Corte Costituzionale sentenza n. 193 SENTENZA 7 – 9 luglio 2014

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 17 del
decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre
1946, n. 233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie
e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse),
promosso dalla Corte di cassazione nel procedimento vertente tra
l’Ordine dei farmacisti della Provincia di Foggia e D’Addetta Carlo
Ignazio ed altri, con ordinanza del 3 settembre 2013 iscritta al n.
248 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di costituzione di D’Addetta Carlo Ignazio;
udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 2014 il Giudice
relatore Giuseppe Tesauro;
udito l’avvocato Marco Paoletti per D’Addetta Carlo Ignazio.

Ritenuto in fatto

1.- La Corte di cassazione, con ordinanza del 3 settembre 2013,
ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della
Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 17
(recte: art. 17, primo e secondo comma, lettera c) del decreto
legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n.
233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la
disciplina dell’esercizio delle professioni stesse), nella parte in
cui non prevede che la Commissione centrale per gli esercenti le
professioni sanitarie (di seguito: Commissione centrale), nell’esame
degli affari concernenti la professione dei farmacisti, sia composta
da un numero di membri effettivi e supplenti che, nel caso di
annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione di una
decisione resa dalla stessa, permetta di celebrare l’eventuale
giudizio di rinvio davanti ad un collegio del quale non facciano
parte i componenti che hanno concorso a pronunciare la decisione
cassata.
2.- L’ordinanza di rimessione premette che la Commissione
centrale, con decisione del 28 marzo 2008, ha rigettato
l’impugnazione proposta da un farmacista avverso il provvedimento con
il quale gli era stata inflitta la sanzione della censura, per
violazione dell’obbligo di osservanza dell’orario di chiusura della
farmacia.
La Corte di cassazione, con ordinanza del 27 maggio 2010, n.
12947, in accoglimento del ricorso proposto dall’incolpato, ha
cassato detta decisione, disponendo il rinvio «alla Commissione
centrale per gli esercenti le professioni sanitarie in diversa
composizione». Quest’ultima, con decisione dell’11 luglio 2011, n.
16, dopo avere premesso che, in forza della disciplina che ne regola
la composizione, «non era possibile procedere alla composizione
dell’organo giudicante in modo diverso da quello che aveva emesso la
pronuncia cassata e che per evitare una stasi processuale era
necessario procedere comunque a nuova decisione», ha accolto il
ricorso.
Avverso detta decisione ha proposto ricorso l’Ordine dei
farmacisti della Provincia di Foggia, formulando tre motivi di
censura, con il primo dei quali ha dedotto, tra l’altro, che «la
Commissione centrale avrebbe dovuto investire» la Corte di cassazione
della questione della «impossibilita’ di procedere al nuovo giudizio
in una composizione integralmente diversa».
2.1.- Il giudice a quo premette che l’art. 2, comma 4, della
legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di
lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative
e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di
incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione
femminile, nonche’ misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), aveva previsto
il riordino della Commissione centrale e, tuttavia, in virtu’
dell’art. 15, commi 3-bis e 3-ter, del decreto-legge 13 settembre
2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del
Paese mediante un piu’ alto livello di tutela della salute),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 8
novembre 2012, n. 189, la stessa continua ad operare sulla base della
norma censurata. La disciplina stabilita dalla norma censurata
comporta che la Commissione centrale, quando e’ chiamata a decidere i
procedimenti disciplinari nei confronti dei farmacisti in sede di
rinvio disposto dalla Corte di cassazione, non puo’ essere composta
da membri diversi da quelli che hanno pronunciato la decisione
cassata.
Il citato art. 17 dispone, infatti, che la Commissione centrale
e’ composta da tre membri di diritto e, nei procedimenti concernenti
i farmacisti, anche da un ispettore generale per il servizio
farmaceutico e da otto farmacisti, di cui cinque effettivi e tre
supplenti, prevedendo (al comma settimo) che «Per la validita’ di
ogni seduta occorre la presenza di non meno di cinque membri della
Commissione, compreso il presidente; almeno tre dei membri devono
appartenere alla stessa categoria alla quale appartiene il sanitario
di cui e’ in esame la pratica», nonche’ (al comma ottavo) che «In
caso di impedimento o di incompatibilita’ dei membri effettivi,
rappresentanti le categorie sanitarie, intervengono alle sedute i
membri supplenti della stessa categoria». La Commissione centrale
decide, quindi, detti procedimenti disciplinari con nove componenti:
i tre componenti di diritto, di cui al citato art. 17, comma primo,
nonche’ l’ispettore generale per il servizio farmaceutico e cinque
farmacisti, quali componenti effettivi.
2.2.- Questa disciplina, secondo la Corte di cassazione, non
permette che in sede di giudizio di rinvio, dell’organo giudicante
facciano parte membri diversi da quelli che hanno adottato la
decisione cassata, con conseguente violazione degli artt. 3, 24 e 111
Cost. A suo avviso, nella specie, sarebbe applicabile il principio
enunciato da questa Corte con la sentenza n. 262 del 2003, che ha
dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 4 della legge 24
marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del
Consiglio superiore della Magistratura), nel testo modificato
dall’art. 2 della legge 28 marzo 2002, n. 44, nella parte in cui non
prevedeva l’elezione da parte del Consiglio superiore della
magistratura di un numero di membri supplenti della Sezione
disciplinare, tale da garantire che lo stesso collegio giudicante non
si pronunciasse due volte sulla medesima res iudicanda.
La Commissione centrale, secondo il giudice a quo, esercita,
infatti, «funzioni di tipo giurisdizionale speciale» (come
espressamente previsto dall’art. 15, comma 3-bis, del d.l. n. 158 del
2012) e tanto sarebbe sufficiente a far ritenere che l’impossibilita’
di garantirne la diversa composizione nel giudizio di rinvio connota
la norma censurata degli stessi vizi riscontrati in relazione
all’art. 4 della legge n. 195 del 1958. Inoltre, nella specie, la
Commissione centrale, nel pronunciare la decisione impugnata, ha
privilegiato l’interesse alla necessaria definizione del procedimento
disciplinare, rispetto a quello di garantire la diversa composizione
dell’organo giudicante, con considerazione di pregnante importanza a
conforto delle proposte censure. Questa Corte, con la sentenza n. 262
del 2003 ha, infatti, affermato che, nel bilanciamento dei beni
costituzionali in gioco, non puo’ essere attribuita prevalenza
all’interesse alla necessaria definizione del procedimento
disciplinare.
L’ordinanza di rimessione approfondisce, poi, gli argomenti in
base ai quali la mancata proposizione di istanza di ricusazione nel
giudizio di rinvio non esclude la rilevanza della sollevata
questione, osservando che viene in discussione «non gia’ la
possibilita’ che, per effetto della mancata attivazione dell’istituto
della ricusazione, la Commissione centrale, pur se in composizione
identica a quella nella quale era stata adottata la decisione poi
cassata con rinvio, si pronunci nuovamente nei confronti del medesimo
professionista e sul medesimo addebito disciplinare, quanto la
previsione di meccanismi normativi che, a prescindere dalla
applicabilita’ degli istituti della ricusazione e della astensione,
consentano lo svolgimento del giudizio di rinvio in condizioni tali
da assicurare la posizione di terzieta-imparzialita’ del giudice
disciplinare». Peraltro, secondo il giudice a quo, la previsione di
un numero di componenti supplenti inferiore a quello dei membri
effettivi, non consentirebbe, qualora fossero attivati gli istituti
della ricusazione e dell’astensione, di formare un collegio
giudicante senza la partecipazione di quelli che hanno partecipato
alla adozione della decisione cassata e, inoltre, «per i componenti
di diritto di cui al primo comma dell’art. 17 nessuna sostituzione
sarebbe ipotizzabile».
3.- Nel giudizio davanti a questa Corte si e’ costituito Carlo
Ignazio D’Addetta, parte nel processo principale, chiedendo che la
questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.
A suo avviso, la circostanza che alcuni dei membri della
Commissione centrale che ha deciso il giudizio di rinvio non hanno
concorso a rendere la decisione cassata sarebbe sufficiente a far
ritenere rispettata la regola della diversita’ della composizione
dell’organo giudicante.
Nella giurisprudenza di legittimita’ sarebbe, inoltre,
controversa la possibilita’ di ritenere invalida la sentenza
pronunciata in violazione dell’obbligo di astensione, in difetto
della proposizione di istanza di ricusazione, come appunto accaduto
nella specie. Il giudice a quo avrebbe, quindi, dovuto rimettere alle
Sezioni unite civili della Corte di cassazione la composizione di
tale contrasto e, in mancanza, la sollevata questione non sarebbe
rilevante.
La regola della diversita’ del giudice di rinvio stabilita
dall’art. 383 del codice di procedura civile, secondo la parte
privata, sarebbe strumentale alla tutela dell’interesse del cittadino
ad essere giudicato da un giudice terzo ed imparziale, immune da un
«pregiudizio». Nel processo principale, la Commissione centrale,
all’esito del giudizio di rinvio, si e’ adeguata al principio di
diritto enunciato dalla Corte di cassazione ed ha accolto il ricorso
che essa aveva proposto. Dovrebbe, quindi, ritenersi dimostrata
«l’inesistenza di "convinzioni precostituite" da parte dell’organo
giudicante e tanto renderebbe «superfluo uno scrutinio di
costituzionalita’ del quale solo la parte soccombente in primo grado
avrebbe potuto avvalersi, se fosse rimasta soccombente anche in sede
di rinvio».
Infine, gli artt. 61 e 64 del decreto del Presidente della
Repubblica 5 aprile 1950, n. 221 (Approvazione del regolamento per la
esecuzione del decreto legislativo 13 settembre 1946, n. 233, sulla
ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la
disciplina dell’esercizio delle professioni stesse) disciplinano i
casi dell’assenza o impedimento del presidente della Commissione
centrale e di ricusazione di detti componenti ed il citato art. 17,
settimo comma, stabilisce che per la validita’ di ogni seduta occorre
la presenza di non meno di cinque membri. Tenuto conto di detti
elementi, secondo la parte privata, il giudizio di rinvio potrebbe
essere svolto davanti ad un collegio composto da membri che non
avevano partecipato alla precedente decisione, con conseguente
infondatezza della sollevata questione di legittimita’
costituzionale.

Considerato in diritto

1.- La Corte di cassazione, con ordinanza del 3 settembre 2013,
ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della
Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 17
(recte: art. 17, primo e secondo comma, lettera c), del decreto
legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n.
233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la
disciplina dell’esercizio delle professioni stesse). A suo avviso,
questa norma violerebbe i suindicati parametri costituzionali, nella
parte in cui non prevede che la Commissione centrale per gli
esercenti le professioni sanitarie (di seguito: Commissione
centrale), nell’esame degli affari concernenti la professione dei
farmacisti, sia composta da un numero di membri effettivi e supplenti
che, nel caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di
cassazione di una decisione resa dalla stessa, permetta di celebrare
l’eventuale giudizio di rinvio davanti ad un collegio del quale non
facciano parte i componenti che hanno concorso a pronunciare la
decisione cassata.
2.- In linea preliminare, va osservato che la parte privata ha
eccepito l’inammissibilita’ della questione, perche’ il citato art.
17 stabilisce, al settimo comma, che, «Per la validita’ di ogni
seduta occorre la presenza di non meno di cinque membri della
Commissione, compreso il presidente» ed «almeno tre dei membri devono
appartenere alla stessa categoria alla quale appartiene il sanitario
di cui e’ in esame la pratica»; al secondo comma, prevede, inoltre,
la nomina di tre membri supplenti per la categoria dei farmacisti,
mentre l’art. 61 del decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile
1950, n. 221 (Approvazione del regolamento per la esecuzione del
decreto legislativo 13 settembre 1946, n. 233, sulla ricostituzione
degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina
dell’esercizio delle professioni stesse) dispone che «In caso di
assenza o di impedimento il presidente e’ sostituito dal funzionario
piu’ elevato in grado». Sarebbe, quindi, possibile, a suo avviso,
garantire che, nel giudizio di rinvio, non facciano parte della
Commissione centrale i componenti che hanno concorso a pronunciare la
decisione cassata.
L’eccezione non e’ fondata.
Allo scopo di accertare se risulti rispettato il principio di
alterita’ del giudice di rinvio, occorre avere riguardo alla
possibilita’ di costituire la Commissione centrale nella sua
composizione ordinaria che, come esattamente precisato dal giudice a
quo, e’ di nove componenti (e cioe’ i tre componenti di cui al citato
art. 17, primo comma, oltre, in virtu’ del secondo comma, lettera c,
«un ispettore generale per il servizio farmaceutico e otto
farmacisti, di cui cinque effettivi e tre supplenti»). L’eccezionale
previsione della validita’ delle sedute nelle quali siano presenti
non meno di cinque membri (art. 17, settimo comma) non puo’, infatti,
consentire (ancora meno imporre) il funzionamento della Commissione
centrale, nel solo giudizio di rinvio, in una composizione dimidiata,
con esito di per se’ solo lesivo della regola generale di formazione
del collegio giudicante. E cio’, indipendentemente dalla pur
pregnante considerazione del difetto di previsione di un meccanismo
di sostituzione del componente designato dall’amministrazione
centrale.
2.1.- La parte privata ha, altresi’, eccepito l’inammissibilita’,
per irrilevanza, della sollevata questione in quanto, secondo un
orientamento della giurisprudenza di legittimita’, la mancata
proposizione nel giudizio di rinvio di tempestiva istanza di
ricusazione dei membri del collegio giudicante (nella specie, appunto
non avanzata), impedirebbe di denunciare l’irregolare composizione
del collegio giudicante nel successivo giudizio di cassazione.
Anche questa eccezione non e’ fondata.
Al riguardo, va infatti osservato, anzitutto, che il giudice a
quo ha non implausibilmente motivato in ordine alla rilevanza della
questione di legittimita’ costituzionale, sollevata proprio in
considerazione della mancata «previsione di meccanismi normativi che,
a prescindere dalla applicabilita’ degli istituti della ricusazione e
della astensione, consentano lo svolgimento del giudizio di rinvio in
condizioni tali da assicurare la posizione di terzieta-imparzialita’
del giudice disciplinare» e tanto, secondo la costante giurisprudenza
di questa Corte e’ sufficiente a renderla ammissibile (tra le molte,
sentenza n. 1 del 2014). Inoltre, le Sezioni unite civili della Corte
di cassazione, nel comporre il contrasto di giurisprudenza emerso
nella giurisprudenza di legittimita’ in ordine agli effetti della
partecipazione al giudizio di rinvio del giudice persona fisica che
ha concorso a pronunciare la decisione cassata, hanno affermato che
«la sentenza che dispone il rinvio, a norma dell’art. 383, comma 1,
(c.d. rinvio proprio o prosecutorio) contiene (…) una statuizione
sull’alterita’ del giudice rispetto ai magistrati persone fisiche che
pronunziarono la sentenza cassata». Conseguentemente, hanno ritenuto
violata la relativa statuizione, qualora il giudizio rescissorio sia
svolto «davanti a collegio, in cui almeno uno dei componenti aveva
partecipato alla pronunzia della sentenza cassata» ed hanno affermato
che in tal caso «sussiste la nullita’ attinente alla costituzione del
giudice ex art. 158 c.p.c., non essendo necessario che la parte
faccia valere tale incompatibilita’ ex art. 52 c.p.c., in quanto sul
punto dell’alterita’ (e quindi dell’incompatibilita’) si e’ gia’
pronunziata la sentenza cassatoria» (Corte di cassazione, sezioni
unite civili, 27 febbraio 2008, n. 5087).
2.2.- La sollevata questione, ad avviso della parte privata,
sarebbe, infine, inammissibile, sotto un primo profilo, perche’ solo
alcuni dei membri della Commissione centrale che ha definito il
giudizio di rinvio hanno concorso a pronunciare la decisione cassata.
Sotto un secondo profilo, in quanto l’accoglimento da parte del
giudice del rinvio dell’impugnazione che egli aveva proposto
dimostrerebbe che il predetto era privo di «convinzioni
precostituite», dato che la prima pronuncia era stata cassata a
seguito di suo ricorso.
L’eccezione, sotto entrambi i profili, non e’ fondata.
Relativamente al primo, e’ sufficiente osservare che, come
affermato dalle Sezioni unite civili della Corte di cassazione, il
principio dell’alterita’ del giudice e’ leso quando anche uno solo
dei componenti dell’organo che ha pronunciato la decisione cassata
partecipi a quella resa all’esito del giudizio di rinvio (Corte di
cassazione, Sezioni unite civili, 27 febbraio 2008, n. 5087).
Quanto, invece, al secondo profilo dell’eccezione, risulta palese
che la violazione della regola dell’alterita’ del giudice del rinvio
e’ di per se’ lesiva del principio di imparzialita-terzieta’ della
giurisdizione, essendo irrilevante che la decisione sia stata
favorevole alla parte privata. Peraltro, l’esigenza di evitare la
cosiddetta forza della prevenzione e di assicurare che il giudice non
subisca condizionamenti psicologici influenti sulla serenita’ di
giudizio deve, ovviamente, essere garantita in riferimento a tutte le
parti del processo.
3.- Nel merito, la questione – da ritenersi rilevante
esclusivamente in relazione alla disciplina relativa al funzionamento
della Commissione centrale per l’esame degli affari concernenti la
professione dei farmacisti – e’ fondata.
4.- Preliminarmente, occorre precisare che il giudice a quo ha
correttamente affermato la perdurante vigenza della norma censurata,
in ordine alla disciplina concernente la composizione della
Commissione centrale. L’art. 15, comma 3-bis, del decreto-legge 13
settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo
sviluppo del Paese mediante un piu’ alto livello di tutela della
salute), aggiunto dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189,
ha, infatti, stabilito: «In considerazione delle funzioni di
giurisdizione speciale esercitate, la Commissione centrale per gli
esercenti le professioni sanitarie, di cui all’articolo 17 del
decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre
1946, n. 233, e successive modificazioni, e’ esclusa dal riordino di
cui all’articolo 2, comma 4, della legge 4 novembre 2010, n. 183, e
continua ad operare, sulla base della normativa di riferimento, oltre
il termine di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 28
giugno 2012, n. 89, convertito, con modificazioni, dalla legge 7
agosto 2012, n. 132, come modificato dal comma 3-ter del presente
articolo. All’allegato 1 annesso al citato decreto-legge n. 89 del
2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 132 del 2012, il
numero 29 e’ abrogato». Questa disposizione rende, quindi, palese che
detto organo centrale, come espressamente affermato dalla rimettente
Corte di cassazione, continua ad operare in base alla censurata
disciplina.
La Commissione centrale esercita «funzioni di giurisdizione
speciale» (art. 15, comma 3-bis, del d.l. n. 158 del 2012), in virtu’
di una qualificazione pacifica nella giurisprudenza di legittimita’
(Corte di cassazione, Sezioni unite civili, 7 agosto 1998, n. 7753)
e, svolgendo un’attivita’ di natura giurisdizionale, avverso le
decisioni pronunciate dalla stessa e’ ammesso ricorso per cassazione,
ex art. 111, settimo comma, Cost.
Il procedimento disciplinare nei confronti degli esercenti le
professioni sanitarie si articola, quindi, in una prima fase, svolta
davanti all’ordine professionale locale, che ha natura
amministrativa; nel caso di impugnazione dell’atto che la definisce,
alla stessa segue un’ulteriore fase che e’ svolta, invece, davanti ad
un "giudice" ed ha natura giurisdizionale.
I caratteri giurisdizionali del procedimento non escludono,
peraltro, che lo stesso possa essere caratterizzato da profili
strutturali e funzionali peculiari, in coerenza con la specificita’
delle funzioni esercitate ed alla luce degli interessi allo stesso
sottesi, tra questi anche quello di garantire l’indefettibilita’ e
continuita’ dell’attivita’ svolta dalla Commissione centrale.
Nondimeno, come ha affermato questa Corte, tali interessi vanno
sempre subordinati al «principio di imparzialita-terzieta’ della
giurisdizione, che ha pieno valore costituzionale ai sensi degli
artt. 24 e 111 della Costituzione, con riferimento a qualunque tipo
di processo, "pur nella diversita’ delle rispettive discipline
connessa alle peculiarita’ proprie di ciascun tipo di procedimento"»
(sentenza n. 262 del 2003). Le soluzioni legislative per realizzare
questo principio non debbono prefigurare moduli necessariamente
identici per tutti i tipi di processo, ma deve essere, comunque,
osservata la regola che il giudice rimanga sempre super partes ed
estraneo rispetto agli interessi oggetto del processo e sia
«assicurato quel "minimo" di garanzie ragionevolmente idonee allo
scopo (sentenza n. 78 del 2002)». In tutti i tipi di processo, quindi
anche in quello in esame, devono essere previste regole in grado di
proteggere in ogni caso il valore fondamentale dell’imparzialita’ del
giudice, impedendo, in particolare, che quest’ultimo possa
pronunciarsi due volte sulla medesima res iudicanda (sentenza n. 335
del 2002), specie nel caso di rinvio proprio o prosecutorio (sentenza
n. 341 del 1998), qual e’ quello in esame. La diversita’ del
giudice-persona fisica salvaguarda la stessa effettivita’ del sistema
delle impugnazioni, poiche’ queste «rinvengono, in linea generale, la
loro ratio di garanzia nell’alterita’ tra il giudice che ha emesso la
decisione impugnata e quello chiamato a riesaminarla» ed opera anche
in senso "discendente", con riguardo, cioe’, al giudizio di rinvio
dopo l’annullamento (sentenza n. 183 del 2013) tutte le volte in cui
sia stata effettuata una valutazione definitiva sulla stessa res
iudicanda.
Questa Corte ha, quindi, dichiarato costituzionalmente
illegittima la norma che, non prevedendo la nomina di ulteriori
membri supplenti della Sezione disciplinare del Consiglio superiore
della magistratura, non impediva, in caso di annullamento con rinvio
di una decisione dalla stessa pronunciata, che lo stesso collegio
giudicante si pronunciasse due volte sulla medesima res iudicanda
(sentenza n. 262 del 2003; analogamente, con riguardo alla mancata
previsione della nomina di supplenti in grado di assicurare
meccanismi di sostituzione del componente astenuto, ricusato o
legittimamente impedito del Tribunale superiore delle acque
pubbliche, in relazione proprio ad un giudizio di rinvio, sentenza n.
305 del 2002).
5.- Alla stregua di detti principi, poiche’ ha rilevanza
dirimente ai fini della loro applicabilita’ la natura giurisdizionale
dell’attivita’ svolta dalla Commissione centrale e la stessa natura
di tale organo e sono, invece, ininfluenti le peculiarita’
procedimentali della prima e strutturali del secondo, la norma
censurata viola gli invocati parametri degli artt. 3, 24 e 111 della
Costituzione sotto il profilo dell’imparzialita’ della giurisdizione.
Pertanto, essa deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima,
nella parte in cui non prevede la nomina di membri supplenti della
stessa che consentano la costituzione, per numero e categoria, di un
collegio giudicante diversamente composto rispetto a quello che abbia
pronunciato una decisione annullata con rinvio dalla Corte di
cassazione.
6.- Ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), e
quindi in via consequenziale alla decisione adottata, deve essere
dichiarata l’illegittimita’ costituzionale del censurato art. 17,
primo e secondo comma, lettere a), b), d) ed e), del d.lgs. C.p.S. n.
233 del 1946, nelle parti in cui disciplinano la composizione della
Commissione centrale per l’esame degli affari concernenti le
professioni dei medici chirurghi, dei veterinari, delle ostetriche e
degli odontoiatri, poiche’ contengono norme identiche a quelle
dichiarate in contrasto con la Costituzione dalla presente sentenza.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 17, primo e
secondo comma, lettera c), del decreto legislativo del Capo
provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233 (Ricostituzione
degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina
dell’esercizio delle professioni stesse), nella parte in cui non
prevede la nomina di membri supplenti della Commissione centrale per
l’esame degli affari concernenti la professione dei farmacisti, che
consentano la costituzione, per numero e categoria, di un collegio
giudicante diversamente composto rispetto a quello che abbia
pronunciato una decisione annullata con rinvio dalla Corte di
cassazione;
2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della
legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimita’
costituzionale dell’art. 17, primo e secondo comma, lettere a), b),
d) ed e), del d.lgs. C.p.S. n. 233 del 1946, nella parte in cui non
prevede la nomina di membri supplenti della Commissione centrale per
l’esame degli affari concernenti le professioni dei medici chirurghi,
dei veterinari, delle ostetriche e degli odontoiatri, che consentano
la costituzione, per numero e categoria, di un collegio giudicante
diversamente composto rispetto a quello che abbia pronunciato una
decisione annullata con rinvio dalla Corte di cassazione.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2014.

F.to:
Sabino CASSESE, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2014.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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