Corte Costituzionale sentenza n. 191 SENTENZA 23 giugno – 4 luglio 2014

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 2, comma 7,
del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in
materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26
febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui introduce l’art. 2, comma
196-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2010), promosso dal Tribunale amministrativo regionale
del Lazio nel procedimento vertente tra O.D. e la Presidenza del
Consiglio dei ministri ed altri, con ordinanza del 28 febbraio 2012,
iscritta al n. 209 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale,
dell’anno 2012.
Visti l’atto di costituzione di O.D., nonche’ l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 2014 il Giudice
relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato Celestino Biagini per O.D. e l’avvocato dello
Stato Luca Ventrella per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- La prima sezione del Tribunale amministrativo regionale del
Lazio, con ordinanza depositata in data 28 febbraio 2012 (reg. ord.
n. 209 del 2012), ha sollevato questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 2, comma 7, del decreto-legge 29 dicembre
2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative
e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle
imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui,
introducendo l’art. 2, comma 196-bis, della legge 23 dicembre 2009,
n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), stabilisce che il
Commissario straordinario del Governo per il Comune di Roma, nominato
ai sensi dell’art. 4 comma 8 bis, del decreto-legge 25 gennaio 2010
n. 2 (Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 26 marzo 2010
n. 42, «deve essere in possesso di comprovati requisiti di elevata
professionalita’ nella gestione economico-finanziaria, acquisiti nel
settore privato, necessari per gestire la fase operativa di
attuazione del piano di rientro», in riferimento agli artt. 77,
secondo comma, 97, 101, 102, primo comma, 104, 108, 111 e 117, primo
comma, della Costituzione, anche in relazione all’art. 6 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
liberta’ fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata
e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (d’ora innanzi,
«CEDU»).
1.1.- In particolare, il Tribunale rimettente ha premesso di
essere investito della decisione sul ricorso presentato da O.D.
avverso il decreto 4 gennaio 2011 del Presidente del Consiglio dei
ministri, con il quale veniva revocata la sua nomina a Commissario
straordinario del Governo per la gestione del piano di rientro del
Comune di Roma, disponendosi la sua contestuale sostituzione con V.M.
Detto provvedimento e’ stato adottato dopo che altro precedente, di
analogo contenuto, era stato annullato con la sentenza n. 37085 del
2010 del medesimo Tribunale amministrativo regionale del Lazio. Piu’
precisamente, dopo la pubblicazione della sentenza era stato
introdotto l’art. 2, comma 196-bis, della legge n. 191 del 2009,
secondo cui «[… c]on provvedimenti predisposti dal Commissario
straordinario del Governo del Comune di Roma, nominato ai sensi
dell’articolo 4, comma 8-bis del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2,
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n. 42, che
deve essere in possesso di comprovati requisiti di elevata
professionalita’ nella gestione economico-finanziaria, acquisiti nel
settore privato, necessari per gestire la fase operativa di
attuazione del piano di rientro, sono accertate le eventuali
ulteriori partite creditorie e debitorie […]». Sulla base del
predetto requisito di professionalita’ acquisita nel settore privato,
inserito con un inciso nell’enunciato normativo sopra riportato, con
il citato provvedimento del 4 gennaio 2011 e’ stato, quindi,
nuovamente sostituito il commissario del Governo O.D., che aveva
acquisito professionalita’ nel settore pubblico, nominandosi in sua
vece V.M., il quale vanta professionalita’ acquisite nel settore
privato. Con ordinanza n. 1737 del 12 maggio 2011 il TAR Lazio ha
accolto l’istanza cautelare in favore di V.O. e ha sospeso gli
effetti del provvedimento amministrativo impugnato. Tuttavia,
l’ordinanza e’ stata annullata dal Consiglio di Stato sul presupposto
che il giudice di prime cure aveva sottovalutato il rilievo del
ricordato novum normativo nella definizione dei requisiti
professionali, incidenti retroattivamente sulla nomina del
Commissario sub iudice.
Considerata l’interpretazione del Consiglio di Stato, secondo cui
la disposizione impugnata deve essere applicata alla fattispecie
oggetto del giudizio a quo, il Tribunale rimettente ha ritenuto
rilevante la questione di legittimita’ costituzionale della
disposizione medesima.
1.2.- Riguardo alla non manifesta infondatezza delle questioni,
il Tribunale ha rilevato in primo luogo che la disposizione impugnata
sia stata adottata in carenza del requisito della straordinarieta’
del caso di necessita’ ed urgenza, carenza sindacabile dalla Corte,
in base alla sua giurisprudenza (sentenze n. 171 del 2007 e n. 29 del
1995), in ipotesi di sua macroscopica mancanza, come accadrebbe nella
specie.
Ha dubitato, poi, il Tribunale rimettente che sussistano i
requisiti, stabiliti dalla medesima Corte costituzionale, per
l’adozione di una legittima legge di interpretazione autentica, con
conseguente portata retroattiva della stessa, mancando nella specie
incertezze o contrasti giurisprudenziali sull’applicazione delle
disposizioni sulla nomina del Commissario.
Il Tribunale ha ritenuto, inoltre, vulnerato il principio del
giusto processo ai sensi dell’art. 111 Cost., essendosi alterata la
parita’ delle armi processuali con un intervento normativo del
Governo che ha interferito su un giudizio pendente, di cui il Governo
medesimo era parte in causa, in assenza di ragioni imperative di
interesse generale, con conseguente violazione anche dell’art. 117,
primo comma, Cost. in relazione all’art. 6 della CEDU, quale
interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Per le stesse ragioni, il Tribunale rimettente ha considerato
violati anche gli artt. 101, 102, 104 e 108 Cost. nella parte in cui
tutelano la funzione giurisdizionale dall’interferenza di leggi
intenzionalmente dirette a incidere su fattispecie sub iudice a
vantaggio di una delle due parti in giudizio, cosi’ da doversi
dubitare che si tratti di un precetto di fonte legislativa dotato dei
necessari caratteri di generalita’ e astrattezza.
Infine, il rimettente ha ritenuto violato anche l’art. 97 Cost.,
essendo irragionevole e pregiudizievole per la pubblica
amministrazione escludere dal novero dei soggetti che e’ possibile
nominare commissari del Governo coloro che abbiano conseguito
particolari professionalita’ nel settore pubblico, anziche’ in quello
privato.
2.- Con atto depositato in data 30 ottobre 2012 si e’ costituito
in giudizio O.D., parte nel giudizio amministrativo pendente, che
insiste per l’accoglimento della questione di legittimita’ sollevata
dal Tribunale, riportandosi all’ordinanza di rimessione.
3.- Con atto depositato in data 30 dicembre 2012 e’ intervenuto
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
questioni vengano dichiarate inammissibili o infondate.
Segnatamente, la difesa dello Stato ritiene che il rimettente
abbia omesso di tentare una interpretazione costituzionalmente
orientata della disposizione censurata, aderendo acriticamente alla
tesi del Consiglio di Stato, alla quale non era in alcun modo
vincolato, cosi’ da determinare la manifesta inammissibilita’ delle
questioni dedotte, avendo sostanzialmente chiesto alla Corte un
avallo interpretativo.
In ogni caso l’Avvocatura generale dello Stato ha ritenuto non
fondate anche nel merito le censure.
La situazione economica e finanziaria del Comune di Roma
determinerebbe, infatti, la straordinaria necessita’ ed urgenza
dell’intervento normativo, volto a garantire che la fase attuativa
del piano di rientro fosse seguita da un soggetto dotato di
specifiche esperienze nella finanza e nel settore del mercato del
credito.
Inoltre la difesa dello Stato ha osservato che la disposizione
censurata e’ di tenore tutt’altro che univoco e si presta ad una
interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata,
tale da escluderne la portata interpretativa e retroattiva,
determinante il vulnus ai principi del giusto processo sotto il
profilo della "parita’ della armi" e dell’incidenza sui processi in
corso.
A parte la ritenuta inconferenza di taluni parametri indicati
(artt. 101, 102, 104 e 108 Cost.), ad avviso della difesa dello Stato
si deve poi escludere che l’intervento normativo sia volto a favorire
una parte del processo, trattandosi invece di disposizione ispirata
alla tutela dell’interesse dell’intera collettivita’.
Non fondata risulterebbe, infine, la censura ex art. 97 Cost.: il
legislatore, infatti, non avrebbe espresso un giudizio di disvalore
sulle professionalita’ maturate nella pubblica amministrazione, ma
solo esercitato la sua discrezionalita’ di merito, come tale
insindacabile dal giudice, sui requisiti piu’ idonei che debbono
caratterizzare il Commissario, nella parte della sua attivita’ volta
a fronteggiare le esigenze di reperimento di finanziamenti.
4.- Con memoria depositata in data 29 aprile 2014, O.D. ha
ribadito la richiesta di accoglimento delle questioni di legittimita’
costituzionale sollevate dal Tribunale, rimarcando la natura
interpretativa della disposizione censurata – con la conseguenza di
dover disattendere l’eccezione di inammissibilita’ formulata
dall’Avvocatura generale dello Stato – e richiamando la sentenza n.
78 del 2012 di questa Corte a sostegno dell’invocata dichiarazione di
illegittimita’ costituzionale.

Considerato in diritto

1.- Con ordinanza depositata in data 28 febbraio 2012 (reg. ord.
n. 209 del 2012), la prima sezione del Tribunale amministrativo
regionale del Lazio ha sollevato questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 2, comma 7, del decreto-legge 29 dicembre
2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative
e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle
imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 26 febbraio 2011, n. 10 nella parte in cui,
introducendo l’art. 2, comma 196-bis, della legge 23 dicembre 2009,
n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), stabilisce che il
Commissario straordinario del Governo per il Comune di Roma «deve
essere in possesso di comprovati requisiti di elevata
professionalita’ nella gestione economico-finanziaria, acquisiti nel
settore privato, necessari per gestire la fase operativa di
attuazione del piano di rientro», in riferimento agli artt. 77,
secondo comma, 97, 101, 102, primo comma, 104, 108, 111 e 117, primo
comma, della Costituzione, anche in relazione all’art. 6 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
liberta’ fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata
e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (d’ora innanzi,
«CEDU»).
Piu’ precisamente, il Tribunale rimettente ha ritenuto che il
requisito dell’acquisita professionalita’ nel settore privato –
introdotto dalla disposizione impugnata nel momento in cui era in
corso la controversia in merito alla sostituzione del Commissario
straordinario del Governo per il Comune di Roma pendente dinanzi alla
giustizia amministrativa – abbia determinato plurime violazioni del
dettato costituzionale.
In particolare sarebbe violato l’art. 77, secondo comma, Cost.,
in quanto la disposizione e’ stata adottata con decreto-legge, in
carenza dei presupposti di necessita’ e urgenza.
Inoltre, la disposizione e’ stata censurata in riferimento
all’art. 97 Cost., in quanto escluderebbe irragionevolmente dalla
nomina a Commissario del Governo soggetti con professionalita’
acquisite nel settore pubblico, con conseguente pregiudizio per il
buon andamento della pubblica amministrazione e lesione del principio
dell’accesso al pubblico impiego mediante concorso.
Sono poi stati considerati violati gli artt. 101, 102, 104 e 108
Cost., in quanto il legislatore avrebbe inciso sulla funzione
giurisdizionale con una norma dettata esclusivamente per favorire una
delle parti di una controversia pendente dinanzi alla giustizia
amministrativa, vale a dire il Presidente del Consiglio dei ministri.
A questo riguardo, il rimettente ha ritenuto pregiudicato anche
l’art. 111, primo comma, Cost., in quanto sarebbe stato leso il
principio del «giusto processo», alterandosi la parita’ delle armi
processuali con un intervento del «potere governativo-legislativo»,
che ha interferito su un giudizio pendente, in assenza di ragioni
imperative di interesse generale.
Ancora si sarebbe determinata la violazione dell’art. 117, primo
comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU, quale interpretato
dalla Corte di Strasburgo, secondo cui il principio convenzionale
dell’equita’ processuale impedisce norme interpretative o di portata
retroattiva, come quella di specie, che siano dettate, in assenza di
motivi di interesse generale, per favorire una delle parti di un
giudizio.
2.- In via preliminare, deve rilevarsi che la difesa dello Stato
ha eccepito l’inammissibilita’ delle questioni per mancato
esperimento del tentativo di interpretazione conforme a Costituzione
della previsione censurata. L’Avvocatura generale dello Stato ritiene
che l’impugnato art. 2, comma 7, del d.l. n. 225 del 2010 possa e
debba essere interpretato come dotato di effetti solo per l’avvenire,
dovendosi di conseguenza escludere che esso abbia natura
interpretativa o retroattiva. Pertanto, la questione sollevata non
avrebbe alcuna rilevanza del giudizio a quo, non essendo la
disposizione impugnata applicabile al medesimo.
L’eccezione non e’ fondata.
La previsione normativa in esame richiede il possesso di una
particolare esperienza professionale nella gestione
economico-finanziaria maturata nel settore privato in capo non a
qualsiasi Commissario straordinario del Governo, ma proprio a quello
in carica che deve «gestire la fase operativa di attuazione del piano
di rientro […] concernente l’accertamento del debito del Comune di
Roma alla data del 30 luglio 2010, che e’ approvato con effetti a
decorrere dal 29 dicembre 2010». Essa si rivolge, dunque, proprio al
Commissario straordinario gia’ nominato, e poi sostituito, di cui si
controverte nel procedimento giudiziario pendente dinanzi al TAR.
Conseguentemente l’art. 2, comma 7, del d.l. n. 225 del 2010 spiega
effetto nel caso sub iudice, con conseguenze determinanti sull’esito
della controversia, posto che esso verte proprio sui requisiti di
professionalita’ ed esperienza maturati dal ricorrente e dal
contro-interessato, i quali provengono rispettivamente dal settore
pubblico e dal settore privato.
Del resto, il Tribunale rimettente ha adeguatamente motivato
riguardo all’applicabilita’ della disposizione impugnata nel giudizio
in corso e alla conseguente rilevanza della relativa questione di
legittimita’ costituzionale, anche esponendo dettagliatamente le
conclusioni cui e’ giunto il Consiglio di Stato in sede cautelare,
che inducono inesorabilmente ad affermare la sua incidenza nel
giudizio pendente davanti al TAR.
A fronte di una disposizione chiara e inequivocabile, qual e’
quella impugnata, non appare praticabile l’interpretazione conforme
suggerita dall’Avvocatura generale dello Stato, che porterebbe ad
escluderne la portata retroattiva contra litteram. L’onere
dell’interpretazione conforme, infatti, grava sul giudice rimettente
quando, usando gli «ordinari strumenti ermeneutici» (ex plurimis,
sentenza n. 227 del 2010), sia possibile attribuire al testo
normativo un significato conforme ai parametri costituzionali che si
assumono violati. In questo caso il tenore letterale della
disposizione non lascia margini di incertezza e non consente di
attribuirle effetti solo pro futuro, come auspicato dall’Avvocatura
generale dello Stato, risultando ictu oculi il suo carattere
retroattivo e la sua incidenza sul giudizio in corso.
3. – Nel merito, la questione e’ fondata.
3.1. – L’impugnato art. 2, comma 7, stabilisce che il Commissario
straordinario del Governo incaricato della gestione del piano di
rientro concernente l’accertamento del debito del Comune di Roma alla
data del 30 luglio 2010 deve possedere requisiti di elevata
professionalita’ nell’ambito economico-finanziario maturati nel
settore privato. Il legislatore ha, pertanto, introdotto nuovi
requisiti che non erano previsti all’atto della nomina del
Commissario, che era stata disposta sulla base dell’art. 4, comma
8-bis, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2 (Interventi urgenti
concernenti enti locali e Regioni), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 26 marzo 2010, n. 42.
Per comprendere la violazione dei principi costituzionali in
materia di giusto processo determinata dalla sopravvenuta normativa
impugnata, occorre ripercorrere sinteticamente l’articolata vicenda
giurisdizionale che e’ all’origine della questione di legittimita’
costituzionale portata all’esame della Corte.
Il ricorrente nel giudizio a quo e’ stato nominato Commissario
straordinario del Governo per il Comune di Roma con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 5 maggio 2010, ai sensi
dell’art. 4, comma 8-bis, del citato d.l. n. 2 del 2010 e dell’art.
14, comma 13-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitivita’
economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge 30 luglio 2010, n. 122. Con successivo decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 22 settembre 2010, il Governo
ha revocato la sua nomina, sostituendolo con il controinteressato nel
giudizio a quo. Avverso detto decreto di revoca l’istante ha proposto
ricorso davanti al TAR Lazio che, con sentenza n. 37085 del 16
dicembre 2010, lo ha accolto, evidenziando che non risultava
giustificata la sua sostituzione con altro soggetto. Poco dopo la
pubblicazione della sentenza, e’ stato emanato, in data 29 dicembre
2010, il decreto-legge n. 225, il cui art. 2, comma 7, qui impugnato,
ha inserito, dopo il comma 196 dell’art. 2 della legge n. 191 del
2009, il comma 196-bis, che, nello specificare i compiti del
Commissario straordinario del Governo per il Comune di Roma, ha
precisato che questi debba «essere in possesso di comprovati
requisiti di elevata professionalita’ nella gestione
economico-finanziaria, acquisiti nel settore privato, necessari per
gestire la fase operativa di attuazione del piano di rientro». In
forza dell’intervenuta disposizione, il decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri 4 gennaio 2011 ha disposto di nuovo la revoca
del ricorrente, sostituendolo ancora una volta con il
controinteressato nel giudizio a quo. Di qui l’impugnazione nel
giudizio a quo anche di quest’ultimo provvedimento da parte del
ricorrente.
Nel frattempo, il TAR Lazio con ordinanza n. 1737 del 12 maggio
2011 ha accolto l’istanza cautelare proposta dal ricorrente,
sospendendo, dunque, gli effetti del decreto di revoca e sostituzione
del Commissario del 4 gennaio 2011. Con due successive ordinanze (n.
2524 e n. 2526 del 2011) il Consiglio di Stato, pero’, ha accolto
l’appello in riforma dell’ordinanza cautelare, affermando che il TAR
aveva sottovalutato la rilevanza della normativa sopravvenuta, cosi’
annullando il provvedimento cautelare disposto dal TAR medesimo.
Nell’ambito del successivo giudizio per l’esame nel merito –
rectius: in sede di precisazione delle conclusioni – il TAR Lazio ha
sollevato la presente questione di legittimita’ costituzionale
dell’art. 2, comma 7, del d.l. n. 225 del 2010, che, come si e’
detto, ha aggiunto nuovi requisiti di professionalita’ che il
Commissario straordinario deve soddisfare e che, secondo quanto
risulta dal tenore testuale della disposizione, confermato anche
dall’interpretazione datane dal Consiglio di Stato, sono richiesti
anche al Commissario in carica.
3.2. – Alla luce della ricostruzione della vicenda giudiziaria
sopra descritta, appare chiaro che la disposizione impugnata,
modificando durante il corso del mandato del Commissario
straordinario del Governo i requisiti professionali di cui egli deve
essere in possesso, intende legittimare l’operato del Governo che,
proprio privilegiando l’esperienza nel settore privato, anziche’ in
quello pubblico, ha revocato e sostituito il Commissario
straordinario precedentemente nominato, dapprima con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri in data 22 settembre 2010 e
poi, di nuovo, con il decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 4 gennaio 2011. Il Commissario sostituito gia’ aveva
ottenuto l’annullamento del primo provvedimento di revoca da parte
del giudice amministrativo, il cui intervento e’ stato, pero’,
vanificato dalla introdotta disposizione normativa, che ha fornito
base legale alla sostituzione successivamente reiterata dal Governo.
Il secondo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di
revoca e sostituzione del Commissario straordinario del Governo in
carica, e’ quindi intervenuto subito dopo l’entrata in vigore della
normativa che ha modificato i requisiti di professionalita’
richiesti, cosicche’ il contenzioso nuovamente intentato dal
Commissario sostituito avrebbe un esito irrimediabilmente
pregiudicato in senso favorevole al Governo medesimo, parte del
giudizio, proprio in virtu’ della normativa sopravvenuta.
In questo modo il legislatore ha compromesso la parita’ delle
armi processuali, sovrapponendosi alle valutazioni espresse
dall’organo giurisdizionale nel primo giudizio e obbligando
quest’ultimo a prendere in considerazione, come requisito
indispensabile per la validita’ della nomina, il dato della
professionalita’ maturata nel settore privato, in possesso solo del
secondo Commissario nominato e non di quello sostituito.
4.- Tali essendo gli effetti della disciplina in parola, occorre
anzitutto evidenziare la violazione dell’art. 111, primo comma,
Cost., insieme con quella dell’art. 117, primo comma, Cost. in
relazione all’art. 6 della CEDU, come interpretato dalla Corte di
Strasburgo, i quali, secondo un consolidato orientamento, devono
essere fatti valere congiuntamente per consentire a questa Corte di
effettuare una valutazione sistemica e non frazionata dei diritti
coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, in modo da
assicurare la massima espansione delle garanzie di tutti i diritti e
i principi rilevanti, costituzionali e sovranazionali,
complessivamente considerati, che sempre si trovano in rapporto di
integrazione e reciproco bilanciamento (sentenze n. 170 e n. 85 del
2013 e n. 264 del 2012).
Del resto, in ordine al sindacato sulle leggi retroattive puo’
ritenersi sussistere una piena corrispondenza tra principi
costituzionali interni in materia di parita’ delle parti in giudizio
e quelli convenzionali in punto di equo processo.
La giurisprudenza costituzionale ravvisa una violazione del
«principio della parita’ delle parti», di cui all’art. 111 Cost.,
quando il legislatore statale immette nell’ordinamento una
fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le
due posizioni in gioco (da ultimo, ex plurimis, sentenza n. 186 del
2013).
La Corte di Strasburgo ha piu’ volte ribadito che «in linea di
principio non e’ vietato al potere legislativo di stabilire in
materia civile una disciplina innovativa a portata retroattiva dei
diritti derivanti da leggi in vigore, ma il principio della
preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti
dall’art. 6 della Convenzione, ostano, salvo che per motivi
imperativi di interesse generale, all’ingerenza del potere
legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di
influenzare l’esito giudiziario di una controversia» (sentenze 11
dicembre 2012, De Rosa contro Italia; 14 febbraio 2012, Arras e altri
contro Italia; 7 giugno 2011, Agrati e altri contro Italia; 31 maggio
2011, Maggio e altri contro Italia; 10 giugno 2008, Bortesi e altri
contro Italia; 29 marzo 2006, Scordino e altri contro Italia). La
medesima Corte ha altresi’ rimarcato che le circostanze addotte per
giustificare misure retroattive devono essere «trattate con la
massima circospezione possibile» (sentenza 14 febbraio 2012, Arras e
altri contro Italia), in particolare quando l’intervento legislativo
finisca per alterare l’esito giudiziario di una controversia
(sentenza 28 ottobre 1999, Zielinski e altri contro Francia).
Inoltre, lo stato del giudizio, il grado di consolidamento
dell’accertamento e la prevedibilita’ dell’intervento legislativo
(sentenza 27 maggio 2004, Ogis Institut Stanislas e altri contro
Francia), nonche’ la circostanza che lo Stato sia parte in senso
stretto della controversia (sentenze 22 ottobre 1997, Papageorgou
contro Grecia; 23 ottobre 1997, National & Provincial Building
Society e altri contro Regno Unito) sono tutti elementi valorizzati
dal giudice di Strasburgo per affermare la violazione dell’art. 6
della CEDU da parte di norme innovative che incidono retroattivamente
su controversie in corso.
5.- Nel caso portato al vaglio di questa Corte, l’intervento
legislativo disposto dal Governo con decreto-legge determinerebbe
fatalmente l’esito della controversia in corso a favore del Governo
stesso, parte della controversia medesima – fatti salvi gli effetti
della decisione sulla questione di legittimita’ costituzionale in
esame – in spregio alla parita’ processuale delle parti.
La giustificazione addotta dall’Avvocatura generale dello Stato –
secondo la quale la norma impugnata mira a privilegiare l’esperienza
maturata nel settore privato piuttosto che in quello pubblico, in
quanto si tratterebbe di gestire aspetti finanziari che comportano
rapporti con istituti di credito – oltre che essere di dubbia
conformita’ a Costituzione sotto il profilo della disparita’ di
trattamento, non costituisce un valido motivo imperativo di interesse
generale, tale da giustificare l’alterazione della parita’ delle
parti in giudizio. Essa si basa sull’apodittico assunto che la
gestione del risanamento di un ente pubblico sia meglio assicurata da
chi abbia maturato professionalita’ ed esperienza nel solo settore
privato, supponendo che chi acquisisca esperienze nel settore
pubblico non possegga una sufficiente conoscenza di nozioni
finanziarie (e’ da notare, oltre tutto che, nel caso di specie il
Commissario sostituito era un magistrato della Corte dei conti) o non
abbia occasione di sviluppare una adeguata dimestichezza in ordine ai
rapporti tra enti pubblici e istituti di credito. Tali supposizioni
appaiono indimostrate e non vanno esenti da una certa
inverosimiglianza, cosi’ da risultare del tutto inidonee a integrare
un imperativo motivo di interesse generale atto a giustificare una
deroga al fondamentale principio del giusto processo garantito
dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 della CEDU.
6.- Le considerazioni che precedono assorbono gli ulteriori
profili di illegittimita’ dedotti.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 2, comma 7,
del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in
materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26
febbraio 2011, n. 10 nella parte in cui, introducendo l’art. 2, comma
196-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2010), stabilisce che il Commissario straordinario del
Governo per il Comune di Roma «deve essere in possesso di comprovati
requisiti di elevata professionalita’ nella gestione
economico-finanziaria, acquisiti nel settore privato, necessari per
gestire la fase operativa di attuazione del piano di rientro».
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2014.

F.to:
Sabino CASSESE, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2014.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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