Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-07-2011) 28-09-2011, n. 35263

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza sopra indicata, il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria su riesame di L.P.S., indagato per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa – capo a – e per quello di estorsione e turbata libertà degli incanti – capo t -, annullava il provvedimento emesso dal Gip di Reggio Calabria il 9 giugno 2009, con cui gli era stata applicata la massima misura custodiale.

In motivazione, veniva ricostruita una vicenda concernente l’imprenditore fallito C. che si era raccomandato presso esponenti della cosca mafiosa della zona di Catona ed Archi, sollecitandone l’intervento affinchè egli non fosse ostacolato nella procedura esecutiva nella aggiudicazione, per interposta persona dei beni facenti parte dell’attivo, fra i quali era anche ricompresa la casa di abitazione del cognato, certo S.: riteneva che nei confronti del L.P. non fosse stata raggiunta la prova di un effettivo interessamento o di interferenze sulla procedura a favore del C., che lo aveva menzionato nel corso di una conversazione con un associato, in modo discorsivo, come uno degli esponenti avvicinati, senza che tuttavia vi fossero riscontri dell’attuazione di attività penalmente rilevante. Anzi al contrario le indagini difensive dimostravano il L.P. non si era affatto interessato all’asta, di cui aveva avuto notizia. Escludeva ancora che gli elementi raccolti fossero bastevoli per l’altra ipotesi, quella associativa, essendo emerso al più che il L.P. si era incontrato con altri soggetti, che erano interessati ad aggiudicarsi un appalto, ma non che perciò i due lo avessero officiato in senso criminale, nè che il " S." che gestiva il calcestruzzo, indicato in un’altra conversazione, fosse il L.P., il quale peraltro era non già un fornitore di materiale, ma viceversa un acquirente. Anche un terzo colloquio intercettato, relativo all’acquisto di un appezzamento di terreno non palesava alcun comportamento illegale da parte dell’indagato.

2. Ricorre il PM presso quel tribunale e denuncia travisamento della prova: richiamati interi passi della motivazione del Gip sia in relazione al reato associativo che al capo T, rileva che il semplice confronto tra le argomentazioni di questi e quelle adottate da Tribunale pone in evidenza il vizio ex art. 606 c.p.p., lett. E e che il giudice distrettuale ha comunque omesso di valutare le dichiarazioni del collaboratore I., che aveva individuato nel L.P. un elemento organico al clan Rugolino, addetto agli affari edili ed agli appalti, da cui deve dunque trarsi anche la prova rilevante ai fini del capo T.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Vale ribadire che secondo l’orientamento consolidato dalla giurisprudenza, in tema di misure cautelari personali, allorchè sia denunciato con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice il controllo della congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, mentre è del tutto inibito procedere ad una rivisitazione della vicenda ed ad una ricostruzione alternativa dei fatti.

3. Tanto premesso, è da osservare che il tribunale ha proceduto con adeguata esposizione logica a valutare gli elementi offerti dagli atti, rilevando come in definitiva la lettura degli indizi non portasse ad una ricostruzione dei fatti plausibile con il paradigma accusatorio; in particolare, l’ordinanza impugnata si è fatta carico di esaminare tutte le conversazioni fra gli indagati, che avevano costituito oggetto di intercettazione, e ne ha desunto la irrilevanza o la inconsistenza degli argomenti trattati rispetto il tema probatorio gravante sulla accusa. Inoltre, ha logicamente riscontrato le discolpe del L.P., mettendo in evidenza come anche le dichiarazioni di altri protagonisti della vicenda avessero attestato il sostanziale disinteresse dell’indagato in ordine alla asta da espletare. Ha infine escluso la organicità dell’indagato alla cosca del territorio di Catone per il rilievo che gli incontri di costui con altri esponenti non attestassero altro che la comune e come fosse del tutto congetturale che egli partecipasse al tessuto affaristico malavitoso, anche in considerazione del non sicuro riferimento alla di lui persona dei dialoghi intercettati, nel corso dei quali si menzionava genericamente un tale " S.". 4. A fronte di tale completo apprezzamento dei dati probatori, esposto con iter argomentativo chiaro, e privo di evidenti salti logici, il ricorrente oppone che sotto la veste della violazione di legge una diversa lettura degli atti processuali, ossia propone questioni di merito non sottoponibili a questa corte.

5. E tanto fa, peraltro, con motivi che sono palesemente attinti da vizio di aspecificità. 6. E’ da osservare, infatti, che il PM non ha individuato passaggi o punti della decisione che inficino il discorso argomentativo del giudice distrettuale, ma si è limitato a sottoporre a questa corte le conversazioni a suo dire rilevanti per la individuazione degli indizi, con una metodica di rimando alle deduzioni ed osservazioni operate dal Gip nell’ordinanza genetica, che non soddisfa certo il requisito della critica ragionata che informare la impugnazione.

7. E’ stato al riguardo rilevato che l’impugnazione è inammissibile per genericità dei motivi se manca ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità. (fra le tante Cass. 6 sent. 39926 del 2008).

8. Nel caso di specie, il Pm non si è di certo conformato a tale principio nella formulazione della impugnazione, rimettendo sostanzialmente, ma inammissibilmente, a questa corte di legittimità l’individuazione degli elementi di merito a suo dire rilevanti e non sviluppando alcuna autonoma argomentazione a sostegno del gravame.

9. Quanto alle dichiarazioni del coindagato collaboratore di giustizia, vale rammentare che esattamente il TDL ne ha ritenuto la irrilevanza, in considerazione della inesistenza di elementi indiziari ed perciò in concreto della mancanza di elementi individualizzanti, per cui la mera indicazione dell’appartenenza ad un clan, non vestita da alcun altro dato, non poteva integrare il già emerso vuoto investigativo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

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