Corte Costituzionale sentenza n. 197 SENTENZA 7 – 11 luglio 2014

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli artt. 4, 16,
18, 21, 27, 31, 33, 34, 35 e 61 della legge della Regione Piemonte 25
marzo 2013, n. 3, recante «Modifiche alla legge regionale 5 dicembre
1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo) e ad altre disposizioni
regionali in materia di urbanistica ed edilizia», promosso dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 27-29
maggio 2013, depositato in cancelleria il 4 giugno 2013 ed iscritto
al n. 65 del registro ricorsi 2013.
Visto l’atto di costituzione della Regione Piemonte;
udito nell’udienza pubblica del 10 giugno 2014 il Giudice
relatore Paolo Grossi;
uditi l’avvocato dello Stato Paolo Grasso per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l’avvocato Giovanna Scollo per la Regione
Piemonte.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso notificato il 27-29 maggio 2013 e depositato il
successivo 4 giugno, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
proposto in via principale questione di legittimita’ costituzionale
degli artt. 4, 16, 18, 21, 27, 31, 33, 34, 35 e 61 della legge della
Regione Piemonte 25 marzo 2013, n. 3, recante «Modifiche alla legge
regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo) e ad altre
disposizioni regionali in materia di urbanistica ed edilizia».
Gli artt. 4 e 16 – che sostituiscono rispettivamente l’art. 3,
comma 1, lettera c), della legge reg. n. 56 del 1977 (introducendo in
ambito sub-regionale o sub-provinciale degli strumenti di
pianificazione paesaggistica atipici rispetto a quelli previsti dal
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante «Codice dei beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6
luglio 2002, n. 137»), e l’art. 8-quinquies, commi 5 e 7, della
stessa legge reg. (che disciplina il procedimento di formazione dei
suddetti strumenti di pianificazione) – sono impugnati per violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione,
poiche’, non prevedendo un coinvolgimento del Ministero per i beni e
le attivita’ culturali, contrastano con l’art. 145, comma 5, del
citato d.lgs. n. 42 del 2004.
L’art. 18, che sostituisce l’art. 9, comma 4, della legge reg. n.
56 del 1977, e’ anch’esso censurato per violazione dell’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost., poiche’ (nel disporre che «i
provvedimenti cautelari di inibizione e sospensione hanno efficacia
sino alla conclusione dell’istruttoria per l’inclusione del bene, ove
occorra, negli elenchi previsti dal decreto legislativo n. 42/2004 o
per l’eventuale introduzione di prescrizioni nei piani territoriali,
nel PPR o nel piano territoriale regionale con specifica
considerazione dei valori paesaggistici, nei piani regionali dei
parchi e delle riserve naturali, nei PRG, recanti i provvedimenti
definitivi per la tutela del bene; tali provvedimenti perdono in ogni
caso efficacia decorso il termine di novanta giorni dalla loro
adozione») contrasta con l’art. 150, comma 2, del d.lgs. n. 42 del
2004, secondo cui «l’inibizione o sospensione dei lavori disposta ai
sensi del comma 1 cessa di avere efficacia se entro il termine di
novanta giorni non sia stata effettuata la pubblicazione all’albo
pretorio della proposta di dichiarazione di notevole interesse
pubblico di cui all’articolo 138 o all’articolo 141, ovvero non sia
stata ricevuta dagli interessati la comunicazione prevista
dall’articolo 139, comma 3».
L’art. 21 – che sostituisce l’art. 10 della legge reg. n. 56 del
1977 e che prevede, al comma 4, che non costituiscono variante le
modifiche agli strumenti urbanistici che «correggono errori
materiali, che eliminano contrasti fra enunciazioni dello stesso
strumento quando sia evidente e univoco il rimedio o che consistono
in correzioni o adeguamenti di elaborati del piano tesi ad assicurare
chiarezza e univocita’ senza incidere sulle scelte della
pianificazione o in meri aggiornamenti cartografici in materia di
difesa del suolo derivanti dall’adeguamento degli strumenti
urbanistici», ne’ «le modifiche al PPR o al piano territoriale
regionale con specifica considerazione dei valori paesaggistici
riguardanti specificazioni, aggiornamenti o adeguamenti degli
elementi conoscitivi o specificazioni della delimitazione delle aree
soggette a tutela paesaggistica, anche in conseguenza di adeguamenti
effettuati ad opera degli strumenti di pianificazione» – viene
impugnato per contrasto con il citato art. 145, comma 5, del d.lgs.
n. 42 del 2004, e conseguente violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera s), della Costituzione, perche’ non prevede l’obbligo
di co-pianificazione con il Ministero per i beni e le attivita’
culturali relativamente agli adeguamenti dei piani sott’ordinati.
L’art. 27 – che modifica la lettera d) del comma 3 dell’art. 13
della legge reg. n. 56 del 1977, prevedendo che «nell’ambito degli
interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa
volumetria e sagoma, fatte salve le innovazioni necessarie per
l’adeguamento alle normative antisismica, di contenimento dei consumi
energetici e di produzione di energia mediante il ricorso a fonti
rinnovabili» – viene censurato per contrasto con il principio
fondamentale di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. 6
giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia – Testo A), e quindi per violazione
dell’art. 117, terzo comma, Cost, giacche’ la definizione della
portata delle diverse categorie di interventi edilizi spetta allo
Stato.
L’art. 31, nella parte in cui introduce l’art. 15-bis, comma 2,
della legge reg. n. 56 del 1977 prevedendo che il Ministero per i
beni e le attivita’ culturali partecipi alla fase di adeguamento
dello strumento urbanistico al PPR solo in presenza di beni
paesaggistici di cui all’art. 134 del d.lgs. n. 42 del 2004, viene
impugnato per contrasto con il citato art. 145, comma 5, del d.lgs.
n. 42 del 2004 e violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., perche’ limita la partecipazione degli organi ministeriali
alla presenza nel territorio di beni soggetti a vincolo
paesaggistico.
L’art. 33, nella parte in cui modifica il comma 6 dell’art.
16-bis della legge reg. n. 56 del 1977, e’ a sua volta impugnato
poiche’ esclude dal processo di valutazione ambientale strategica
(VAS) le varianti «che determinano l’uso a livello locale di aree di
limitate dimensioni, ferma restando l’applicazione della disciplina
in materia di VIA», nonche’ le varianti che: a) non riducono la
tutela relativa ai beni paesaggistici prevista dallo strumento
urbanistico o le misure di protezione ambientale derivanti da
disposizioni normative; b) non incidono sulla tutela esercitata ai
sensi dell’art. 24 in materia di beni culturali ambientali; c) non
comportano variazioni al sistema delle tutele ambientali previste
dallo strumento urbanistico vigente. Secondo il ricorrente, la
disposizione regionale opera una arbitraria limitazione del campo di
applicazione della disciplina statale contenuta negli artt. 6, commi
2, lettere a) e b), 3, 3-bis e 4, e 12 del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), attuativo dei
principi comunitari contenuti nella direttiva 27 giugno 2001, n.
2001/42/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e
programmi sull’ambiente), che stabiliscono il campo di applicazione
della disciplina della VAS e della verifica di assoggettabilita’ a
VAS, disponendo l’esclusione della stessa solo per particolari tipi
di piani e programmi tassativamente elencati e solo per le varianti
riguardanti singoli progetti. Pertanto, la norma censurata si
porrebbe in contrasto sia con l’art. 3 della predetta direttiva
2001/42/CE, violando l’art. 117, primo comma, Cost., sia con le
menzionate disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, violando l’art.
117, secondo comma, lettera s), Cost.
L’art. 34, che sostituisce l’art. 17 della legge reg. n. 56 del
1977, viene impugnato in quanto stabilisce che le varianti del piano
regolatore generale (PRG) debbano essere «conformi agli strumenti di
pianificazione territoriale e paesaggistica regionali e provinciali»,
senza prevedere la partecipazione del Ministero per i beni e le
attivita’ culturali al procedimento di variante. Per il ricorrente,
la norma si pone in contrasto con il piu’ volte richiamato art. 145,
comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004, che impone che lo Stato partecipi
alla verifica di conformita’ al piano paesaggistico territoriale
(PPT) della variante al PRG, sussistendo in mancanza la possibilita’
che successive varianti al piano regolatore generale, non vagliate
dalla soprintendenza, possano disallineare lo strumento urbanistico
rispetto alle prescrizioni del piano paesaggistico; e
conseguentemente essa viola l’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost.
L’art. 35, che inserisce l’art. 17-bis nella legge reg. n. 56 del
1977, viene censurato – per contrasto con il comma 5 dell’art. 145
del d.lgs. n. 42 del 2004, e violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. – poiche’, nel disciplinare le procedure di
adozione delle varianti semplificate al PRG (comma 2, lettera c) e
nel disciplinare le varianti semplificate che si inseriscono nel
procedimento finalizzato alla realizzazione di un’opera pubblica o di
pubblica utilita’ (comma 6), esclude la partecipazione del Ministero
per i beni e le attivita’ culturali al procedimento di variante; e
poiche’ (comma 7) attribuisce efficacia vincolante, all’interno delle
conferenze di servizi, al solo parere espresso dalla Regione relativo
alla conformita’ delle varianti urbanistiche «semplificate» agli
strumenti di pianificazione di livello regionale «o riferiti ad atti
dotati di formale efficacia a tutela di rilevanti interessi pubblici
in materia di paesaggio, ambiente, beni culturali».
Infine, l’art. 61 – che sostituisce l’art. 48 della legge reg. n.
56 del 1977, prevedendo, al primo comma del nuovo art. 48, che «1. Il
proprietario, il titolare di diritto reale e colui che, per qualsiasi
altro valido titolo, abbiano l’uso o il godimento di entita’
immobiliari, devono munirsi, documentando le loro rispettive
qualita’, del titolo abilitativo edilizio previsto dalla normativa
statale per eseguire trasformazioni urbanistiche o edilizie del
territorio comunale; il titolo abilitativo edilizio e’ richiesto,
altresi’, per il mutamento della destinazione d’uso degli immobili.
Tale titolo non e’ necessario per i mutamenti della destinazione
d’uso degli immobili relativi ad unita’ non superiori a 700 metri
cubi che siano compatibili con le norme di attuazione del PRG e degli
strumenti esecutivi» – viene impugnato per contrasto con i principi
fondamentali in materia di «governo del territorio», contenuti negli
artt. 6, 10 e 22, comma 3, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001 e,
di conseguenza, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
poiche’ non prevede la necessita’ di titolo abilitativo per tali
mutamenti di destinazione d’uso.
2.- Si e’ costituita la Regione Piemonte concludendo per il
rigetto e la parziale inammissibilita’ del ricorso.
Quanto agli artt. 4 e 16 della legge reg. n. 3 del 2013, la
Regione rileva che gli strumenti di pianificazione di cui al livello
sub-regionale e sub-provinciale (indicati alla lettera c del comma 1
dell’art. 4) sono uno sviluppo di quelli dettati alla precedente
lettera a), che necessariamente dovranno tener conto del gia’
previsto coinvolgimento degli organi ministeriali senza replicarne la
previsione.
Ugualmente infondata, per la resistente, si presenta la censura
riferita all’art. 18, che sembrerebbe disciplinare il termine di
decadenza dei provvedimenti cautelari in maniera identica a quanto
prescritto dall’art. 150 del d.lgs. n. 42 del 2004.
Quanto all’art. 21, la Regione osserva che la norma e’ dettata da
esigenze di semplificazione del procedimento urbanistico, riferito a
specificazioni, aggiornamenti e adeguamenti degli elementi
conoscitivi di strumenti di pianificazione gia’ concordati con la
procedura di cui al comma 5 dell’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004 e
che quindi non possono essere interpretate quale surrettizia
inclusione di varianti.
Anche la censura all’art. 27 viene ritenuta infondata, poiche’ le
innovazioni necessarie per l’adeguamento alle normative di
contenimento energetico non rientrano concettualmente e
normativamente nella materia «edilizia» bensi’ in quella
dell’«ambiente» e dell’«energia».
Altrettanto priva di fondatezza si appalesa, per la resistente,
l’impugnazione dell’art. 31, in quanto la norma non va letta come una
limitazione alla partecipazione del Ministero per i beni e le
attivita’ culturali alla fase di adeguamento dello strumento
urbanistico al PPR.
La Regione ritiene parimenti infondata la censura mossa all’art.
33, poiche’ – non comprendendosi il motivo per cui le varianti che
non riducono la tutela dei beni paesaggistici o le misure di
protezione ambientale non possano essere escluse dal processo di VAS
– con riferimento alla impugnata ipotesi prevista dalla prima parte
del comma 6 della norma (recante l’esclusione dalla VAS, ferma
restando la VIA, delle varianti che determinano l’uso a livello
locale di aree di limitate dimensioni), occorre considerare che
sempre tale articolo comprende gia’ la preventiva acquisizione del
parere delle amministrazioni preposte alla tutela paesaggistica
culturale e ambientale. Mentre, per quanto concerne la VAS, essa e’
prevista per le modificazioni al PRG che riguardano i procedimenti di
riordino di cui al piano di alienazioni e valorizzazioni immobiliari
previsti dal decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni
urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitivita’, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria), che non possono in ogni caso ridurre la
dotazione complessiva di aree per servizi al di sotto della soglia
minima prevista dalla legge regionale urbanistica.
Riguardo agli artt. 34 e 35, la resistente osserva che – giacche’
l’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004 si limita a prevedere che la
Regione assicuri la partecipazione degli organi ministeriali al
procedimento di conformazione e adeguamento degli strumenti
urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica -, una
volta garantita a monte tale conformazione ed adeguamento, non si
comprende perche’ le varianti conformi agli strumenti di
pianificazione territoriale e paesaggistica debbano replicare la
prevista procedura. Peraltro, per la Regione, in ogni caso l’art. 34,
comma 3, definisce le varianti generali e per esse (cioe’ per la
conformazione e approvazione) richiama la procedura (ivi compresa la
VAS) di cui all’art. 15, cosi’ come modificato e sostituito dall’art.
30 della legge reg. in questione, non impugnato dal Governo: da cio’
l’inammissibilita’ del dedotto motivo, con riguardo anche alle
varianti strutturali di cui al comma 4 dell’art. 34.
Infine, quanto all’art. 61, la resistente ritiene di avere inteso
applicare proprio il principio che il ricorrente ha ritenuto leso, in
quanto l’art. 6, comma 6, del d.P.R. n. 380 del 2001 non puo’ essere
interpretato se non nel senso che e’ quello di consentire alle
Regioni l’estensione delle categorie di interventi edilizi senza
titolo abilitativo, fatte espressamente salve le prescrizioni degli
strumenti urbanistici comunali ed edilizi, che altrimenti
rischierebbero una sovrapposizione contraria allo stesso esercizio
delle funzioni proprie delle amministrazioni regionali e locali.
D’altra parte, la Regione rileva che la disposizione censurata,
nell’escludere la necessita’ del titolo abilitativo per il mutamento
di destinazione d’uso degli immobili de quibus, ne condiziona la
compatibilita’ con le norme di attuazione del PRG e degli strumenti
esecutivi.
3.- Con atto depositato l’11 novembre 2013, la Regione Piemonte –
sottolineato che con la propria legge regionale 12 agosto 2013, n. 17
(Disposizioni collegate alla manovra finanziaria per l’anno 2013) «ha
integralmente modificato le norme impugnate nel senso invocato in
ricorso, senza che le stesse, nel frattempo, abbiano avuto
attuazione» – ha proposto istanza di cessazione della materia del
contendere, ovvero di estinzione del giudizio in caso di rinuncia da
parte del ricorrente e successiva accettazione della Giunta
regionale.
4.- Con atto depositato il 6 marzo 2014, il Presidente del
Consiglio dei ministri – ritenuto che le modifiche apportate dalla
sopravvenuta legge reg. n. 17 del 2013 «appaiono idonee ad eliminare
i motivi di illegittimita’ costituzionale rilevati dal Governo» – ha
rinunciato parzialmente alla impugnazione, «essendo venuti meno i
motivi del ricorso», limitatamente ai censurati artt. 4, 16, 18, 21,
27, 31, 35 e 61. Viceversa egli ha reputato ancora validi gli
ulteriori motivi di impugnazione riferiti agli artt. 33 e 34,
rispetto ai quali dette modifiche non sono ritenute idonee a
rimuovere i gia’ rilevati profili di incostituzionalita’.
5.- Con delibera depositata il 9 maggio 2014, la Regione Piemonte
ha accettato la rinuncia parziale.

Considerato in diritto

1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto in via
principale questione di legittimita’ costituzionale degli artt. 4,
16, 18, 21, 27, 31, 33, 34, 35 e 61 della legge della Regione
Piemonte 25 marzo 2013, n. 3, recante «Modifiche alla legge regionale
5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo) e ad altre
disposizioni regionali in materia di urbanistica ed edilizia».
2.- Preliminarmente, va rilevato che, nelle more del giudizio, e’
stata emanata la legge della Regione Piemonte 12 agosto 2013, n. 17
(Disposizioni collegate alla manovra finanziaria per l’anno 2013),
che – agli artt. 2, 3, 4 e 5 – ha sostituito numerose disposizioni
della legge reg. n. 56 del 1977, quali gia’ modificate dalla legge
reg. n. 3 del 2013, tra cui anche quelle oggetto di impugnazione.
In ragione di cio’, la resistente – sottolineato che la
sopravvenuta legge reg. n. 17 del 2013 «ha integralmente modificato
le norme impugnate nel senso invocato in ricorso, senza che le
stesse, nel frattempo, abbiano avuto attuazione» – ha proposto
istanza di integrale cessazione della materia del contendere, ovvero
di estinzione del giudizio in caso di rinuncia da parte del
ricorrente e successiva accettazione della Giunta regionale. A sua
volta, il Presidente del Consiglio dei ministri – rilevato che le
modifiche apportate dalla menzionata legge reg. n. 17 del 2013
«appaiono idonee ad eliminare i motivi di illegittimita’
costituzionale rilevati dal Governo» – ha rinunciato parzialmente
alla impugnazione, «essendo venuti meno i […] motivi del ricorso»,
limitatamente agli artt. 4, 16, 18, 21, 27, 31, 35 e 61; tale
rinuncia parziale, ritualmente notificata, e’ stata accettata dalla
Regione resistente. Il ricorrente ha invece inteso ancora validi gli
ulteriori motivi di impugnazione riferiti agli artt. 33 e 34,
rispetto ai quali dette modifiche non sono ritenute idonee a
rimuovere i gia’ rilevati profili di incostituzionalita’.
Conformemente alla giurisprudenza costante di questa Corte
(sentenze n. 141, n. 54 e n. 40 del 2014; ordinanze n. 38 del 2014 e
n. 316 del 2013), la rinuncia parziale alla impugnazione,
formalizzata dalla parte ricorrente ed accettata dalla resistente
costituita, determina l’estinzione del processo relativamente alla
impugnazione dei menzionati articoli, ai sensi dell’art. 23 delle
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
3.- Sempre preliminarmente – tenuto conto che la Regione
resistente ha proposto (prima della formalizzazione della rinuncia
parziale) istanza di generale cessazione della materia del
contendere, deducendo che la legge reg. n. 17 del 2013 «ha
integralmente modificato le norme impugnate nel senso invocato in
ricorso, senza che le stesse, nel frattempo, abbiano avuto
attuazione» – deve rilevarsi che l’Avvocatura generale dello Stato
(nel contesto del sopra richiamato atto di rinuncia parziale) ha
eccepito che «Permangono invece validi gli ulteriori motivi di
impugnazione […] segnatamente con riferimento agli articoli 33 e
34», in quanto «Le modifiche ad essi introdotte, infatti, non sono
state ritenute idonee a rimuovere i profili di illegittimita’
costituzionale gia’ rilevati con il ricorso introduttivo del presente
giudizio».
Poiche’ il Presidente del Consiglio dei ministri contesta solo il
carattere non satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso,
delle sopravvenute modifiche normative (nulla eccependo, peraltro, in
ordine alla effettiva configurabilita’ dell’altro requisito della
mancata attuazione medio tempore delle norme medesime), questa Corte
deve condurre il proprio vaglio sul contenuto di dette modifiche,
onde verificare la possibilita’ di pronunciare la richiesta
cessazione della materia del contendere rispetto a tali norme
(sentenze n. 108, n. 97, n. 86 e n. 72 del 2014).
3.1.- L’art. 33 della legge reg. n. 3 del 2013 e’ impugnato solo
nella parte in cui modificava il comma 6 dell’art. 16-bis della legge
reg. n. 56 del 1977. La norma oggetto di censura prevedeva che «sono
escluse dal processo di VAS le varianti di cui al presente articolo
che determinano l’uso a livello locale di aree di limitate
dimensioni, ferma restando l’applicazione della disciplina in materia
di VIA; sono, altresi’, escluse dal processo di VAS quando ricorrono
tutte le seguenti condizioni: a) la variante non riduce la tutela
relativa ai beni paesaggistici prevista dallo strumento urbanistico o
le misure di protezione ambientale derivanti da disposizioni
normative; b) la variante non incide sulla tutela esercitata ai sensi
dell’articolo 24; c) la variante non comporta variazioni al sistema
delle tutele ambientali previste dallo strumento urbanistico
vigente.».
L’art. 3, comma 12, della sopravvenuta legge reg. n. 17 del 2013
sostituisce nuovamente il comma 6 dell’art. 16-bis della legge reg.
n. 56 del 1977, disponendo che «sono escluse dal processo di VAS le
varianti di cui al presente articolo finalizzate alla localizzazione
di interventi soggetti a procedure di VIA».
Dalla comparazione (condotta all’esclusivo fine di valutare il
contenuto satisfattivo o meno dello ius superveniens) della
disposizione oggetto di impugnazione con quella sopravvenuta emerge
come – sebbene il legislatore regionale abbia effettivamente operato
in senso tendenzialmente satisfattivo rispetto alla domanda di parte
ricorrente, eliminando la previsione della generale esclusione dal
processo di VAS delle varianti di limitate dimensioni regolate dal
medesimo art. 16-bis, nonche’ delle specifiche varianti di cui alle
lettere a), b) e c) – va tuttavia rilevato che, anche nella nuova
formulazione del comma 6 dell’art. 16-bis, permane (ed anzi viene
assunta quale regola generale nell’intero contesto dell’art. 16-bis)
l’esclusione dal processo di valutazione ambientale strategica di
tutte le varianti finalizzate alla localizzazione di interventi
soggetti a procedure di valutazione di impatto ambientale.
La permanenza nel contesto normativo della previsione della
esclusione dal procedimento VAS delle varianti soggette a VIA
configura un contenuto dello ius superveniens che (pur se fortemente
innovativo rispetto al censurato precedente nucleo precettivo, e
pertanto non soggetto ad un trasferimento della questione: sentenze
n. 87, n. 44 e n. 23 del 2014) non si presenta come integralmente
satisfattivo, e rende quindi impraticabile la soluzione della
dichiarazione di cessazione della materia del contendere,
determinando nel contempo la necessita’ di operare il richiesto
scrutinio di costituzionalita’ della norma impugnata.
3.2.- Nel merito, la questione e’ fondata.
L’art. 33 della legge reg. n. 3 del 2013 (nella parte in cui
modificava il comma 6 dell’art. 16-bis della legge reg. n. 56 del
1977) e’ impugnato per violazione dell’art. 117, primo comma e
secondo comma, lettera s), della Costituzione, in ragione della
«arbitraria limitazione del campo di applicazione della disciplina
statale contenuta nell’art. 6, comma 2, lettere a) e b), comma 3,
comma 3-bis e comma 4, e nell’art. 12 del d.lgs. n. 152 del 2006,
attuativo dei principi comunitari contenuti nella direttiva
2001/42/CE, che stabiliscono il campo di applicazione della
disciplina della VAS e della verifica di assoggettabilita’ a VAS,
disponendo l’esclusione della stessa solo per particolari tipi di
piani e programmi tassativamente elencati e solo per le varianti
riguardanti singoli progetti», nonche’ per contrasto con l’art. 3
della stessa direttiva 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE (Direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli
effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente).
Poiche’ la verifica della conformita’ della norma impugnata alle
regole di competenza interna e’ preliminare al controllo del rispetto
dei principi comunitari (sentenze n. 245 del 2013, n. 127 e n. 120
del 2010), va innanzitutto sottolineato, in termini generali, che la
giurisprudenza costituzionale e’ costante nell’affermare che la
«tutela dell’ambiente rientra nelle competenze legislative esclusive
dello Stato e che, pertanto, le disposizioni legislative statali
adottate in tale ambito fungono da limite alla disciplina che le
Regioni, anche a statuto speciale, dettano nei settori di loro
competenza, essendo ad esse consentito soltanto eventualmente di
incrementare i livelli della tutela ambientale, senza pero’
compromettere il punto di equilibrio tra esigenze contrapposte
espressamente individuato dalla norma dello Stato (sentenze n. 145 e
n. 58 del 2013, n. 66 del 2012, n. 225 del 2009)» (sentenza n. 300
del 2013).
Altrettanto costantemente questa Corte ha affermato che la
valutazione ambientale strategica, disciplinata dal decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
attuativo dei principi comunitari contenuti nella direttiva 27 giugno
2001, n. 2001/42/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e
programmi sull’ambiente), attiene alla materia «tutela dell’ambiente»
(sentenze n. 227, n. 192, n. 129 e n. 33 del 2011), di competenza
esclusiva dello Stato. E che interventi specifici del legislatore
regionale sono ammessi nei soli casi in cui essi, pur intercettando
gli interessi ambientali, risultano espressivi di una competenza
propria della Regione (sentenza n. 398 del 2006).
E’ indubbio, pertanto, «che il significativo spazio aperto alla
legge regionale dallo stesso d.lgs. n. 152 del 2006 (in particolare,
art. 3-quinquies; art. 7, comma 2) non possa giungere fino a
invertire le scelte che il legislatore statale ha adottato in merito
alla sottoposizione a VAS di determinati piani e programmi; scelte
che in ogni caso sono largamente condizionate dai vincoli derivanti
dal diritto dell’Unione» (sentenza n. 58 del 2013).
3.3.- Il comma 6 dell’art. 16-bis della legge reg. n. 56 del 1977
(come sostituito dal censurato art. 33 della legge reg. n. 3 del
2013) si inseriva nel contesto dei procedimenti di riordino, gestione
e valorizzazione del patrimonio immobiliare di Regioni, Province,
Comuni e altri Enti, nonche’ di societa’ o Enti a totale
partecipazione dei predetti, disciplinate dall’art. 58 del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita’, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
finalizzati alla attuazione del «piano delle alienazioni e
valorizzazioni immobiliari», che comportino variante al piano
regolatore generale (PRG) ai sensi del comma 1 dell’art. 16-bis della
legge reg. n. 56 del 1977 nel testo sostituito dal medesimo art. 33.
La norma censurata prevedeva, come detto, una generale sottrazione al
processo di valutazione ambientale strategica (VAS), tanto delle
varianti disciplinate dal medesimo articolo, allorquando esse
«determinano l’uso a livello locale di aree di limitate dimensioni
ferma restando l’applicazione della disciplina in materia di VIA»,
quanto degli specifici altri tipi di varianti contemplati nelle
lettere a), b) e c) dello stesso comma 6.
La radicale esclusione di tutte codeste varianti non solo dalla
valutazione ambientale strategica, ma anche dalla stessa verifica di
assoggettabilita’ (diversamente da quanto previsto per le altre
modificazioni al PRG, dal comma 5), determinava un palese vulnus alla
tutela approntata dalle richiamate norme del d.lgs. n. 152 del 2006.
In particolare, la censurata disciplina si poneva in contrasto
con i commi 3 e 3-bis dell’art. 6, secondo i quali, rispettivamente,
«per i piani e i programmi di cui al comma 2 che determinano l’uso di
piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e
dei programmi di cui al comma 2, la valutazione ambientale e’
necessaria qualora l’autorita’ competente valuti che producano
impatti significativi sull’ambiente, secondo le disposizioni di cui
all’articolo 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilita’
ambientale dell’area oggetto di intervento»; e «L’autorita’
competente valuta, secondo le disposizioni di cui all’articolo 12, se
i piani e i programmi, diversi da quelli di cui al comma 2, che
definiscono il quadro di riferimento per l’autorizzazione dei
progetti, producano impatti significativi sull’ambiente.». Tali
disposizioni prevedono che la necessita’ del ricorso alla procedura
di VAS o di assoggettabilita’ dipenda, non gia’ da un dato meramente
quantitativo riferito alle dimensioni di interventi la cui
inoffensivita’ sull’ambiente sia aprioristicamente ed astrattamente
affermata in ragione della loro modesta entita’, bensi’ dalla
accertata significativita’ dell’impatto sull’ambiente e sul
patrimonio culturale che detti interventi (seppure non estesi)
concretamente hanno capacita’ di produrre (come espressamente
previsto dal comma 1 dell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006).
Ne’ assume alcun rilievo l’inciso contenuto nel primo periodo
della norma de qua, secondo cui, per le varianti che determinano
l’uso a livello locale di aree di limitate dimensioni, resta ferma
l’applicazione della disciplina in materia di VIA (comma 6, primo
periodo). Questa Corte ha infatti rilevato come sia «erroneo il
convincimento […] circa l’assoluta assimilazione di oggetto tra VAS
e VIA: posto che si tratta, invece, di istituti concettualmente
distinti, per quanto connessi (sentenza n. 227 del 2011), e’ ben
possibile che la prima si riveli necessaria, a seguito di verifica di
assoggettabilita’, anche quando viene in considerazione un piano
relativo a un progetto che non richiede la seconda, ma ugualmente
dotato di impatto significativo sull’ambiente» (sentenza n. 58 del
2013).
3.4.- Pertanto, l’art. 33 della legge reg. Piemonte n. 3 del
2013, nella parte in cui sostituisce il comma 6 dell’art. 16-bis
della legge reg. n. 56 del 1977, deve essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo, con assorbimento degli altri profili
riferiti alla violazione del primo comma dell’art. 117 Cost.
4.- A sua volta, l’art. 34 della legge reg. n. 3 del 2013 e’
stato impugnato nella parte in cui sostituisce l’art. 17, comma 2,
della legge reg. n. 56 del 1977, in quanto stabilisce che le varianti
del PRG debbano essere «conformi agli strumenti di pianificazione
territoriale e paesaggistica regionali e provinciali», senza
prevedere la partecipazione del Ministero per i beni e le attivita’
culturali al procedimento di variante.
I commi da 14 a 18 dell’art. 3 della sopravvenuta legge reg. n.
17 del 2013 sostituiscono diverse disposizioni della norma impugnata.
In particolare: a) il comma 15 dell’art. 3 dispone che «Al comma 7
dell’articolo 17 della L.R. n. 56/1977, come sostituito dall’articolo
34 della L.R. 3/2013, le parole "; la pronuncia medesima si intende
positiva se essa non interviene entro il termine predetto." sono
sostituite dalle seguenti: " Per le varianti successive a quella di
cui all’articolo 8-bis, comma 6, lettera b), in caso di presenza di
beni paesaggistici di cui all’articolo 134 del D.Lgs. 42/2004,
contestualmente all’invio alla provincia, la deliberazione medesima
e’ trasmessa anche al Ministero per i beni e le attivita’ culturali
che, entro quarantacinque giorni dalla ricezione, si pronuncia in
merito alla conformita’ della variante al PPR. La pronuncia della
provincia o della citta’ metropolitana e la pronuncia del Ministero
si intendono positive se non intervengono entro i termini sopra
citati."»; b) il comma 16 dell’art. 3 dispone che «16. Al comma 7
dell’articolo 17 della L.R. n. 56/1977, come sostituito dall’articolo
34 della L.R. 3/2013, dopo le parole "essere corredata del definitivo
parere favorevole della provincia o della citta’ metropolitana" sono
inserite le seguenti: "; se il Ministero ha espresso parere di non
conformita’ con il PPR, la deliberazione di approvazione deve dare
atto del recepimento delle indicazioni espresse dal Ministero oppure
essere corredata del definitivo parere favorevole del Ministero"»; c)
il comma 17 dell’art. 3 dispone che «17. All’ultimo periodo del comma
7 dell’articolo 17 della L.R. n. 56/1977, come sostituito
dall’articolo 34 della L.R. 3/2013, le parole "e alla Regione" sono
sostituite dalle seguenti: ", alla Regione e al Ministero"».
Rispetto alle prospettate censure – riferite dal ricorrente alla
mancata previsione della partecipazione del Ministero per i beni e le
attivita’ culturali al procedimento di variante, in contrasto con
l’art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004, e con conseguente
lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. – le
modifiche apportate alla norma censurata non assumono contenuto
satisfattivo, giacche’ la prevista estensione di tale partecipazione
all’organo ministeriale risulta limitata nella propria portata
applicativa alle sole «varianti successive a quella di cui
all’articolo 8-bis, comma 6, lettera b), in caso di presenza di beni
paesaggistici di cui all’articolo 134 del D.Lgs. 42/2004». Lo ius
superveniens (che anche in questo caso e’ comunque dotato di un
contenuto innovativo rispetto alla norma originaria che, come detto,
impedisce il trasferimento della questione), non contemplando nella
sua latitudine applicativa tutte «le varianti e revisioni del piano
regolatore generale, comunale e intercomunale» regolamentate
dall’art. 17 della legge reg. n. 56 del 1977 (varianti generali,
strutturali e parziali, di cui rispettivamente ai commi 3, 4 e 5),
assume dunque una portata che (come affermato dal ricorrente) non ne
soddisfa integralmente le pretese, con conseguente inidoneita’ (anche
in questo caso) a costituire presupposto per la declaratoria di
cessazione della materia del contendere invocata dalla Regione
Piemonte.
4.1.- Nel merito, la questione e’ fondata.
Il ricorrente censura il comma 2 dell’art. 17 della legge reg. n.
56 del 1977, come sostituto dall’art. 34 della legge reg. n. 3 del
2013 – nella parte in cui dispone che le varianti del piano
regolatore generale (PRG) debbano essere «conformi agli strumenti di
pianificazione territoriale e paesaggistica regionali e provinciali»,
senza prevedere (come detto) la partecipazione del Ministero
competente – per contrasto con l’art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42
del 2004 (che impone che lo Stato partecipi alla verifica di
conformita’ al PPT della variante al PRG, sussistendo in mancanza la
possibilita’ che successive varianti al piano regolatore generale,
non vagliate dalla soprintendenza, possano disallineare lo strumento
urbanistico rispetto alle prescrizioni del piano paesaggistico), e
conseguentemente per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost.
Orbene, con riferimento alle varianti e revisioni al piano
regolatore generale, comunale e intercomunale, va rilevato che l’art.
34 della legge reg. n. 3 del 2013 (sostitutivo dell’art. 17 della
legge reg. n. 56 del 1977) – stabilito (al comma 1) che «Il PRG ogni
dieci anni e’ sottoposto a revisione intesa a verificarne
l’attualita’ e ad accertare la necessita’ o meno di modificarlo,
variarlo o sostituirlo; e’, altresi’, oggetto di revisione in
occasione della revisione dei piani territoriali e del piano
paesaggistico o del piano territoriale regionale con specifica
considerazione dei valori paesaggistici»; e che «il PRG mantiene la
sua efficacia fino all’approvazione delle successive revisioni e
varianti» – al comma 7 prevedeva (peraltro con riferimento alla sola
adozione delle varianti parziali descritte nel precedente comma 5) un
analitico iter procedimentale di approvazione in cui non era
contemplata la partecipazione di qualsivoglia organismo ministeriale
al procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti
urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica.
Da cio’ deriva l’evidente contrasto con la normativa statale, che
– in linea con le prerogative riservate allo Stato dall’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost., come anche riconosciute dalla
costante giurisprudenza di questa Corte (tra le molte, sentenza n.
235 del 2011) – specificamente impone che la Regione adotti la
propria disciplina di conformazione «assicurando la partecipazione
degli organi ministeriali al procedimento medesimo» (sentenze n. 211
del 2013 e n. 235 del 2011). Costituisce, infatti, affermazione
costante – su cui si fonda il principio della gerarchia degli
strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, dettato
dall’evocato art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004 (sentenze
n. 193 del 2010 e n. 272 del 2009) – quella secondo cui l’impronta
unitaria della pianificazione paesaggistica «e’ assunta a valore
imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto
espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia
uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali
e paesaggistici sull’intero territorio nazionale» (sentenza n. 182
del 2006). Al contrario, nella specie, la generale esclusione della
partecipazione degli organi ministeriali nei procedimenti di adozione
delle varianti, nella sostanza, veniva a degradare la tutela
paesaggistica da valore unitario prevalente e a concertazione
rigorosamente necessaria, in mera esigenza urbanistica (sentenza n.
437 del 2008).
4.2.- Pertanto l’art. 34 della legge reg. n. 3 del 2013, nella
parte in cui sostituisce l’art. 17, comma 2, della legge reg. n. 56
del 1977, deve essere anch’esso dichiarato costituzionalmente
illegittimo, in quanto non prevedeva la partecipazione degli organi
del Ministero per i beni e le attivita’ culturali al procedimento di
conformazione agli strumenti di pianificazione territoriale e
paesaggistica delle varianti al piano regolatore generale comunale e
intercomunale.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 33 della
legge della Regione Piemonte 25 marzo 2013, n. 3, recante «Modifiche
alla legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo)
e ad altre disposizioni regionali in materia di urbanistica ed
edilizia», nella parte in cui sostituisce l’art. 16-bis, comma 6,
della legge della Regione Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed
uso del suolo);
2) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 34 della
stessa legge reg. Piemonte n. 3 del 2013, che sostituisce l’art. 17,
comma 2, della legge reg. Piemonte n. 56 del 1977, nella parte in cui
non prevedeva la partecipazione degli organi del Ministero per i beni
e le attivita’ culturali al procedimento di conformazione agli
strumenti di pianificazione territoriale e paesaggistica delle
varianti al piano regolatore generale comunale e intercomunale;
3) dichiara, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale, estinto il processo
relativamente alle questioni di legittimita’ costituzionale degli
artt. 4, 16, 18, 21, 27, 31, 35 e 61 della medesima legge reg.
Piemonte n. 3 del 2013, promosse dal Presidente del Consiglio dei
ministri con il ricorso in epigrafe indicato.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2014.

F.to:
Sabino CASSESE, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l’11 luglio 2014.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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