T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 19-10-2011, n. 8041

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I) E’ noto che la Corte di Giustizia della C.E., con la sentenza C465/05 del 13.12.2007, ha deciso che la normativa italiana recante l’Ordinamento della sicurezza privata (e cioè il r.d. 18.6.1931 nr. 773, di seguito: Tulps) ed in particolare le disposizioni degli articoli da 133 a 141 del Tulps e quelle corrispondenti (artt. da 249 a 260) del relativo Reg. di esecuzione (nr.635 del 1940), sono in contrasto con gli artt.43 e 49 del Trattato CE concernenti, rispettivamente, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi.
Un primo intervento di adeguamento a quanto statuito dal Giudice comunitario è stato effettuato dal Legislatore italiano col d.l. n.59 del 2008 (convertito nella legge n.101/2008); quindi col d.P.R. 04.8.2008 n.153 (pubblicato sulla G.U. nr. 234 del 06.10.2008) è stato completato l’intero pacchetto di modifiche di carattere normativo e regolamentare imposte dalla predetta decisione che, si ricorda, fra l’altro, ha comportato il venir meno del limite provinciale della licenza di p.s. relativa ai servizi di vigilanza privata ovvero concernente le attività di investigazioni e ricerche di cui all’art.134 del Tulps.
L’odierna controversia, che storicamente si colloca nel periodo appena successivo all’entrata in vigore del predetto decreto, ha ad oggetto l’impugnativa di due decreti prefettizi con i quali è stata negata all’istante, per ragioni – volta per volta – diverse, la licenza di polizia per l’esercizio dell’attività di investigazioni e ricerche. E’ una causa complessa; e tanto non solo perché costituisce una delle prime applicazioni del nuovo regime normativo ma, anche, perché si correla ad un quadro fattuale già di non agevole ricostruzione e complicato da ulteriori accadimenti intervenuti, nel corso del procedimento, anche in ottemperanza a pronunce cautelari della Sezione.
I.1)- Procedendo con ordine, e tenendo conto non solo della narrativa dei fatti prospettata da parte ricorrente ma, altresì, di tutti gli ulteriori elementi documentati dagli atti di causa, va allora ricordato che il sig. A., odierno ricorrente, già prima di rivolgersi alla Prefettura di Roma, era titolare di tre licenze per l’esercizio dell’attività di investigazioni e ricerche:
a) la prima, rilasciata nel 2004 dal Prefetto di Treviso, con estensione territoriale nei comuni di detta provincia;
b) la seconda, rilasciata il 28.9.2007 dal Prefetto di Milano, con estensione territoriale nei comuni di detta provincia, quale titolare (e cioè in nome e per conto) della Leone & C.s.a. Investigazioni srl, con sede in Monza (denominazione poi mutata in C.S.A. Investigazioni srl: ved. presa d’atto del Prefetto di Milano del 4.3.2009);
c) la terza, rilasciata l’8.7.2008 dal Prefetto di Torino per l’esercizio dell’attività di cui trattasi nella medesima città.
In Roma e nei comuni della provincia, invece, operava un altro dei protagonisti della controversia: il sig. Provenzano, autorizzato allo svolgimento di attività investigativa, in qualità di A.U. della S.I.R. s.r.l. (con sede in via Scarabelli, n.6), dal Prefetto di Roma con decreto del 03.8.2005.
Ebbene, l’odierno contenzioso origina dall’acquisto del 100% del capitale sociale della S.I.R. s.r.l. da parte della Verona One s.r.l.: società, con sede in Verona, in via Cà di Cozzi n.41/b, con oggetto sociale non noto, ed il cui Presidente del C.d.a. è il sig. A..
Manca agli atti copia del contratto di cessione delle citate quote ma tale negozio, da altri documenti (ved. all.nr. 7 della produzione di parte ricorrente), si dichiara perfezionato in data 10.12.2008: e cioè la stessa data sotto la quale la S.I.R. s.r.l. (ved. allegati alla produzione della Difesa erariale):
– delibera di trasferire la propria sede legale da Roma a Verona alla via Cà di Cozzi n.41 e di modificare la propria denominazione in "C.S.A. INVESTIGAZIONI ROMA s.r.l.";
– delibera di accettare le dimissioni del Provenzano dalla carica sociale ricoperta e di nominare l’A. A.U. della società con tutti i poteri inerenti a tale carica.
I.2)- Va ora – per una più agevole comprensione della controversia in trattazione – aperta una parentesi per individuare quali effetti si collegano, sotto il profilo giuridico, al nuovo assetto proprietario della S.I.R. s.r.l. ed alle deliberazioni assembleari sopra ricordate.
In tale contesto, va ricordato che le licenze di p.s. sono personali ex art.8 del Tulps: norma questa che viene interpretata nel senso che titolari di tali autorizzazioni possono essere esclusivamente persone fisiche e che quando l’istituto di vigilanza sia organizzato in forma societaria, la licenza deve essere comunque intestata ad un persona fisica, la quale deve essere investita di poteri di rappresentanza organica della società stessa (sul punto ex multis T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 1 giugno 2009, n. 3889; Consiglio Stato sez. VI, 20 ottobre 2005, n. 5902; Tar LT, n.186/2011). Segue a tanto che, allorquando il rapporto di immedesimazione organica (per qualunque ragione) viene meno, deve ritenersi automaticamente caducata anche l’autorizzazione ex art.134 Tulps già rilasciata (in nome e per conto dell’ente) alla persona fisica (in tal senso, e con riguardo a fattispecie assolutamente similare, ved. Cons.St.n.5902/2005 cit.).
Va, inoltre, aggiunto che il venir meno del citato rapporto organico, traducendosi in una variazione inerente al servizio (nel senso che viene meno il soggetto responsabile delle attività autorizzate) va comunicata al Prefetto, al pari, ex art.257 ter del d.P.R. citato, di ogni modifica intervenuta nell’assetto proprietario della società ovvero nella denominazione della stessa (traducendosi anche quest’ultima in "una variazione che riguardi i servizi" e per la quale va resa la comunicazione prescritta dalla norma dianzi citata) ovvero nel trasferimento della sede.
Ora, nel caso di specie, nessuno di tali adempimenti risulta, con tempestività, comunicato dalla S.I.R. s.r.l. alla Prefettura. Il Provenzano non ha provveduto a restituire la licenza di cui era titolare; né l’A., divenuto nuovo A.U. della "C.S.A. INVESTIGAZIONI ROMA s.r.l." ha, con altrettanta tempestività, richiesto il rilascio di nuova licenza.
Non solo.
Il 18.6.2009 personale della Questura di Roma, nel corso di un controllo amministrativo presso un centro commerciale, vi rinviene due dipendenti della C.S.A. INVESTIGAZIONI ROMA s.r.l." addetti ad attività antitaccheggio. Di seguito:
a) appurato da visura camerale (ved. doc. n. 1 della produzione della Difesa erariale) che detta società, con sede in Verona, esercitava l’attività di "servizi di portierato esclusa l’attività di guardia giurata ed altre attività soggette ad autorizzazione";
b) sentito il 23.6.2009 l’A. che riferiva di aver chiesto la voltura, a suo nome, della licenza già intestata al Provenzano e che la relativa domanda non era stata ancora accolta (e che, di conseguenza, l’attività svolta non era stata previamente autorizzata: ved. verbale sommarie informazioni in allegato alla produzione della resistente);
si provvedeva, il successivo 02.7.2009, alla comunicazione, alla Procura della Repubblica, di informativa di reato nei confronti dell’A., quale responsabile per aver attivato un servizio antitaccheggio senza la prescritta licenza.
Tempestivamente (questa volta) il 24.6.2009 (e cioè il giorno successivo all’assunzione a verbale di cui sopra), l’A. presentava alla Prefettura di Roma nota in cui comunicava le vicende del 10.12.2008 sopra riportate e, contestualmente, partecipava che in Roma la società (avente, si ricorda, sede legale in Verona) aveva conservato, quale sede operativa, quella di via Scarabelli n.6 e chiedeva l’intestazione a proprio nome della licenza già rilasciata al vecchio Amministratore, sig.P, del quale venivano riferite le avvenute dimissioni dal 10.12.2008 "per motivi personali improrogabili".
Il 26.6.2009 la Prefettura richiedeva documentazione integrativa per poter avviare l’iter istruttorio ed il successivo 06.7.2009 avvisava l’interessato, ex art.10 bis della legge n.241 del 1990, delle ragioni ostative (si tratta dell’informativa di reato di cui sopra si è detto) all’accoglimento dell’istanza.
Seguivano:
– una nota di osservazioni dell’A. (in cui peraltro, erroneamente, si assume che la licenza, nelle more dell’iter avviato per la sua voltura, resta sempre intestata al Provenzano);
– una nota del 13.7.2009 con cui la Prefettura comunica all’A. l’avvio del procedimento relativo all’istanza del 24.6.2009; e dunque una nota del tutto inutile, essendo stato detto procedimento già avviato con la comunicazione (sopra citata) del 26.6.2009 e trovandosi in avanzata fase istruttoria (si ricordi l’avvenuta comunicazione ex art.10 bis, sopra menzionata).
La Prefettura, pur se ricevute le osservazioni dell’A., non concludeva tempestivamente il procedimento de quo.
Nel frattempo l’8.9.2009 l’assemblea della C.S.A. INVESTIGAZIONI ROMA s.r.l. (di fatto l’A. ed il Provenzano) deliberava di annullare il verbale della precedente assemblea del 10.12.2008 "avente ad oggetto lo scioglimento del C.d.A. ripristinandone, ex tunc, le cariche ed i poteri tutti".
Nella stessa sede assembleare il Provenzano viene nominato Amm. delegato, con legale rappresentanza della società, "e conferendo, per l’attività dei servizi investigativi, a lui solo, tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione.."; mentre l’A. è nominato, oltre che Presidente del C.d.A., Amm. delegato per tutte le attività sociali diverse da quelle investigative.
Di tali modifiche intervenute nell’assetto organizzativo della Società, il Provenzano ne dà comunicazione alla Prefettura di Roma il 16.9.2009.
Quindi il Prefetto di Roma si determina nel modo seguente:
a) il 18.1.2010 adotta il decreto con cui prende atto che il Provenzano esercita in Roma l’attività di investigazioni, in qualità di A.D. della C.S.A. INVESTIGAZIONI ROMA s.r.l.;
b) il 25.2.2010 respinge l’istanza dell’A. in quanto l’avvenuto esercizio, senza licenza, dell’attività investigativa, interdice il rilascio del titolo ex art.257 quater del d.P.R. n.153 del 2008.
I.3)- Occorre ora – in sintonia con la metodologia espositiva sopra praticata – soffermare l’attenzione su detti provvedimenti prefettizi. Tanto consente di cogliere che la logicità del primo non permea anche il secondo. E difatti:
– una volta ribaltata la situazione dell’assetto societario della C.S.A. INVESTIGAZIONI ROMA s.r.l. delineata nella richiesta di voltura dell’A. del 24.6.2009 (si ricordi che ivi si descriveva il Provenzano quale dimissionario, "con contestuale scioglimento dell’intero consiglio", nonché la nomina dell’A. ad A.U. della società, come da verbale assembleare del 10.12.2008);
– una volta annullato il verbale del 10.12.2008 e ripristinato, l’8.9.2009, "ex tunc" (?), l’intero consiglio di amministrazione con la nomina del Provenzano ad A.D. con legale rappresentanza della società, "…conferendo, per l’attività dei servizi investigativi, a lui solo, tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione..;
– una volta comunicata (dal Provenzano, in veste di l.r. della società) tale variazione alla Prefettura, senza alcuna indicazione sulla durata di detta investitura (es. temporanea, in attesa della definizione della pratica di voltura avviata dall’A.);
allora, un ragionamento logico avrebbe dovuto indurre a considerare superata e/o improcedibile la domanda attivata il 24.6.2009 dall’A. sulla base di una situazione societaria e (di rappresentanza) organica totalmente diversa.
Ma tale non è stata la soluzione amministrativa praticata.
E, quindi, l’A. ha reagito col ricorso introduttivo dell’odierno giudizio contestando la violazione dell’art.10 bis della legge n.241 del 1990 nonché la violazione, sotto più profili, della normativa disciplinante la fattispecie.
L’istanza cautelare acclusa al gravame è stata accolta dalla Sezione con la prima delle Ordinanze in epigrafe richiamate.
In ottemperanza a tale iussus iudicis la Prefettura, con nota del 04.6.2010, ha avviato il procedimento di riesame, confermando, il 28.9.2010, il diniego al rilascio del titolo sulla base di differenti argomentazioni.
Accadeva, difatti, nelle more del procedimento di riesame, che il Prefetto di Milano, in adesione ad istanza dell’A. del 02.3.2010, unificava le licenze di p.s. già rilasciate a costui dalle Prefetture di Milano, Treviso e Torino (e delle quali si è detto sub par.I) e lo autorizzava, in nome e per conto della "C.S.A. Investigazioni s.r.l.", ad operare nelle città è province di varie regioni, Lazio compresa ( decreto del 02.7.2010).
Tale estensione operativa della licenza veniva intesa dalla Prefettura di Roma quale interdittiva, ex art.8 del Tulps, al rilascio, all’A., di analogo titolo per la medesima attività.
E’ seguita la tempestiva impugnativa di tale provvedimento con atto di ricorso in cui l’ovvia e principale doglianza si raccorda alla circostanza che l’estensione operativa autorizzata dal Prefetto di Milano riguarda l’attività di investigazioni svolta C.S.A. Investigazioni s.r.l. e non investe in alcun modo la C.S.A. INVESTIGAZIONI ROMA s.r.l. che è la distinta persona giuridica in nome e per conto della quale l’A. ha chiesto, il 24.6.2009, la voltura della licenza già rilasciata al Provenzano.
La Sezione, in sede cautelare, dopo aver disposto un primo intervento istruttorio e di chiarimenti (ord. n.305/2011 del 14.1.2011), ha, con ord. n.720/2011 del 25.2.2011, riportato testualmente un tratto della decisione del Cons. St. n.5902 del 2005 (che si ricorda, ha affrontato caso del tutto analogo a quello in trattazione), così concludendo: " Considerato che il principio di personalità della licenza di p.s. di cui all’art.8 Tulps presuppone, in sintonia con l’insegnamento di cui sopra, che il richiedente la licenza sia titolare (con riferimento all’attività investigativa), dei poteri di rappresentanza organica della società; mentre non appare trovare ostacolo nella predetta disposizione dell’art.8 la possibilità che il richiedente, ove sussistenti i necessari requisiti progettuali ed organizzativi dell’attività investigativa nonché gli ulteriori requisiti richiesti dal Tulps e dal Reg. di Esec. ne dello stesso Tulps, sia autorizzato (contrariamente all’avviso manifestato dalla locale Prefettura) a svolgere detta attività investigativa in nome e per conto di persone giuridiche (e cioè società imprenditoriali) diverse".
Non risulta, allo stato degli atti, che la Prefettura sia re- intervenuta con un ulteriore provvedimento di riesame sull’istanza dell’A..
II)- Va ora esaminato il ricorso introduttivo del giudizio. Prima di tale scrutinio è però opportuno richiamare il principio, più volte enunciato dal G.a. (ved. Cons. St., Sez. IV, 16 novembre 1999 n. 2168 e 5 dicembre 2006 n. 7119; sez. V, 10 luglio 2000, n. 3848, 25 maggio 1995, n. 830; sez. VI, 12 aprile 2000, n. 2184), per il quale la definizione del giudizio principale comporta la caducazione degli effetti dell’ordinanza cautelare emanata medio tempore dal giudice amministrativo, nonché degli effetti dell’atto adottato dall’Amministrazione in sede di esecuzione della medesima ordinanza.
Invero, occorre rilevare quanto segue:
a) sul piano processuale, qualora il Giudice amministrativo in sede cautelare sospenda gli effetti di un diniego e l’Amministrazione confermi il provvedimento negativo oppure emani un atto consequenziale adeguandosi al contenuto dell’ordinanza cautelare, non è in alcun modo configurabile l’improcedibilità del ricorso o la cessazione della materia del contendere (rispettivamente, se il successivo atto sia sfavorevole o favorevole all’originario ricorrente), salvo particolari disposizioni di legge (ad es. per l’esame di avvocato art. 4 D.L. n. 115/2005, conv. dalla L. n. 168/2005 e su tale disposizione la decisione Cons.St., sez. IV n. 3653/2006);
b) sul piano sostanziale, l’adozione non spontanea dell’atto consequenziale, con cui l’Amministrazione si limita a dare esecuzione all’ordinanza di sospensione degli effetti di un diniego (ovvero di un provvedimento di esclusione da una procedura selettiva), non comporta la revoca del precedente provvedimento sospeso ed ha una rilevanza provvisoria, in attesa che la sentenza di merito accerti se il provvedimento sospeso sia o meno legittimo (cfr., sul principio, Cons. St. sez. VI, 23 giugno 2008, n. 3132 e n. 2838 del 2008). In altri termini (e salvo il caso in cui il contenuto della motivata ordinanza cautelare sia tanto condiviso dall’Amministrazione, da indurre questa a ritirare il precedente provvedimento già sospeso, sostituendolo in sede di autotutela con un nuovo atto, senza attendere il giudicato sul suo prevedibile annullamento), di regola la dovuta esecuzione di un’ordinanza cautelare non comporta la sopravvenuta irrilevanza del provvedimento sospeso e l’estinzione del giudizio pendente. Per cui, come autorevolmente precisato dalla stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (27 febbraio 2003, n. 3), l’improcedibilità del ricorso può discendere solo dall’adozione da parte dell’Amministrazione di provvedimenti diversi ed ulteriori rispetto a quelli imposti dalla necessità di dare esecuzione alla misura cautelare; per contro, la mera esecuzione di un provvedimento cautelare, non presentando profili di discrezionalità nell’an, non comporta il venir meno della res litigiosa.
Nella specie, l’Amministrazione ha proceduto al riesame del decreto del 25.2.2010 unicamente per ottemperare all’ordine cautelare impartitole (ved. nota U.t.g. del 04.6.2010), confermando poi il provvedimento di diniego, sia pure sulla base di diversa motivazione; al che accede, di necessità, lo scrutinio del ricorso introduttivo e solo nel caso di fondatezza dello stesso, la disamina dei profili aggiunti di doglianza collocati nel secondo atto di ricorso (che, viceversa, deve ritenersi improcedibile ove risulti infondato il ricorso introduttivo).
II.1) – L’analisi, svolta sub paragrafi I), I.1) e I.2) sia degli accadimenti connotativi della controversia che dei relativi riflessi giuridici, consente – melius re perpensa – di superare l’approccio che, in sede di sommaria delibazione del gravame, è stato seguito dalla Sezione con l’ord. nr. 2132/2010.
Col primo mezzo di gravame parte ricorrente deduce la violazione dell’art.10 bis della legge n.241 del 1990, ricollegandola al fatto che il procedimento attivato con la sua istanza del 24.6.2009 sarebbe stato riavviato dalla Prefettura con nota del 13.7.2009.
Tale motivo è privo di pregio.
Si è già in precedenza sub par. I.2), evidenziato e riscontrato che, a seguito dell’istanza dell’A. del 24.6.2009, la Prefettura il 26.6.2009 richiedeva documentazione integrativa per poter avviare l’iter istruttorio ed il successivo 06.7.2009 avvisava l’interessato, ex art.10 bis della legge n.241 del 1990, delle ragioni ostative (si tratta dell’informativa di reato di cui sopra si è detto) all’accoglimento dell’istanza: preavviso cui seguivano le osservazioni dell’interessato. Segue a tanto – ed anche questa è considerazione già sopra svolta – che la nota del 13.7.2009 (con cui la Prefettura, omettendo ogni riferimento a precorsa corrispondenza, comunica all’A. l’avvio del procedimento relativo alla sua istanza di voltura del 24.6.2009) è una nota del tutto inutile, frutto di un ovvio errore burocratico del citato U.t.g., essendo detto procedimento già stato avviato con la comunicazione (sopra citata) del 26.6.2009 e trovandosi (stante l’avvenuta comunicazione del preavviso di rigetto e le osservazioni trasmesse dall’interessato) in avanzata fase istruttoria: tant’è che il provvedimento conclusivo del 25.2.2010 (oggetto di impugnativa) richiama, nel proprio preambolo, tutte dette tappe procedimentali e non anche l’erronea nota del 13.7.2009. Accede a tanto che nessun obbligo di reiterare il preavviso di rigetto incombeva sulla Prefettura; e ciò in quanto l’unico procedimento avviato e concluso è quello il cui iter si è principiato il 26.6.2009 ed in seno al quale è stato assicurato il rispetto dell’art.10 bis della legge n.241 del 1990.
Il secondo, e più complesso, mezzo di gravame è preceduto da una ricostruzione dei fatti non corretta.
Sostiene il ricorrente – a sostegno della censura di eccesso di potere per contraddittorietà e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto – che l’accertamento da parte di personale della Questura di Roma dell’attività antitaccheggio svolta da agenti investigativi dipendenti dalla C.S.A. INVESTIGAZIONI ROMA s.r.l si sarebbe verificato "nelle more del procedimento" avviato di seguito alla sua istanza di voltura del 24.6.2009 (ved. pag. 14 ricorso introduttivo) e che il sig. Provenzano "non ha mai interrotto il proprio rapporto collaborativo ed il proprio apporto alla società di investigazioni……..Con la sopra indicata delibera l’assemblea provvedeva ad annullare l’atto adottato nel dicembre 2008 e quindi a deliberare che il Provenzano era stato da sempre consigliere delegato della società con l’attribuzione di tutti i poteri relativi al titolo di polizia in possesso…".
Si tratta di un insieme di affermazioni manifestamente smentito dagli atti di causa, in cui è documentalmente testimoniato che l’accertamento della Questura di Roma risale al 16.6.2009, che lo stesso A. è stato chiamato a rendere informazioni il 23.6.2009 (si rinvia sul punto, onde evitare di ripetersi, al par. I.2) e che solo il 24.6.2009 costui ha presentato alla Prefettura di Roma richiesta (pur datata 15.6.09) di voltura della licenza già intestata al Provenzano.
Quanto poi all’assunta persistenza dell’apporto collaborativo del Provenzano, basta richiamare la stessa istanza di voltura dell’A. in cui si dà atto della immediata cessazione "per motivi personali improrogabili" del rapporto di immedesima organica prima corrente tra il Provenzano e la società; mentre l’annullamento, ad opera del verbale assembleare dell’8.9.2009, del precedente verbale del 10.12.2008 col ripristino "ex tunc" del precedente C.d.A. (e la nomina del Provenzano a A.D. per l’attività investigativa), non consente, come per magia, di considerare Provenzano come mai cessato dalla carica prima rivestita (e dunque quale perenne titolare della licenza ex art.134 Tulps). Il dichiarato ripristino "ex tunc" del vecchio C.d.A. non sana l’avvenuta cessazione del rapporto organico tra il Provenzano e la società né consente di addebitare al Provenzano le responsabilità che gravano sull’A. per l’attività antitaccheggio non autorizzata svolta sin da prima di avanzare la richiesta di voltura del titolo.
L’illiceità di tale condotta non è superabile neanche evocando la sentenza della Corte di Giustizia CE citata in premessa e l’abolizione del limite territoriale della licenza di cui all’art.134 del Tulps. E ciò in quanto, a tacer d’altro, la non consentita attività antitaccheggio è stata svolta da personale dipendente dalla C.S.A. INVESTIGAZIONI ROMA s.r.l e non dalla C.S.A. Investigazioni s.r.l. e/o da altro istituto autorizzato dai Prefetti di Treviso, Milano e Torino.
Né la circostanza che il procedimento penale attivato nei confronti dell’A. (per non consentita attività antitaccheggio) non si sia ancora definito (con una sentenza passata in giudicato), è ostativo al diniego del titolo in questione.
Da un lato l’art.257 quater del Reg. Esec. del Tulps prevede il diniego della licenza di cui all’art.134 Tulps quando "risulta che gli interessati abbiano esercitato taluna delle attività ivi disciplinate in assenza della prescritta licenza" (e non quando tale condotta sia definitivamente acclarata con sentenza coperta da giudicato).
Dall’altro lato il diniego dell’autorizzazione di p.s. impone all’Amministrazione di indicare gli specifici fatti impeditivi e i concreti elementi rivelatori di un’apprezzabile possibilità di abuso della licenza di pubblica sicurezza. Tra i vari, assumono un rilievo particolarmente significativo i fatti penalmente rilevanti che riguardano la gestione dell’impresa, tanto più se attinenti direttamente all’attività per la quale viene richiesta l’autorizzazione e se indicativi di una pregressa condotta non conforme alle norme che ne regolano l’esercizio. Non è, d’altra parte, necessario un giudizio penale di colpevolezza – e cioè un accertamento definito con sentenza – stante l’ampia discrezionalità dell’Amministrazione in materia e la rilevanza degli interessi in gioco, con il solo limite di una valutazione che deve essere fondata su parametri logici e non travisati. Anche una mera denuncia può, dunque giustificare il giudizio di mancato possesso del requisito della " buona condotta ", se l’Amministrazione, in relazione a specifici e sufficientemente comprovati fatti, ne trae indicazioni ragionevoli circa il pericolo di abuso del titolo di polizia.
Concludendo, il ricorso introduttivo del giudizio è infondato.
III)- Alla declaratoria di cui sopra, segue – per le ragioni già in precedenza esplicitate – l’improcedibilità dei mm.aa. di gravame successivamente interposti.
Peraltro il Collegio -collegandosi tali mm.aa. a provvedimento adottato dalla Prefettura in ottemperanza ad ordinanza della Sezione – ritiene doveroso soffermarsi sulle ragioni del rinnovato diniego che, come già anticipato in sede cautelare non sono condivisibili.
Si è al riguardo segnalato l’insegnamento offerto dal Cons. St. nella decisione n.5902 del 2005, la quale sottolinea che il principio di personalità delle licenze di polizia (ex art.8 del Tulps) impone che anche quando l’istituto di investigazioni sia organizzato in forma societaria, la licenza deve essere comunque intestata ad una persona fisica che deve essere investita dei poteri di rappresentanza organica della società. Se sussiste, dunque, tale presupposto allora la circostanza che la stessa persona fisica sia investita dei poteri di rappresentanza in due diverse società (id est: due differenti persone giuridiche) non può comportare, per tale fatto, il diniego delle licenze posto che detta evenienza non trova ostacolo alcuno nella norma dell’art.8 citato. Naturalmente dovranno sussistere i necessari requisiti progettuali ed organizzativi dell’attività investigativa nonché gli ulteriori requisiti richiesti dal Tulps in relazione a ciascuna delle società, in nome e per conto della quale, il titolo viene rilasciato al legale rappresentante (coincidente con la medesima persona fisica).
Del pari è ovvio che la sopravvenienza di condotte incompatibili con la detenzione del titolo potranno incidere negativamente sull’una ed altra delle società amministrate dalla medesima persona fisica (es. si faccia il caso che sia formulata la proposta per l’applicazione di una misura di prevenzione nei confronti dell’intestatario, in nome e per conto di due diverse società, di due licenze di investigazioni); ma, a parte quanto sopra, la disciplina vigente non consente di negare il titolo de quo per le ragioni motive sostenute dalla Prefettura di Roma col secondo dei provvedimenti impugnati.
Nel caso di specie, poi, ove – come pare prevedibile – l’A. (che in atto detiene la carica di Presidente del C.d.A. della C.S.A. INVESTIGAZIONI ROMA s.r.l e, dunque, è titolare di poteri di rappresentanza legale della stessa), abbia a formulare nuova istanza di rilascio dell’autorizzazione de qua, corredata dell’atto in cui il Provenzano (che è l’attuale intestatario del titolo che decadrà in caso di voltura e dovrà essere tempestivamente restituito) presta il suo assenso, la Prefettura dovrà valutare anche la circostanza che il Prefetto di Milano, nell’estendere il 02.7.2010, l’ambito operativo della licenza detenuta dall’A., in nome e per conto della C.s.a. Investigazioni s.r.l., non ha ritenuto vincolante (in senso negativo) l’informativa di reato della Questura di Roma ed il procedimento avviato in esito alla stessa nei confronti dell’A..
IV)- Conclusivamente il ricorso introduttivo del giudizio è infondato e i mm.aa. di gravame sono improcedibili.
Le spese di lite, attesa la peculiarità della controversia, possono compensarsi tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) definitivamente pronunciando respinge, come da motivazione, il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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