medesima quaestio e le sue conseguenti implicazioni e, per altro verso, risentono della soluzione ad essa data anche agli effetti delle ulteriori e gradate questioni che alcuni di essi pongono p.6.1. Il primo motivo del ricorso iscritto al n.r.g. 4060 del 2010 è ammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, al contrario di quanto infondatamente sostengono i resistenti. p.6.1.1. Prima di darne conto è da rilevare che il motivo è anche ammissibile sotto il profilo della cd. autosufficienza (ma meglio si sarebbe dovuto evocare l’art. 366 c.p.c., n. 6, che del relativo principio costituisce il precipitato normativo), che i resistenti, invece, asseriscono gradatamente violato, perchè la quaestio iuris che esso pone è scrutinabile senza che abbiano rilievo le circostanze relative alle varie posizioni dei ricorrenti incidentali (e dell’intimato R.) riguardo alla data di inizio e di fine di ciascun corso di perfezionamento, delle quali si imputa alle ricorrenti principali di non aver fornito indicazione. p.6.1.1. Venendo all’aspetto dell’eccezione di inammissibilità alla stregua dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, si osserva che essa è priva di fondamento, perchè il motivo chiede alla Corte di enunciare un principio di diritto, che non può essere in contrasto con quanto affermato da Cass. sez. un. n. 9147 del 2009: ciò, per l’assorbente ragione che le Sezoni Unite sul dies a quo della prescrizione decennale, ritenuta applicabile a pretese come quelle dei resistenti, non avevano preso posizione.

Questa Corte ebbe modo di rilevarlo espressamente con le sentenze (sostanzialmente gemelle) nn. 10813, 10814, 10815 e 10816 del 2011 alle quali è sufficiente rimandare. p.6.2. Nel contempo è proprio in quelle sentenze, dopo avere ribadito la qualificazione proposta dalle Sezioni Unite, che questa Corte si è fatta carico del problema di individuazione del dies a quo ed ha affermato una serie di principi di diritto, che ha successivamente ribadito con le altre sentenze pronunciate su questioni simili nella stessa udienza del 18 aprile 2011 e depositate successivamente ad esse, nonchè in ulteriori decisioni pronunciate all’esito di udienze successive.

In particolare, nelle dette decisioni si è anzitutto inteso dare continuità all’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte circa la natura dell’azione esercitata per pretese come quella del ricorrente e circa il termine di prescrizione applicabile. Tale insegnamento si è espresso – va ricordato – nel seguente principio di diritto: "In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto – anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria – allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno. Ne consegue che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all’adempimento di una obbligazione ex lege riconducibile all’area della responsabilità contrattuale, all’ordinario termine decennale di prescrizione".

Le citate sentenze gemelle, facendosi carico delle critiche rivolte alle Sezioni Unite quanto a detta qualificazione, hanno precisato che "il concetto di responsabilità contrattuale è stato usato dalle Sezioni Unite palesemente nel senso non già di responsabilità che suppone un contratto, ma nel senso – comune alla dottrina in contrapposizione all’obbligazione da illecito extracontrattuale – di responsabilità che nasce dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, considerato dall’ordinamento interno, per come esso deve atteggiarsi secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, come fonte dell’obbligo risarcitorio, secondo la prospettiva scritta nell’art. 1173 c.c.". p.6.2.1. In secondo luogo, sulla base di un’ampia ricognizione dell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria a partire dalla invocata sentenza sul caso E. (ivi compresa quella sulla causa C-445/06, considerata dalla sentenza impugnata come determinativa del suo superamento) si sono affermati i seguenti principi di diritto:

"la giurisprudenza della Corte di Giustizia, in tema di azione risarcitoria di diritto interno, da inadempimento di direttiva sufficientemente specifica nell’attribuire ai singoli diritti, ma non self-executing, evidenzia conclusioni certe nel senso: a) la regolamentazione delle modalità, anche quoad termini di decadenza o prescrizione, dell’azione risarcitoria da inadempimento di direttiva attributiva di diritti ai singoli compete agli ordinamenti interni;

b) in mancanza di apposita disciplina da parte degli Stati membri, che dev’essere ispirata ai principi di equivalenza ed effettività, il giudice nazionale può ricercare analogicamente la regolamentazione dell’azione, ivi compresi eventuali termini di decadenza o prescrizione, in discipline di azioni già regolate dall’ordinamento, purchè esse rispettino i principi suddetti e, particolarmente, non rendano impossibile o eccessivamente gravosa l’azione; c) l’applicazione di un termine di prescrizione che così ne risulti, cioè che derivi dal riferimento che il giudice nazionale fa ad una disciplina interna regolamentante altra azione, è possibile comunque solo se essa può considerarsi sufficientemente prevedibile da parte dei soggetti interessati, dovendo, dunque, il giudice nazionale procedere necessariamente a tale apprezzamento; d) l’eventuale termine di prescrizione può decorrere anche prima della corretta trasposizione della direttiva nell’ordinamento nazionale, se il danno, anche solo in parte (è questo il significato del riferimento ai "primi effetti lesivi" contenuto nella sentenza nella sentenza Danske Slagterier) per questo soggetto si è verificato anteriormente; e) l’applicazione del termine di prescrizione decennale, della quale sopra si è data giustificazione, ove sia apprezzata sotto il profilo della prevedibilità da parte dei soggetti interessati, appare prevedibile, tenuto conto che il termine di prescrizione decennale (di cui all’art. 2946 c.c.) è quello generale e certamente più favorevole rispetto ai termini speciali, più brevi. Risponde, quindi, al principio comunitario di effettività.". p.6.3. Dev’essere, poi, rilevato che questa Corte, con la sentenza n. 17868 del 2011, deliberata sempre nella udienza del 18 aprile 2011 e depositata il 31 agosto successivo, ha precisato, altresì, che la ricostruzione dello stato della giurisprudenza comunitaria fatta dalle citate sentenze gemelle risultava conforme a quanto, successivamente al loro deposito, aveva deliberato la Corte di Giustizia con la sentenza 19 maggio 2011, resa sulla causa C-452, su un rinvio pregiudiziale operato dal Tribunale di Firenze (e considerato dalla dette sentenze, le quali avevano escluso, invece, ch’esso fosse necessario ed erano state, peraltro, depositate senza che le parti avessero fatto presente l’imminenza della discussione davanti a quella Corte il 19 maggio 2011 ed in situazione nella quale nel sito della Corte di Giustizia non risultava all’epoca della camera di consiglio e del deposito delle decisioni la calendarizzazione dell’udienza).

A sua volta Cass. n. 25993 del 2011 ha precisato, scrutinando eccezione della difesa erariale in analoga controversia che è infondato l’assunto (adombrato anche da parte della dottrina) secondo cui la citata sentenza comunitaria avrebbe contraddetto le argomentazioni della giurisprudenza inaugurata dalle sentenze gemelle: la sentenza comunitaria si è occupata, infatti, solo di ribadire che cosa la giurisprudenza comunitaria dispone in punto di obblighi del legislatore degli Stati membri in punto di applicazione di regime prescrizionali o decadenziali che interferiscano sulle pretese basate sul diritto comunitario rimasto inadempiuto. E lo ha fatto ribadendo i risultati esegetici cui erano pervenute le sentenze gemelle.

Queste ultime (sono sempre considerazioni di Cass. n. 25993 del 2011) hanno, poi, ricostruito il regime prescrizionale della pretesa risarcitoria sulla base del diritto interno, sul quale la giurisprudenza comunitaria anche nell’ultima decisione non si è espressa in alcun modo, esulando il problema dalla sua giurisdizione, che pertiene – com’è noto – solo alla individuazione della compatibilità del diritto interno con l’ordinamento comunitario. Ed è palese che nella specie la ricostruzione operata dalle sentenze gemelle del regime interno di prescrizione dell’azione come individuata dalle Sezioni Unite non si pone in alcun modo in contrasto con il diritto comunitario, del quale è anzi diretta a preservare l’osservanza da parte del nostro ordinamento ed a garantirne massimamente l’effettività.

Sempre la sentenza da ultimo citata ha discusso l’ulteriore eccezione della difesa erariale che adombrava un contrasto della qualificazione dell’azione – operata dalle Sezioni Unite e ribadita, anche con gli argomenti esplicativi sopra ricordati, dalle sentenze gemelle – con una in realtà inesistente qualificazione in termini di illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c. che sarebbe stata operata dalla giurisprudenza comunitaria. L’assunto è stato considerato privo di fondamento sul rilievo che non si comprende come il riferimento delle detta giurisprudenza all’obbligo statuale di risarcimento del danno possa essere inteso in ambito di ordinamento interno come una scelta a favore di una certa qualificazione normativa, quale quella della lex aquilia, piuttosto che di un’altra. L’individuazione della collocazione nel diritto interno dell’azione risarcitoria compete, infatti, ai giudici di diritto interno sulla base della normativa vigente in mancanza di apposito intervento del legislatore oppure appunto al legislatore, che bene può disciplinare specificamene l’azione. Dopo di che il problema, in termini di rispetto del diritto comunitario, è solo quello del se la disciplina ritenuta applicabile dal giudice interno o individuata dal legislatore consenta il ristoro dell’obbligo risarei torio previsto dal diritto comunitario in nuce con la sentenza Francovich e, come adombrato dalle sentenze gemelle, in realtà definito soltanto dalla sentenza sul caso Brasserie du Pescheur.

Per tali ragioni la citata Cass. n. 25993 del 2011 ritenne priva di fondamento la richiesta di reinvestire le Sezioni Unite della questione (e ciò non senza avere osservato che la richiesta era disciplinata dagli artt. 374 e 376 c.p.c. ed andava rivolta al Primo Presidente).

Ancora meno fondata venne ritenuta la richiesta stessa in quanto motivata sul rilievo che due sentenze del Tribunale di Roma non si sarebbero conformate "sulla base di un approfondito excursus della giurisprudenza comunitaria" alla giurisprudenza inaugurata dalle sentenze gemelle: al riguardo questa sezione ritenne – sempre nella citata sentenza – sufficiente rimandare alla lettura dell’art. 65 dell’Ordinamento Giudiziario.

In fine non si mancò di rilevare che le sentenze gemelle si erano fatte carico della giurisprudenza delle sezioni Semplici successiva alla sentenza delle Sezioni Unite. p.6.4. Ora, il problema della individuazione del dies a quo del termine prescrizionale dell’azione qualificata nei sopra ricordati termini nelle citate sentenze gemelle era stato risolto da esse con l’affermazione del seguente principio di diritto: "il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, insorto a favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica negli anni dal 1 gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991 in condizioni tali che se detta direttiva fosse stata adempiuta avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, art. 11".

Successivamente, questa Corte con la citata sentenza n. 25993 del 2011 ed anche con quella di poco anteriore n. 24816 del 2011, a precisazione del riportato principio ha, altresì, chiarito che esso è applicabile anche agli specializzandi che, avendo iniziato il corso di specializzazione in anni fino all’anno accademico 1990-1991, non potevano vedere la loro situazione disciplinata dal D.Lgs. n. 257 del 1991, ancorchè parte del corso fosse stato seguito sotto la sua vigenza. Infatti, ai sensi dell’art. 8, comma 2, di tale D.Lgs. le disposizioni di cui all’art. 6 di esso, che aveva attuato tardivamente il diritto comunitario in parte qua le disposizioni del decreto si applicavano a decorrere dall’anno accademico 1991-92, il che comportava che esse fossero applicabili soltanto agli specializzandi che avessero iniziato il corso di specializzazione a decorrere dall’anno accademico de quo e non anche, sia pure per il periodo successivo all’entrata in vigore del D.Lgs., a coloro che avessero iniziato la specializzazione prima di quell’anno accademico e non l’avessero ancora terminata. In pratica, si è osservato nelle dette sentenza si è statuito che la situazione di costoro rimase priva di disciplina statuale attuativa del diritto comunitario non diversamente da quella degli specializzandi che avessero frequentato corsi terminati nell’anno accademico 1990-1991.

Si è, quindi, riespresso il principio di diritto che viene in rilievo riguardo all’annosa vicenda degli specializzando in questi termini, comprensivi anche del caso degli specializzandi cd. "a cavallo", cioè che, avendo iniziato la specializzazione prima dell’intervento del D.Lgs. n. 257 del 1991, l’avessero terminata quando esso era già entrato in vigore: "il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, insorto a favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati negli anni dal 1 gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991 in condizioni tali che se detta direttiva fosse stata adempiuta avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, art. 11". p.6.4.1. L’applicazione di tale principio di diritto a questo punto comporta la palese infondatezza del primo motivo del ricorso n. 4060 del 2010, là dove postula un’individuazione del dies a quo del termine di prescrizione dalla scadenza del termine di recepimento, non senza che debba osservarsi che nella motivazione delle sentenze gemelle venne espressamente disattesa questa opzione interpretativa (intrinsecamente illogica – in disparte gli argomenti con cui è stato affermato il principio di diritto sopra ricordato – per chi non avesse iniziato il corso di specializzazione dal 1 gennaio 1983, in quanto postulava il decorso della prescrizione a far tempo addirittura da un momento anteriore all’insorgenza della situazione di fatto che, se le direttive fossero state attuate, avrebbe potuto dar luogo ai diritti da essa previsti). p.6.5. Tuttavia, a questo punto il Collegio deve farsi carico d’ufficio, trattandosi di quaestio iuris il cui esame non comporta accertamenti di fatto e che non è (e non può essere) preclusa da alcun giudicato interno, di una sopravvenienza normativa rispetto alla proposizione del ricorso e valutare se essa incida sulla validità del principio di diritto in quanto applicabile alle vicende oggetto della controversia.

Con la L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 43, (Legge di stabilità 2012, ex legge finanziaria), approvata in via definitiva dal Parlamento il 12 novembre 2011 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale 14 novembre 2011, n. 265, infatti, è stato disposto che "La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comuni tari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all’art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato".

Ai sensi dell’art. 36 della stessa legge la norma è entrata in vigore il 1 gennaio 2012.

In sentenze pubblicate successivamente alla pubblicazione della legge e, quindi, all’entrata nell’ordinamento come mera disposizione della norma, questa Sezione ha ritenuto implicitamente inopportuno darsi carico della sopravvenienza – previa riconvocazione dei Collegi – proprio perchè essa non era vigente.

Sopravvenuta la sua vigenza occorre ora farsene carico. p.6.5.1. Il Collegio ritiene che essa, operando solo per l’avvenire, secondo il criterio generale fissato dall’art. 12 preleggi, e, quindi potendo spiegare la sua efficacia rispetto ai fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore, risulta irrilevante nel presente giudizio, come nei giudizi similari. Infatti, essendo il suo oggetto di disciplina la regolamentazione della prescrizione del diritto al risarcimento del danno, derivante da mancato recepimento di normative comunitarie cogenti e dal verificarsi in capo ad un soggetto di un fatto che, se fosse stata attuata la direttiva, avrebbe dato al soggetto il diritto da essa previsto, la norma potrà disciplinare soltanto la prescrizione di diritti di tal genere insorti successivamente alla sua entrata in vigore e, quindi, derivanti da fattispecie di mancato recepimento verificatesi dopo di essa e non da fattispecie di mancato recepimento verificatesi anteriormente. Con la conseguenza che non può regolare in via sopravvenuta il diritto al risarcimento del danno da mancato recepimento, oggetto del presente giudizio, posto che esso concerne un mancato recepimento verificatosi ben prima.

Non v’è alcuna espressione nella norma, d’altro canto, che consenta di ritenere che l’oggetto di disciplina riguardi anche termini di prescrizione di diritti del genere indicato già sorti ed ancora non consumati, o per mancata decorrenza del termine di prescrizione originario o, nel caso di interruzione di esso o di quelli successivi, per pendenza di un termine successivo, nonchè termini di prescrizione non consumati alla stregua della disciplina applicabile precedentemente (come nella fattispecie) e che, invece, risulterebbero consumati alla stregua della nuova.

Sotto il primo aspetto la norma non reca alcun indice che evidenzi la sua direzione alla disciplina dei termini di prescrizione originari successivi ancora in corso, perchè la norma avrebbe dovuto disporre – se del caso in aggiunta alla sua previsione, che è diretta ad individuare la prescrizione e, quindi, il decorso del tempo dalla nascita – riguardo ai termini di prescrizione pendenti ed all’uopo avrebbe dovuto contenere elementi testuali idonei ad evidenziare l’assunzione come oggetto di disciplina anche di essi.

Sotto il secondo aspetto, che è quello che rileverebbe nel caso in esame, come nelle vicende similari, la disposizione avrebbe dovuto contenere espressioni dirette ad evidenziare il suo carattere espressamente retroattivo oppure auto qualificarsi, expressis verbis o in via indiretta attraverso indici testuali all’uopo idonei, come interpretativa.

Ed in questo caso, si sarebbe, peraltro, posto il problema della costituzionalità di una individuazione della prescrizione applicabile addirittura successiva al decorso del termine di prescrizione originario delle situazioni di cui trattasi, ormai compiutosi il 27 ottobre 2009 secondo il sistema normativo precedente, pur evidenziato all’esito di una complessa vicenda giurisprudenziale (e, peraltro, quoad durata del termine da una pronuncia delle Sezioni Unite risalente ad oltre due anni fa). p.6.5.2. E’ da avvertire che un indice linguistico idoneo ad evidenziare la natura retroattiva o interpretativa (e, quindi, parimenti retroattiva, com’è nella natura della norma effettivamente interpretativa) non può essere ravvisato nell’uso dell’espressione "in ogni caso", perchè essa non è nè idonea ad evidenziare una volontà legislativa derogatoria del principio per cui la legge provvede per l’avvenire, se il legislatore non dispone diversamente, nè tanto meno una volontà interpretativa.

Sotto il primo aspetto l’espressione non partecipa alla funzione di individuare l’oggetto di disciplina della norma quoad tempus, essendo esso definito dall’espressione "La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari". Detta espressione, invece, essendo inserita dopo il verbo che esprime la vis normativa della soggezione all’art. 2947 c.c. ed essendo il riferimento a tale soggezione, in ragione del riferimento di essa all’azione di risarcimento del danno da fatto illecito, necessariamente ad una disposizione che ha come oggetto di disciplina un’azione di tale natura, è diretta a suggerire all’interprete che la soggezione ha luogo indipendentemente dalla qualificazione del relativo diritto negli stessi termini. p.6.5.3. Va ancora rimarcato che le situazioni come quelle di cui è processo, riguardo alle quali il diritto è stato già esercitato con l’azione in giudizio, al momento dell’entrata in vigore della legge, non sono situazioni rispetto alle quali il diritto debba essere esercitato, ma situazioni nelle quali il diritto lo è già stato ed essendosi verificato l’effetto interruttivo cd. permanente (scilicet sospensione) del termine prescrizionale risultante dalla legge del momento di introduzione del giudizio, il termine di prescrizione non correva al 1 dicembre 2012 e nemmeno doveva e poteva iniziare, atteso che era interrotto. Onde, sarebbe occorsa un’espressione linguistica idonea a rivelare l’intentio legis di disciplinare anche tali situazioni in via necessariamente retroattiva, cioè sovrapponendo il nuovo termine a quello a suo tempo interrotto dalla domanda giudiziale e risultante dalla disciplina legislativa pregressa.

Per mera completezza ed in ipotesi denegata, se anche sorgesse il dubbio che l’espressione sia polisenso, cioè si presti ad assumere sia questo significato sia quello di implicare la retroattività o il carattere interpretativo della norma, l’interprete dovrebbe concludere a favore della prima opzione, perchè il carattere retroattivo o interpretativo di una norma non tollera ambiguità. p.6.5.4. Va ancora aggiunto, sempre per completezza, un ulteriore rilievo.

Qualora la materia del mutamento da parte del legislatore del termine di prescrizione di un determinato diritto si reputasse soggetta, in assenza di contraria volontà del legislatore, da un principio generale dell’ordinamento che si volesse ravvisare esistente sulla base del secondo comma dell’alt. 12 preleggi e che si individuasse nella norma di diritto transitorio temporibus illis introdotta dal legislatore all’atto dell’entrata in vigore del codice civile, cioè l’art. 252 disp. att. e disp. trans., le conclusioni raggiunte nel senso dell’ininfluenza della norma sopravvenuta nel presente giudizio non muterebbero.

Infatti, quella norma lasciò immutati i termini di prescrizione in relazione ad atti di esercizio di diritti avvenuti secondo la previgente disciplina e si preoccupò soltanto di somministrare un criterio per gli atti di esercizio di diritti sorti anteriormente all’entrata in vigore del codice ma non ancora esercitati, imponendo che il termine per il loro esercizio, se stabilito in misura più breve rispetto al passato ed eventualmente ancora in corso, decorresse dalle date di entrata in vigore delle varie parti del codice.

Applicando il criterio al caso di specie si avrebbe allora che la nuova norma sarebbe applicabile ad atti di esercizio di diritti come quelli oggetto di causa che avessero determinato l’interruzione del corso della prescrizione nei termini ricostruiti dalla giurisprudenza di questa Corte e che ancora, in situazione di mancato decorso del termine decennale di prescrizione, fossero esercitabili dopo la sua entrata in vigore. In questo caso il termine quinquennale di cui al comma 1, art. 2947 decorrerebbe dal 1 gennaio 2012.

E’ palese che non si tratta e non si potrebbe trattare delle situazioni oggetto di esercizio in giudizio in fieri, come quelle di cui è processo, riguardo alle quali il termine operante secondo la disciplina anteriore è rimasto sospeso per l’effetto interruttivo permanente determinato dall’esercizio dell’azione giudiziale. p.6.6. Giusta le svolte considerazioni il primo motivo del ricorso principale iscritto al n. 4060 è rigettato per l’assorbente ragione che l’ipotesi ricostruttiva del dies a quo della prescrizione proposta dalle amministrazioni ricorrenti è infondata alla luce degli sviluppi della giurisprudenza di questa Corte a partire dalle sentenze gemelle. p.6.7. Il rilievo di questa giurisprudenza comporta a questo punto le seguenti conseguenze sugli altri tre ricorsi:

a) il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale proposto in seno a quello n. 4060 del 2010 vanno accolti per quanto di ragione, cioè con il dare rilievo alle conseguenze della qualificazione dell’azione – pur ritenuta dalla sentenza impugnata – in punto di dies a quo del termine prescrizionale delle pretese risarcitorie nei termini risultanti dalla giurisprudenza inaugurata dalle sentenze gemelle, di modo che ai resistenti e ricorrenti incidentali andrà riconosciuto il risarcimento del danno (nei limiti in cui esso competerà all’esito dello scrutinio degli altri due motivi del ricorso principale) anche per gli anni di corso di specializzazione conclusi prima dell’inizio del decorso del termine prescrizionale erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata, che è, dunque, cassata sul punto, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma, la quale, nell’individuare il dies a quo del corso della prescrizione lo considererà iniziato dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, art. 11, in ossequio al principio di diritto sopra ricordato, con la conseguenza che la prescrizione non risulterà maturata con riferimento ad alcuno degli anni di corso di specializzazione seguiti dai predetti. b) per ragioni analoghe sono accolti per quanto di ragione i primi due motivi del ricorso iscritto al n.r.g. 5529 del 2010 e la sentenza va cassata anche con riguardo ai ricorrenti di tale ricorso, con la conseguenza che rispetto alle loro domande il giudice di rinvio si conformerà al criterio di individuazione del dies a quo indicato al punto precedente, considerando, pertanto, le pretese risarcitorie dei ricorrenti di detto ricorso non prescritte all’atto della proposizione della domanda giudiziale, stante il su indicato momento di decorso della prescrizione, sempre che ciascuno degli specializzandi abbia seguito il corso nei termini indicati nel principio di diritto fissato in chiusura del paragrafo 6.4.;

b1) il terzo ed il quarto motivo del ricorso n. 5529 del 2010 restano assorbiti, perchè, in forza dell’applicazione del ricordato principio di diritto restano irrilevanti le questioni sollevate con detti motivi (ivi compresa quella di rinvio pregiudiziale, giusta le considerazioni al riguardo svolte dalle sentenze gemelle);

c) il primo ed il secondo motivo del ricorso B. meritano le stesse considerazioni ed il loro esame comporta le stesse conseguenze individuate sopra sub b);

ci) il terzo ed il quarto motivo del ricorso B. restano assorbiti Parimenti per le ragioni indicate sopra sub b1). p.7. Deve procedersi a questo punto all’esame del secondo e del terzo motivo del ricorso n. 4060 del 2010. p.7.1. Il secondo motivo è fondato.

Esso riguarda la misura del risarcimento dovuto agli specializzandi. p.7.2. Le ragioni di fondatezza sono le seguenti.

Va rilevato che, con riferimento a una fattispecie nella quale il giudice si merito aveva ritenuto direttamente estensibile la disciplina della legge n. 370 del 1999 agli specializzandi da essa non contemplati, venutisi a trovare in condizioni tali che se le note direttive fossero state adempiute, avrebbero potuto beneficiare del riconoscimento di una remunerazione per lo svolgimento del corso di specializzazione in condizioni conformi a quanto imposto dal diritto comunitario, questa Sezione ha già avuto modo di affermare il seguente principio di diritto: "In tema di corresponsione di borse di studio agli specializzandi medici ammessi alle scuole negli anni 1983- 1991, la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, pone delle condizioni dettagliate per il riconoscimento del relativo diritto, coerenti con le corrispondenti disposizioni delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, così da doversi applicare retroattivamente a tutti coloro che si sono trovati nella situazione contemplata dal medesimo art. 11, in quanto la più idonea al raggiungimento dello scopo di attuare le citate direttive a far tempo dalla scadenza del termine dato allo Stato per la relativa trasposizione (nella specie, 31 dicembre 1982).

Non trova, invece, giustificazione, alla luce del diritto comunitario, la limitazione del riconoscimento operata dallo stesso art. 11 in favore dei destinatati delle sentenze passate in giudicato emesse dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sicchè, sotto questo specifico profilo, la disciplina è disapplicabile, in quanto essa subordina il riconoscimento, in ambito interno, di un diritto attribuito ai singoli da direttive comunitarie a condizioni (quella di aver adito l’autorità giudiziaria ed aver ottenuto una sentenza favorevole addirittura ancor prima dell’emanazione della legge di trasposizione) non contemplate da tali direttive" (Cass. n. 17682 del 2011).

Successivamente, sempre questa Sezione, scrutinando questa volta un ricorso che si innestava su uno svolgimento del giudizio di merito che aveva visto atteggiarsi la pretesa dei medici specializzandi sub specie risarcitoria, ha affermato che "In tema di risarcimento dei danni, per la mancata tempestiva trasposizione delle direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE (in materia di adeguata remunerazione della formazione dei medici specializzandi), in favore dei medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all’anno 1991, la relativa liquidazione non può che avvenire sul piano equitativo, secondo canoni di parità di trattamento per situazioni analoghe, dovendo utilizzarsi come parametro di riferimento le indicazioni contenute nella L. 19 ottobre 1999, n. 370, con cui lo Stato italiano ha proceduto ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo nei confronti di tutte le categorie astratte in relazione alle quali, dopo il 31 dicembre 1982, si erano potute verificare le condizioni fattuali idonee all’acquisizione dei diritti previsti dalle citate direttive comunitarie e che non risultano considerate nel D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257" (Cass. n. 23275 del 2011).

Come si vede il punto di approdo della individuazione del criterio di liquidazione del danno nell’uno e nell’altro caso è stato il medesimo, cioè il riferimento agli importi indicati dalla L. n. 370 del 1999. p.7.2.1. A questo approdo il Collegio intende dare continuità e farne affermazione in linea generale sulla base dei seguenti rilievi, che si riferiscono alla pretesa risarcitoria che individui il danno non solo nella mancata consecuzione della adeguata remunerazione, ma anche sotto altri possibili profili derivanti dall’inidoneità del diploma sul piano comunitario.

Punto di partenza dev’essere la constatazione che, giusta la costruzione della fattispecie risarcitoria nei sensi indicati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 9147 del 2009, il diritto al risarcimento del danno, spettante agli specializzandi in relazione alla perdita della remunerazione e degli altri vantaggi che essi avrebbero potuto conseguire per il caso che la normativa comunitaria fosse stata adempiuta e fosse stata loro assicurata la possibilità di seguire corsi conformi ad essa, ha natura di credito di valore, sia pure originante da responsabilità contrattuale (nel senso specificato dalle sentenze gemelle).

La giurisprudenza di questa Sezione nelle sentenze gemelle ha, come si è visto, riconosciuto che fino all’emanazione della legge n. 370 del 1999 l’obbligo risarcitorio, pur insorto con riguardo alle posizioni dei singoli che si erano venuti a trovare nella condizione di fatto che avrebbe dato diritto al beneficio ricollegato all’attuazione delle direttive, si era connotato come un obbligo di natura permanente fino al momento dell’entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, con la conseguenza che il corso della prescrizione non era iniziato prima di quel momento.

In ordine al momento di insorgenza dell’obbligo risarcitorio, sempre le dette sentenze avevano sottolineato che esso si doveva rinvenire, peraltro, non già con riferimento al momento di verificazione della situazione di fatto che a direttive adempiute avrebbe giustificato la corresponsione della remunerazione e la consecuzione degli altri vantaggi, bensì solo dal momento della sopravvenienza della nota sentenza comunitaria sul caso Francovich.

Le sentenze gemelle, infatti, avevano sottolineato quanto segue: "il dictum della sentenza (poi ribadito qualche anno dopo dalla sentenza Brasserie du Pecheur), attesa l’efficacia vincolante nell’ordinamento interno della decisioni della Corte di Giustizia in guisa sostanziale di una vera e propria fonte del diritto oggettivo, ha avuto l’efficacia di introdurre nell’ordinamento italiano (come in buona sostanza hanno affermato le Sezioni Unite) una particolare fonte di obbligazioni risarcitorie, il cui fatto costitutivo è l’inadempienza ad una direttiva di quel contenuto. Ne deriva che solo dalla pubblicazione della sentenza Francovich le situazioni fattuali degli specializzandi che avevano conseguito il diploma dopo il 31 dicembre 1982 a seguito di un corso che, in base alle note direttive avrebbe giustificato l’attribuzione dei diritti da esse previste, sono state giuridifìcate nel nostro ordinamento come idonee a giustificare l’obbligo risarcitorio. L’assunto, naturalmente, vale per qualsiasi ipotesi di inadempienza a direttive di contenuto sufficientemente specifico nell’attribuzione di diritti da giustificare l’obbligo risarcitorio, verificatasi anteriormente alla sentenza Francovich.

… Potrebbe addirittura sostenersi che, essendosi la giurisprudenza comunitaria definitivamente assestata, dopo l’irruzione della sentenza Francovich nei suoi esatti termini soltanto con la sentenza Brasserie du Pecheur, come non manca di rilevare la dottrina quando deve individuare i caratteri dell’obbligo risarcitorio, addirittura solo dalla data di quella sentenza l’obbligo sia insorto nell’ordinamento italiano …. Il diritto degli specializzandi, infatti, si potrebbe dire sorto addirittura soltanto dall’ottobre del 1996".

Ora, sopravenuta la legge n. 370 del 1999, si è verificata nell’ordinamento, secondo la giurisprudenza inaugurata dalle sentenze gemelle, innanzitutto una situazione nella quale la permanenza dell’obbligo risarcitorio de quo è venuta a cessare, perchè come si rilevò in esse fu chiaro che lo Stato, riconoscendo un risarcimento a taluni specializzandi, appartenenti alle categorie riguardo alle quali non aveva operato la tardiva attuazione delle direttive solo de futuro di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, palesò che non vi sarebbe stato più un adempimento spontaneo e che, pertanto, la situazione di inadempimento era diventata ormai stabile. L’obbligo risarcitorio cessò di essere qualificabile come permanente e divenne un obbligo risarcitorio ormai nella sostanza definitivamente inadempiuto.

Tuttavia la L. n. 370 del 1999 si caratterizzò anche ulteriormente come un intervento del legislatore italiano che, per i soggetti contemplati, sulla sola condizione dell’essere beneficiari di taluni giudicati, procedette alla quantificazione del dovuto per l’obbligo risarcitorio.

Poichè tale obbligo risarcitorio era riferibile anche ai soggetti non contemplati e la relativa quantificazione è avvenuta con un atto legislativo, la posizione degli specializzandi rimasti esclusi, in relazione all’operare del principio di eguaglianza sul piano del diritto interno ed a maggior ragione rispetto alla posizione dello Stato Italiano di fronte all’obbligo comunitario, non ne rimase indifferente, bensì restò anch’essa qualificata come meritevole dello stesso trattamento. L’attività statuale di quantificazione del danno da tardivo adempimento per taluni, in sostanza, non potè che assumere rilievo anche per gli altri soggetti.

Si deve allora considerare che la quantificazione assunse anche nei confronti degli specializzandi non contemplati il valore di una sorta di aestimatio dell’obbligo risarcitorio, fatta spontaneamente dallo Stato.

Tale aestimatio in certo qual modo operata dallo stesso soggetto debitore non deve sorprendere, perchè dipese dalla particolarità della situazione nascente, secondo la giurisprudenza comunitaria, dall’inadempimento di direttive non self-executing. Essa risultò effettuata dallo Stato quale soggetto obbligato, sul piano dell’ordinamento comunitario, a rimediare alla situazione di inadempimento del diritto comunitario nell’esercizio della sua attività legislativa e, quindi, con necessari riflessi sul piano dell’ordinamento interno riguardo al diritto al risarcimento dei singoli.

Si deve allora ritenere che, a seguito della sopravvenienza della L. n. 370 del 1999, stante la identità di posizione degli specializzandi non contemplati rispetto a quelli contemplati dalla legge (identità che, naturalmente va apprezzata con riguardo all’atteggiasi della loro posizione non già secondo l’ordinamento interno e, quindi, in relazione all’essere essi beneficiari di giudicati amministrativi, bensì in relazione all’ordinamento comunitario), si verificò nell’ordinamento interno una situazione per cui il "valore" dell’obbligo risarcitorio risultò apprezzato dallo Stato italiano nella misura prevista dall’art. 11 della legge stessa. Tale situazione determinava che agli specializzandi non contemplati, i quali erano ormai messi nella condizione di doversi attivare nell’esercizio della pretesa risarcitoria per scongiurare la prescrizione, fosse palesata una precisa quantificazione dell’obbligo risarcitorio da parte dello Stato. Quantificazione che l’ultima proposizione del comma 1 dell’articolo diceva comprensiva di interessi e rivalutazione, così rispettando la natura di valore del credito nel procedimento che condusse a una sorta di auto-aestimatio dello Stato legislatore.

Ne deriva che, emergendo una precisa quantificazione del valore dell’obbligo risarcitorio, ad essa si doveva e si deve commisurare la pretesa degli specializzandi.

E ciò non tanto sulla base di considerazioni equitative, che in relazione alla singola controversia sia dato al giudice italiano di formulare, bensì quale necessario riflesso della facoltà dello Stato di individuare il contenuto economico dell’obbligo risarcitorio per i doveri nascenti dalla ricostruzione operata dalle sentenze sul caso Francovich e, quindi, sul caso Brasserìe du Pecheur e, quindi, dall’ordinamento comunitario.

Infatti, la sentenza della Corte di Giustizia sul caso Brasserie du Pecheur ebbe a precisare che "in mancanza di norme comunitarie in materia di risarcimento del danno da inadempimento di direttive non self-executing, spetta all’ordinamento giuridico di interno di ciascuno stato membro fissare i criteri che consentono di determinare l’entità del risarcimento, fermo restando che essi non possono essere meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi fondati sul diritto interno e che non possono in nessun caso essere tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile il risarcimento".

Il che giustifica che, in relazione al noto inadempimento, spettasse allo Stato di determinare l’entità del risarcimento, naturalmente in modo da non renderlo apparente.

E gli importi riconosciuti dalla citata legge non potevano essere riconosciuti tali, tenuto conto della oggetti va risalenza delle situazioni dei soggetti vittima dell’inadempimento.

Tanto comporta che, riguardo ai resistenti al detto ricorso n. 4060 del 2010 (come riguardo all’intimato R., che non ha resistito), la sentenza impugnata debba essere cassata con rinvio nel punto in cui, sulla base dell’erronea applicazione del dies a quo della prescrizione, ha liquidato il danno per la parte di domanda riconosciuta fondata parametrandolo alle somme di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991.

E’ appena il caso di rilevare che la posizione degli specializzandi rimasti esclusi dal D.Lgs. n. 257 del 1991 in alcun modo poteva essere assimilata a quella degli specializzandi da esso contemplati, per l’assorbente ragione che detto D.Lgs. non solo operava esclusivamente in relazione a situazioni future, cioè per coloro che avessero iniziato il corso di specializzazione nell’anno accademico 1991-1992, e non in relazione a situazioni ormai verificatesi, ma, soprattutto, riguardava soggetti che frequentavano corsi oramai organizzati in conformità a quanto imposto dalla normativa comunitaria, là dove, invece, i corsi frequentati o iniziati anteriormente all’entrata in vigore della disciplina del D.Lgs. erano organizzati secondo il sistema previgente, non conforme al diritto comunitario, il che aveva integrato la situazione di inadempienza statuale. Anche la situazione di fatto degli specializzandi esclusi era ontologicamente diversa da quella degli specializzandi a partire dall’anno accademico 1991-1992.

Il ragionamento fatto sopra a proposito della L. n. 370 del 1999 circa il valore di aestimatio sotteso alla quantificazione da essa fatta dell’obbligo risarei torio non potrebbe, dunque, in alcun modo essere giustificato, nè sul piano dell’intentio legis, nè su un piano meramente oggettivo, per quanto concerne gli importi di cui al D.Lgs. Ed è per questo che non possono avere fondamento i tentativi di utilizzarla – una volta considerato che, trattandosi di direttive non self-executing la normativa statuale di adempimento sia necessariamente sul piano comunitario, sia direttamente estensibile ai soggetti esclusi – come parametro di determinazione del quantum del danno.

Si deve, dunque, escludere, in particolare che applicare il trattamento di cui alla L. n. 370 del 1999 rispetto al trattamento di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991 possa rappresentare un criterio meno favorevole (alla stregua della citata sentenza comunitaria) rispetto a casi analoghi, posto che la situazione degli specializzandi che seguirono i corsi cui non era applicabile il D.Lgs. n. 257 del 1991 non era affatto analoga a quella degli specializzandi che li seguirono. Così come si è dato rilievo ai fini della decorrenza della prescrizione a tale diversità, le si deve dare rilievo ai fini della individuazione del danno risarcibile.

In sede di rinvio la Corte d’Appello di Roma provvedere, pertanto, a liquidare il risarcimento del danno sulla base del parametro della L. n. 370 del 1999. p.7.2. Tale parametro, naturalmente, dovrà essere considerato anche ai fini della liquidazione del danno per gli anni di perfezionamento riguardo ai quali, sulla base di quell’erronea applicazione, la domanda era stata rigettata ed è ora da riesaminare a seguito dell’accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso incidentale.

Allo stesso modo detto paramero sarà applicato con riferimenti ai ricorrenti del ricorso n. 5529 del 2010 e al B. a seguito della cassazione disposta in accoglimento dei motivi di ricorso sulla prescrizione. p.7.3. Il Collegio ritiene opportuno, per completezza, richiamare in questa sede Cass. nn. 24816 del 2011 e 23577 del 2011 con riferimento alla individuazione del danno evento oggetto dell’obbligo risarei torio: ciò in vista di scongiurare eventuali questioni che nell’applicazione del parametro di cui alla L. n. 370 del 1999 dovessero insorgere, se consentite dai limiti del giudizio di rinvio, con riferimento alle modalità di concreto svolgimento del corso di specializzazione seguito da ciascuno. p.7.4. Il Collegio rileva ancora che l’ancoraggio del risarcimento dovuto alle somme indicate dalla L. n. 370 del 1999, art. 11 appare anche giustificato anche alla luce della lettura che di tale norma ebbe a dare il Giudice delle Leggi nella Ordinanza n. 269 del 2005, allorchè, investita della questione di legittimità costituzionale della norma, ebbe ad osservare che "che la L. n. 370 del 1999, art. 11, attuativo dei giudicati, regola però esclusivamente i benefici economici spettanti ai medici ammessi presso le scuole di specializzazione in medicina negli anni 1983-1991". Il che, correlato all’obbligo risarcitorio che con tali benefici si intese assolvere verso i medesimi in quanto contemplati dai giudicati cui la norma si riferiva e ribadito che analogamente dev’essere trattata la condizione di tutti gli altri estranei ai giudicati, non solo rafforza il valore di aestimatio 1 che alla norma si è sopra attribuito, ma conferma anche che l’ammontare del risarcimento (e, quindi, della riparazione) conseguibile è quello ricollegabile ad essa sotto ogni profilo, ivi compreso quello della mancanza nel diploma conseguito delle idoneità che avrebbe avuto quello conforme alla frequenza di un corso rispettoso della normativa comunitaria, attuata de futuro con il D.Lgs. n. 257 n. del 1991.

Non a caso la Corte sottolineò che l’art. 11 non ostava a che invece agli specializzandi di cui ai giudicati potesse invece in ipotesi (da verificare dal giudice amministrativo rimettente) spettare, con riferimento a concorsi che richiedevano determinati requisiti per l’attribuzione di certi punteggi, un trattamento simile a quello degli specializzati nei corsi ricaduti sotto la vigenza del D.Lgs. n. 257 del 1991. p.7.5. Anche il terzo motivo del ricorso n. 4060 del 2010 dev’essere accolto con le seguenti considerazioni unitarie per le tre censure in esso svolte.

L’accoglimento, infatti, si risolve nell’indicazione al giudice di rinvio del criterio che dovrà seguire nel liquidare gli accessori sulle somme parametrate all’importo indicato dalla L. n. 370 del 1999, art. 11 che per ciascun anno di corso dovrà riconoscere in conto capitale sulla base della liquidazione in base allo stesso, giusta quanto affermato poco sopra in accoglimento del secondo motivo.

Al riguardo va considerato che, per effetto della L. n. 370 del 1999, l’aestimatio dell’obbligo risarcitorio da parte del legislatore italiano si risolse in una attività di vera e propria autoliquidazione (consentita, come s’è visto, dato che lo Stato poteva nella sua qualità di legislatore disporre, dovendo rispettare solo esigenze di effettività rispetto all’ordinamento comunitario) del danno derivante dal suo inadempimento. Dal momento dell’entrata in vigore della legge si evidenziò, allora, una monetizzazione del danno derivante dall’inadempimento di quell’obbligo e si trattò di una monetizzazione correlata ad un inadempimento ormai definitivo di esso.

Ritiene il Collegio che tale monetizzazione, dal momento dell’entrata in vigore della legge, determinò la sostituzione all’obbligazione risarcitoria avente natura di debito di valore qual era stata quella dello Stato fino a quel momento, in mancanza di determinazione del suo ammontare, di un’obbligazione avente natura di debito di valuta, cioè avente ad oggetto diretto una somma di danaro.

Tale obbligazione aveva ad oggetto una somma di danaro liquida, ma non esigibile.

Ne consegue che essa era soggetta al regime dell’art. 1219 c.c0, e, pertanto, per la produzione degli interessi e del diritto alla consecuzione del maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, occorreva un atto di messa in mora.

La Corte di rinvio, dovrà, dunque, riconoscere sulle somme dovute per ciascun anno, determinate alla stregua della L. n. 370 del 1999, art. 11 gli accessori soltanto dalla data dell’eventuale messa in mora o, in mancanza, dalla notificazione della domanda giudiziale.

Lo dovrà fare applicando il seguente principio di diritto: "Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avrà invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale. Competerà, quindi, la rivalutazione monetaria per preservare il valore della somma indicata" (Cass. sez. un. n. 19499 del 2008).

P.Q.M.

La Corte riunisce il ricorso incidentale a quello principale iscritto al n.r.g. 4060 del 2010. Riunisce a quest’ultimo il ricorso iscritto al n.r.g. 5529 del 2010 e quello proposto dal B.. Rigetta il primo motivo del ricorso iscritto al n.r.g. 4060 del 2010. Accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale, del ricorso iscritto al n.r.g. 5529 del 2010 e del ricorso del B.. Accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso n.r.g. 4060 del 2010.

Dichiara assorbiti il terzo e quarto motivo sia del ricorso n. 5529 del 2010 e del ricorso del B.. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra Sezione della Corte d’appello di Roma, che deciderà comunque in diversa composizione anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2012

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