Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-02-2012, n. 1881 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 Con sentenza del 12 marzo 2004, il Tribunale di Cosenza respingeva le opposizioni, separatamente proposte dall’Istituto Papa Giovanni XXIII e riunite, avverso le ordinanze-ingiunzione con le quali la Direzione Provinciale del lavoro di Cosenza aveva intimato al predetto Istituto il pagamento della somme, rispettivamente, di L. 262.140.000 e L. 197.280.000, a titolo di sanzioni amministrative per prestazioni di lavoro supplementare fatte eseguire ai lavoratori assunti con contratto di lavoro part-time, per un totale, rispettivamente, di 6.553 e 4.929 giornate in più rispetto a quanto concordato, nei periodi 1995/1995 e 1996/1999. 2. Il Tribunale ha ritenuto provata la pretesa sanzionatoria sulla scorta delle ammissioni dell’Istituto in ordine allo svolgimento di prestazioni lavorative in orari diversi da quelli pattuiti inizialmente, a conferma dell’espletamento, da parte dei lavoratori part-time, di prestazioni lavorative comunque svolte in orari diversi da quelli convenuti; inoltre, il mancato superamento del monte orario complessivo sarebbe stato onere dell’Istituto dimostrare, posto il carattere convenzionale della distribuzione temporale della prestazione lavorativa nel rapporto di lavoro part-time.

3. Avverso l’anzidetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Istituto Papa Giovanni XXIII fondato su due motivi, illustrato con memoria ex art. 78 c.p.c.. Si sono costituiti il Ministero del lavoro e la Direzione Provinciale del lavoro di Cosenza ed hanno eccepito la nullità della notificazione del ricorso, irritualmente notificato presso la predetta Direzione provinciale, anzichè presso l’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege, e la tardività del ricorso.

Motivi della decisione

4. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., censura la sentenza impugnata per contrasto con un precedente giudicato, con stessa causa petendi (pretesa commissione di illeciti amministrativi) e stesso petitum (identiche somme a titolo di sanzione), formatosi in due giudizi di opposizione a cartelle esattoriali e invoca il giudicato esterno formatosi successivamente alla pubblicazione della sentenza impugnata, ma prima del suo passaggio in giudicato. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.

5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 863 del 1984, art. 5, in relazione agli artt. 2697 e 2729 c.c. e artt. 115, 116 c.p.c. e vizio di motivazione per aver ritenuto la corte di merito provata la pretesa sanzionatoria sulla base di una presunzione (l’ammissione dell’Istituto) priva dei caratteri di gravita, concordanza, precisione richiesti dall’art. 2729 c.c.. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.

6. Preliminarmente vanno esaminate le eccezioni sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato.

7. La prima eccezione, sotto il profilo dell’erronea individuazione del destinatario della notificazione del ricorso per cassazione, eseguita nei confronti dell’organo periferico dell’Amministrazione dello Stato anzichè all’Avvocatura Generale dello Stato, è infondata alla stregua del principio secondo cui il ricorso per Cassazione avverso sentenza pronunziata in sede di opposizione ad ordinanza-ingiunzione di pagamento di sanzione amministrativa emessa dall’organo periferico del Ministero del lavoro va notificato allo stesso organo che ha emesso il provvedimento e che è stato parte del giudizio di opposizione, e non presso l’Avvocatura Generale dello Stato, considerato che la L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, comma 2, nello stabilire che detta opposizione deve essere notificata all’Autorità che ha emesso il provvedimento, assegna a questa la legittimazione processuale, e, quindi, la qualità di destinataria degli atti del procedimento medesimo, in deroga al disposto del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11 (ex multis, Cass. 18310/2009;

Cass.l8595/2003).

8. La seconda eccezione, concernente l’inammissibilità del ricorso per cassazione, per tardività della notifica, è fondata per le ragioni che seguono.

9. La scansione temporale e fattuale delineata in una descrizione dell’accaduto di non agevole lettura in cui non sono state individuate compiutamente tutte le fasi del processo rilevanti ai fini decisoti – sicchè il ricorso si appaleserebbe inammissibile, oltre che per la mancata prova sulla formazione dell’eccepito giudicato, anche sotto questo profilo – consente di dare per acquisito che il Tribunale di Cosenza ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per revocazione avverso la sentenza del 12 marzo 2004 – ora impugnata davanti a questa Corte – con ricorso per cassazione notificato il 2 gennaio 2009. 10. L’opponente Istituto Papa Giovanni XXIII, per patrocinare la tempestiva proposizione della sua impugnazione, fa ora riferimento ad un’ordinanza del 2 marzo 2005, con la quale è stata disposta la sospensione del termine del ricorso per cassazione alla stregua dell’art. 398 c.p.c., u.c., dal giudice della revocazione che, successivamente, come si è detto, ha con sentenza dichiarato rinammissibilità della revocazione per non essere ravvisabile, nel caso sottoposto al suo esame, l’ipotesi prevista dall’art. 395 c.p.c., n. 5, in quanto il giudicato non è intervenuto prima dell’emanazione della sentenza revocanda.

11. A conforto della tempestività del suo ricorso per cassazione contro la decisione del 12 marzo 2004, che ha rigettato l’opposizione alle ordinanze-ingiunzioni (diversamente da quanto era avvenuto con le sentenze del 9 luglio 2004 dello stesso Tribunale di Cosenza che ha, invece, accolto l’opposizione avverso le cartelle esattoriali inerenti le medesime infrazioni contestate con le ordinanze- ingiunzioni) l’Istituto deduce, ora, che non ha ricevuto – come prescritto dal disposto dell’art. 398 c.p.c., u.c. – la comunicazione della pubblicazione della sentenza di inammissibilità del ricorso per revocazione nè di averne avuto conoscenza aliunde.

12. L’iter processuale ora descritto induce a ritenere inammissibile il ricorso.

13. Va, al riguardo, rimarcato preliminarmente che l’Istituto avrebbe potuto far valere, con una rituale e tempestiva impugnazione, le proprie ragioni e doglianze contro la sentenza del 12 marzo 2004, facendo valere il contrasto tra tale decisione e quelle del 9 luglio del 2004 che hanno invece accolto le opposizioni proposte; e lo stesso Istituto avrebbe potuto anche instare per la revocazione della decisione, ad esso sfavorevole, nel rispetto di quanto prescritto dal disposto dell’art. 395 c.p.c., n. 5. Ed invece l’Istituto, facendo un errato affidamento sull’ordinanza del 2 marzo 2005 di sospensione dei termini del ricorso di cassazione ex art. 398 c.p.c., u.c., ha proposto un ricorso per cassazione che non può trovare ingresso in questa sede per risultare intempestivo.

14. Quanto ora detto è corollario di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme processuali perchè rispettosa dei principi di cui all’art. 111 Cost., commi 1 e 2, quelli cioè del "giusto processo" e della sua "ragionevole durata", che non legittimano sospensioni o differimenti dei termini delle impugnazioni privi di una logica giustificazione. Principi, questi, che risulterebbero disattesi se si ritenesse invece – contro la ratto e la lettera della norma – che l’art. 398 c.p.c., u.c., permetta una sospensione dei termini del ricorso per cassazione anche nel caso in cui la domanda per revocazione risulti manifestamente infondata, assoggettando anche in tale eventualità la sentenza di merito ad un ricorso per cassazione notificato dopo molto tempo dalla pubblicazione della suddetta sentenza, come avvenuto nel caso di specie in cui l’Istituto, pur potendo impugnare la decisione di merito entro termini ben più ristretti, ha invece notificato il ricorso per cassazione dopo quasi un lustro (2 giugno 2009) dalla pubblicazione della sentenza impugnata (12 marzo 2004).

15. Tale conclusione risulta anche convalidata dal combinato disposto dell’art. 398 c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 5, secondo cui la sentenza pronunziata in grado di appello o in unico grado può essere impugnata per revocazione se "è contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata purchè non abbia pronunziato sulla relativa eccezione". 16. Per concludere, il ricorso, come già detto, va dichiarato inammissibile sulla base del seguente principio di diritto che va enunciato – ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1 – nei seguenti termini: "L’art. 398 c.p.c., u.c., se interpretato alla luce della Legge Costituzionale n. 2 del 1999 e cioè dei principi del "giusto processo" e della "sua ragionevole durata", osta a che il ricorrente – ove il ricorso per revocazione risulti manifestamente infondato alla stregua dell’art. 395 c.p.c. – possa poi giovarsi della sospensione dei termini per il ricorso per cassazione in quanto la citata disposizione dell’art. 398 c.p.c., ha inteso riconoscere detta sospensione solo allorquando il ricorso per revocazione non risulti "manifestamente infondato", e ciò al fine di scongiurare qualsivoglia condotta processuale meramente dilatoria o di evitare ritardi nella definizione del giudizio privi di una logica giustificazione". 17. Le spese di lite seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate in Euro 90,00 per esborsi, oltre Euro 5.000,00 per onorari, IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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