Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-09-2011) 28-09-2011, n. 35163

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del Tribunale di Milano in data 24 Marzo 2010 il Sig. M.G. è stato condannato alla pena di sei anni e sette mesi di reclusione per avere, in data (OMISSIS) e in concorso con altra persona, commesso violenza sessuale in danno di una ragazza minore di età (nata il (OMISSIS)). Il Tribunale ha ritenuto sussistente il reato previsto dall’art. 61 c.p., n. 5 e n. 11 bis, art. 609 octies c.p., nn. 1,2 e 3, in relazione all’art. 609 ter c.p., n. 4 e ha condannato l’imputato anche alle pene accessorie di legge e al risarcimento dei danni in favore della persona offesa, costituita parte civile tramite gli esercenti la patria potestà, con concessione di provvisionale immediatamente esecutiva nella misura di Euro 30.000,00, nonchè al risarcimento in favore della parte civile Comune di Milano, nella misura di Euro 5.000,00.

In particolare, il Tribunale ha ritenuto che la condotta dell’imputato, quale emergente dal racconto credibile della vittima, integri gli estremi del concorso nella violenza sessuale posta in essere dal solo coimputato (giudicato separatamente perchè minorenne).

La Corte di Appello di Milano ha confermato il giudizio di responsabilità penale dell’imputato, respingendo i motivi a sostegno della ipotesi di estraneità rispetto alla violenza commessa dal coimputato. Ritenuta l’attendibilità del racconto della persona offesa, riscontrato non solo dalle dichiarazioni della madre e dalle risultanze dei tabulati telefonici, e ritenuto che l’intera condotta dell’imputato integri un consapevole e rilevante concorso alla condotta illecita altrui, la Corte territoriale ha escluso l’aggravante ex art. 61 c.p., n. 11 bis, oggetto di decisione di illegittimità con sentenza n. 149/2010 della Corte costituzionale, ed ha ritenuto di concedere le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza. Alla rideterminazione della pena in quattro anni di reclusione è conseguita l’applicazione della interdizione temporanea dai pubblici uffici, con conferma delle restanti statuizioni della prima sentenza.

Avverso tale decisione il Sig. M.G. tramite il Difensore.

Il ricorrente lamenta vizio di motivazione per avere i giudici di merito ritenuto di prestare fede alle dichiarazioni della persona offesa nella parte in cui espone i tempi e le modalità della violenza incorrendo in palese vizio logico alla luce della accertata non credibilità di altri passaggi essenziali del racconto, quali i pregressi rapporti col coimputato, quali le modalità dell’incontro e dell’accesso al solaio dove avvenne il rapporto sessuale, quali la presenza dell’imputato in occorrenza del rapporto sessuale stesso. La Corte territoriale avrebbe fatto cattivo uso del principio interpretativo che ammette, è vero, la valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie, ma solo a condizione che solo aspetti marginali e non essenziali della vicenda siano raggiunti da dubbi da accertata non corrispondenza al vero; nell’ipotesi, come nel caso presente, che l’intera impostazione del racconto sia scarsamente credibile, costituisce vizio logico ritenere come accertata la versione dei fatti nella sola parte che attiene alla sussistenza del reato.

Motivi della decisione

Alla luce del contenuto dei motivi di ricorso, la Corte osserva in via preliminare che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (n.47289 del 2003, Petrella, rv 226074).

Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n.26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla L. n. 46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall’appello".

Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha "la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., lett. e) non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.

Ancora successivamente alla modifica dell’art. 606 c.p.p. lett. e), apportata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b), l’impostazione qui ricordata è stata ribadita da plurime decisioni di legittimità, a partire dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n.23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, PG in proc. Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15- 21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).

In applicazione di tali principi e di quelli invocati dal ricorrente con riferimento al giudizio sulla credibilità delle dichiarazioni dell’unica fonte accusatoria, la Corte ritiene che non sussistano ragioni per annullare la decisione impugnata.

Non appare, infatti, caratterizzato da manifesta illogicità il percorso argomentativo dei giudici di merito allorchè concludono che non si trattò di un rapporto sessuale consenziente e che l’imputato concorse alla commissione del reato agevolando e supportando la condotta del coimputato. La Corte di Appello ha preso le mosse da un giudizio di condivisione della motivazione di primo grado nella parte in cui rileva che elementi decisivi a supporto dell’ipotesi di violenza derivano anche dagli accertamenti medici effettuati sulla vittima il giorno successivo alla notte dei fatti e dalle dichiarazioni della madre di costei circa le condizioni in cui vide la ragazza e circa il racconto ricevuto. Il nucleo del racconto della vittima, così riscontrato, non viene messo seriamente in dubbio dalla circostanza che la stessa ha manifestato reticenze circa i rapporti pregressi con gli imputati e circa la genesi dell’incontro di quella sera in cui, a causa del proprio stato di ubriachezza, aveva chiesto riparo al Sig. M.G. per evitare i rimproveri della madre. Nè appare caratterizzato da manifesta illogicità il ragionamento che esclude che eventuali pregressi rapporti tra la vittima e il giovane che ebbe con lei il rapporto sessuale siano circostanza che escluderebbe la natura violenta della congiunzione carnale di quella sera e l’assenza di consenso della ragazza, elementi questi che i giudici ricavano dagli elementi sopra ricordati. Ciò impone a questa Corte di affermare che non sussiste alcun vizio logico delle argomentazioni esposte alle pagine 8 e 9 della decisione con riferimento alla ricostruzione delle modalità dei fatti e alla partecipazione del ricorrente alla commissione del reato.

Una volta esclusa la sussistenza di manifesta illogicità del percorso argomentativo e l’esistenza di contraddittorietà tra premesse e conclusioni, la motivazione è sottratta al controllo del giudice di legittimità e si impone la reiezione dei motivi d’impugnazione.

Infondata risulta anche la censura relativa all’assenza di una partecipazione attiva del ricorrente alla condotta altrui. Questa Corte ha già avuto modo di affrontare in modo specifico il tema di quali siano gli estremi della partecipazione penalmente rilevante di una persona, che non commette autonomi atti di violenza, rispetto alle condotte di violenza sessuale poste in essere dall’unico "violentatore". Con ampia motivazione cui si rinvia, questa Sezione con la sentenza emessa alla pubblica udienza del 13 Luglio 2011 nel procedimento n. 49069/2010 ha distinto la condotta concorrente nel reato dalla mera connivenza non punibile, affermando che la così detta "presenza inerte" assume rilievo allorchè non si sostanzi in una mera omissione, in sè non punibile difettando un obbligo giuridico contrario, ma possa ravvisarsi un contributo causale che agevoli la commissione dei fatti oppure rafforzi l’intenzione dell’autore o, ancora, abbia effetti di coazione della libertà anche solo psicologica della vittima rispetto a possibili forme di reazione e difesa (si veda sul punto anche Terza Sezione Penale, sentenza n.3348 del 2003, Pacca e altro, rv 227496). Muovendo da tali principi interpretativi, la Corte rileva che entrambi i giudici di merito hanno motivatamente espresso il convincimento che il ruolo complessivo svolto dal ricorrente abbia concorso ed agevolato la condotta dell’autore del fatto, e tale convinzione è stata argomentata in modo coerente con la ricostruzione dei fatti e secondo un percorso decisionale non manifestamente illogico.

Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere respinto e il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *