Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-02-2012, n. 1883 Mobbing

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Torino, confermando la sentenza di primo grado, respingeva la domanda di A.A., originariamente proposta nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, dell’Agenzia del Territorio e dei Sig. L.R. e P., avente ad oggetto,e l’impugnativa del licenziamento con preavviso intimatogli, in data 20 marzo 2006, per assenza ingiustificata dall’Agenzia del Territorio di Verbania, presso la quale, a seguito di mobilità volontaria,prestava servizio in regime di part-time,e il risarcimento del danno conseguente alla assunta attività mobbizzante posta in essere dai nominati L.R. e P. suoi superiori.

La Corte territoriale, innanzitutto, dichiarava il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze – essendo stato il rapporto di lavoro, a seguito del D.P.R. n. 107 del 2001, trasferito in capo alle Agenzie – e dichiarava, altresì, l’estinzione de giudizio nei confronti di L.R. e P. per intervenuta rinuncia della domanda proposta dall’ A. nei confronti di costoro.

Rilevava, poi, la predetta Corte, che la prova articolata dall’ A. non era ammissibile riguardando i capitoli articolati, relativamente al licenziamento, fatti documentalmente provati o pacifici e quelli concernenti l’assunto comportamento mobbizzante un capo della domanda che, rigettato dal giudice di primo grado, non era stato investito da alcuna censura e, quindi, non devoluto alla cognizione del giudice di appello. Analogamente la Corte torinese escludeva la rilevanza della richiesta CTU in quanto diretta ad acclarare eventuali patologie conseguenti al comportamento mobbizzante il cui rigetto del relativo capo della domanda non era stato oggetto di alcuna impugnativa.

Tanto premesso la Corte del merito,per quello che interessa in questa sede, riteneva legittimo il licenziamento impugnato sul rilievo fondante che l’ A. era da considerarsi, come contestato, effettivamente assente ingiustificato in quanto la semplice richiesta di variazione del part-time non lo autorizzava, stante anche il diniego dell’Amministrazione, a non prestare servizio ed il certificato medico inviato non era idoneo a giustificare l’assenza dal lavoro perchè non certificava l’esistenza di una malattia determinante una inabilità al lavoro, nè la durata dello stato di malattia.

Avverso questa sentenza l’ A. ricorre in cassazione sulla base di due censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso l’Agenzia in epigrafe.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso, deducendosi vizio di motivazione, si formula il seguente quesito: "accertare e dichiarare che la Corte di Appello di Torino ha errato nella pronuncia della sentenza impugnata, posto che, al fine di escludere l’ammissibilità e la rilevanza dei mezzi di prova proposti dal Sig. A.A., ha fornito una motivazione incompleta ed insufficiente (leggasi la pronuncia senza indicazione analitica dei fatti che riteneva provati documentalmente, di quelli che riteneva pacifici, di quelli che riteneva non rilevanti e, infine, di quelli che riteneva non decisivi e senza l’indicazione dei capitoli che riteneva in tutto o in parte inammissibili), nonchè di accertare e dichiarare che la Corte di Appello di Torino ha errato laddove ha escluso la richiesta istruttoria volta all’escussione dei sig.ri L.R. e P. in tema di mobbing e demansionamento, nonchè di accertare e dichiarare che la Corte di Appello di Torino ha errato nella pronuncia della sentenza impugnata, posto che, al fine di escludere l’ammissibilità e la rilevanza dei mezzi di prova proposti dal Sig. A.A., ha affermato che l’ A. non avesse impugnato il capo della sentenza relativo al mobbing ed al demansionamento, mentre invece l’appello investiva tale capo".

La censura è infondata.

Rileva la Corte che, relativamente ai capitoli di prova articolati dal ricorrente concernenti il licenziamento e ritenuti dalla Corte del merito irrilevanti perchè pacifici o documentalmente provati, l’iter argomentativo della sentenza impugnata da conto, in maniera analitica, dei singoli documenti e fatti pacifici su cui sì fonda il relativo decisum. Conseguentemente il ricorrente per correttamente investire questa Corte del dedotto vizio di motivazione avrebbe dovuto non solo trascrivere, in osservanza del principio di autosufficienza, i capitoli di prova di cui deduce la mancata ammissione, ma soprattutto evidenziare la decisività degli stessi in relazione agli elementi valorizzati dai giudici di appello.

E’ invero ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che nel caso in cui, con il ricorso per Cassazione, venga dedotta l’incongruità o l’illogicità della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di Cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti, di delibare la decisività della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti (per tutte Cass. 19 maggio 2006 n. 11886 ).

Quanto al capo della sentenza relativo al mobbing ed al demansionamento, in ordine al quale il ricorrente sostiene che la Corte del merito ha erroneamente ritenuto non impugnato il relativo capo, anche in questo caso, tenuto conto che i giudici di appello accertano la mancanza di qualsivoglia motivo di appello in proposito, il ricorrente per correttamente investire questa Corte della relativa denuncia avrebbe dovuto, non solo trascrivere nel ricorso il testo delle censure mosse nell’atto di appello al capo in questione, ma anche dedurre in maniera specifica le eventuali ragioni d’illogicità della argomentazione svolta in proposito dalla Corte territoriale e non limitarsi alla mera prospettazione di una interpretazione diversa rispetto a quella adottata dai giudici del merito.

Secondo questa Corte, infatti, l’interpretazione della domanda e l’apprezzamento della sua ampiezza, oltre che del suo contenuto, costituiscono, anche nel giudizio di appello, ai fini della individuazione del devolutum, un tipico apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell’esistenza, sufficienza e logicità della motivazione (Cfr. Cass. 6 ottobre 2005 n. 19475 e Cass. 6 febbraio 2006 n. 2467, nonchè in particolare Cass. 12 ottobre 1998 n. 10101 – seguita da Cass. 25 settembre 2002 n. 13945 – la quale ha precisato che il sindacato su tale operazione interpretativa, in quanto non riferibile ad un vizio in procedendo, è consentito alla Corte di cassazione nei limiti istituzionali del giudizio di legittimità).

Con il secondo motivo il ricorrente, allegando violazione di legge e di norme collettive nonchè vizio di motivazione, pone il seguente quesito:"accertare e dichiarare che la Corte di Appello di Torino ha errato laddove ha ritenuto legittimo il licenziamento con preavviso intimato al Sig. A.A. dall’Agenzia del Territorio ai sensi dell’art. 67, comma 5, del CCNL, ritenendo assolutamente inesistente la giustificazione addotta dal Sig. A.A. per l’assenza dal 2 gennaio 2006 e per i giorni immediatamente successivi, posto che il ricorrente ha prodotto una certificazione medica a tal fine. Si chiede quindi che la Suprema Corte ravvisi il vizio di violazione di legge ovvero il vizio di contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nella statuizione relativa alla carenza di giustificazione dell’assenza".

Osserva, preliminarmente, il Collegio che il motivo in esame con il quale si deducono contemporaneamente violazione di legge e vizi di motivazione è solo in parte ammissibile.

Infatti premesso che a norma dell’art. 366 bis c.p.c., non si può desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420), la censura non è esaminabile in relazione alla denunciata violazione di legge e norma collettiva in quanto, a parte ogni considerazione circa l’ammissibilità della contemporanea deduzione di violazione di legge e di vizio di motivazione – pur negata da alcune sentenze di questa Corte (Cass. 11 aprile 2008 n. 9470 e 23 luglio 2008 n. 20355 e ancora nello stesso senso 29 febbraio 2008 n. 5471, Cass. 31 marzo 2009 n. 7770), vi è di contro il rilevo assorbente che difetta nella formulazione del quesito l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo (Cass. SU 30 settembre 2008 n. 24339 e Cass. 19 febbraio 2009 n. 4044).

In tal modo delimitato l’ambito del sindacato devoluto a questa Corte rileva il Collegio che la censura è infondata.

Difatti si chiede a questa Corte di accertare che la certificazione medica, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte del merito, era idonea a giustificare le assenze per le quali l’ A. è stato licenziato.

Un tale accertamento, tuttavia, nel nostro ordinamento processuale non è consentito in sede di legittimità in quanto la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) (in tal senso per tutte Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267 e 27 luglio 2008 n. 2049).

Si tratta in conclusione di una censura, che anche sotto il profilo della violazione di legge, impingendo nel fatto è estranea al sindacato di questa Corte di legittimità (Cass. 22 febbraio 2007 n. 4178).

Sulla base delle esposte considerazioni, in conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità liquidate in Euro 60,00 per esborsi ed oltre Euro 3.500,00 per onorario oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *