Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-07-2011) 28-09-2011, n. 35270

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Venezia dichiarava la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione di M.S.L. richiesta dallo Stato di Romania per l’esecuzione della pena di anni 5 di detenzione per il reato di infanticidio commesso nel 2001. 2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione l’interessata, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

– l’omessa applicazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r), in quanto, pur essendo sottoposta la domanda di consegna alla normativa estradizionale, per parità di trattamento deve ritenersi applicabile lo speciale regime del mandato di arresto Europeo che consente di far eseguire la pena nello Stato di residenza. Nella specie, l’estradanda ha fissato in Italia la sede principale dei suoi interessi affettivi, professionali ed economici.

– la violazione dell’art. 10 della Convenzione Europea di estradizione, posto che la pena inflitta alla estradanda (anni cinque di detenzione) è da ritenersi prescritta, in base all’art. 172 cod. pen., in quanto l’ordine di carcerazione risulta emesso il 12 maggio 2003 e il periodo di prescrizione va calcolato tenendo conto anche dell’indulto concesso con la L. n. 241 del 2006.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è da ritenersi inammissibile.

2. Quanto al primo motivo, deve rilevarsi che alla domanda di consegna in esame si applicano, in virtù della disposizione transitoria contenuta nella L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 40, le vigenti disposizioni in materia di estradizione, in quanto relativa ad un reato commesso prima del 7 agosto 2002 (segnatamente il 22 agosto 2001).

Questa Corte ha ritenuto non manifestamente infondata, con riferimento all’art. 3 Cost., art. 27 Cost., comma 3 e art. 117 Cost., comma 1, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 705 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede il rifiuto della consegna e la conseguente possibilità di scontare la pena in Italia, in favore del condannato, cittadino di uno Stato membro dell’Unione Europea, residente o dimorante nel nostro territorio ed ivi stabilmente radicato, per il quale sia stata attivata l’ordinaria procedura di estradizione, e non quella della consegna sulla base di un mandato d’arresto Europeo, in ragione dell’epoca del commesso reato, antecedente alla data del 7 agosto 2002 (sì da escludere l’operatività della condizione ostativa alla consegna prevista dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. r)) (Sez. 6, n. 5580 del 26/01/2011, Stepanescu, Rv. 249231).

Peraltro, il presupposto per la rilevanza della suddetta questione resta pur sempre la allegazione da parte dell’estradando dell’esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo nello Stato, dimostrando di aver ivi istituito, con continuità temporale e sufficiente stabilità territoriale, la sede principale, anche se non esclusiva, dei propri interessi affettivi, professionali od economici.

Tale questione risulta tuttavia preclusa in questa sede, perchè sollevata per la prima volta dalla ricorrente con il ricorso per cassazione ed il cui accertamento presuppone una indagine di merito (cfr. per un’analoga fattispecie, Sez. 6, n. 47071 del 04/12/2009, Lefter, Rv. 245456). Il giudice di legittimità, pur competente per il merito ai sensi dell’art. 706 cod. proc. pen., non può infatti svolgere attività istruttoria (Sez. 6, n. 44785 del 24/09/2003, Ndreca, Rv. 227048).

3. Del tutto priva di pregio è la seconda doglianza.

E’ principio più volte affermato e che va qui ribadito che non costituisce causa ostativa all’estradizione esecutiva, richiesta sulla base della Convenzione Europea del 13 dicembre 1957, l’indulto concesso dallo Stato richiesto (tra le tante, Sez. n. 14175 del 09/12/2009, dep. 13/04/2010, Marinescu, Rv. 246526).

In ogni caso, l’applicazione dell’indulto non avrebbe sortito alcun effetto sulla prescrizione della pena. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, che questo Collegio condivide, ai fini dell’art. 172 cod. pen., per "pena inflitta" deve intendersi quella irrogata dal giudice di cognizione e non quella residua da espiare, non potendosi tenere conto di eventuali cause estintive intervenute dopo la condanna (da ultimo, Sez. 1. n. 21867 del 01/06/2006, Riva, Rv. 234638).

4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000.

La cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 alla cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. c.p.p..

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